La Madonna della neve

«Prendi il bastone; parla alla roccia, ed essa darà la sua acqua; la e darai da bere alla comunità e al loro bestiame» (Nm 20,8). A Kades il popolo arriva stremato perché non c’è acqua da bere. Il bestiame rischia di morire. Si innesca   una furibonda lite con Mosè che appare il responsabile incauto di questa ennesima situazione di precarietà. Come al solito ci pensa Jahwé ingiungendo a Mosè di adoperare il suo bastone. Con esso batte sulla roccia per due volte e da lì scaturisce acqua in abbondanza per il popolo ed il suo bestiame. La località si chiamerà Kades-Meriba perché qui il Signore ancora una volta fu messo alla prova. Per il Signore i prodigi sono all’ordine del giorno, in ogni tempo: non deve chiedere il permesso all’uomo per poterli realizzare. Nella giornata odierna si celebra la Madonna della Neve la cui vicenda, secondo la devozione, si muove su un piano miracolistico. La Tradizione racconta della neve che si posò eccezionalmente in piena estate il 5 agosto 358 a Roma tracciando il perimetro di quella che sarebbe diventata la basilica di S. Maria Maggiore. La Vergine Maria apparve in sogno a Papa Liberio e a Giovanni, un patrizio romano, chiedendo di edificare una chiesa nel luogo segnato dal “miracolo della neve” donde il titolo di «S. Maria ad nives». La chiesa fu costruita con uno splendore e grandezza di incomparabile paragone e divenne in seguito la testimonianza celebrativa del Concilio di Efeso (431) che aveva decretato la divina Maternità di Maria. Il miracolo viene attualmente ricordato con una pioggia di petali di rosa bianca che cadono dall’interno della cupola durante la celebrazione liturgica. P. Angelo Sardone

Il santo patrono dei parroci

«Dobbiamo salire e conquistarla, perché certo vi riusciremo» (Nm 13,30). Era questa la convinzione ferma di Caleb, uno dei dodici esploratori della Terra Promessa, inviati da Mosè a verificare la situazione della terra di Canaan che Dio stava per dare al popolo d’Israele. Il rapporto degli esploratori tornati dopo quaranta giorni di perlustrazione, era stato positivo: latte, miele, frutti abbondanti e consistenti come un grappolo d’uva portato a spalla da due persone, convincevano sulla bontà della terra e l’opportunità di conquistarla. A questa ricchezza di prospettiva faceva riscontro la naturale titubanza del popolo che aveva sentito dire anche che gli abitanti erano potenti, le città fortificate, ed aveva fatto rimostranze contro Mosè perché tutto sembrava un azzardo. La voce rassicurante di Caleb, il cui nome significa tra l’altro ”fedele”, diviene imponente quando esorta a salire verso Canaan e conquistarla con la certezza di poterlo fare. Molte volte nelle nostre comunità ci sono troppi disfattisti ed inconcludenti paurosi di qualunque novità che non solo non fanno ma impediscono anche agli altri di fare. La novità fa paura perché scomoda dal “si è sempre fatto così!” E questo vale ovunque. L’impegno di osare alla ricerca ed alla conquista di una “nuova terra” diventa sempre più arduo e talora viene sistematicamente impedito da una paura che maschera e tradisce il comodismo acquisito nella propria situazione di vita, anche spirituale. Ci vogliono senz’altro Caled vigorosi e coraggiosi che spingano a guardare e ad andare avanti. Uno di questi è S. Giovanni Maria Vianney (1786-1859), il santo curato d’Ars patrono dei parroci, la cui memoria celebriamo oggi. P. Angelo Sardone

L’autorità di Mosè ribadita da Dio stesso

«Mosè è l’uomo di fiducia in tutta la mia casa» (Nm 12,7). Non poteva esserci elogio più grande riferito ad un uomo, soprattutto per il fatto che è Dio stesso a tesserlo! Il Libro dei Numeri, il quarto del Pentateuco, propone ad integrazione del libro dell’Esodo, avvenimenti, fatti e parole che segnano il cammino del popolo nel deserto sotto la guida di Mosè. Il testo sacro lo descrive come la persona più umile della terra. Mosè è fortemente contestato, ma Dio chiarisce che è lui l’uomo di sua fiducia in tutto Israele, che lo contempla in visione e parla con lui bocca a bocca. È sfrontatezza parlare contro di lui, perché ciò significa parlare contro Dio stesso. In questa situazione non se ne salva alcuno, compreso anche chi è di famiglia come il fratello Aronne e la sorella Maria che si ritrova malata di lebbra per aver osato mormorare e prendersela col fratello, rivendicando una autorità simile alla sua. Il Signore non fa mai le cose a metà ed è preciso e chiaro nelle sue indicazioni e nelle sue scelte. Il ruolo di Mosè e la sua autorità sono indiscusse: è Dio che l’ha scelto ed è Dio che lo conduce anche attraverso scelte che agli occhi degli uomini possono essere opinabili. Questo concetto sarà ripreso da Davide quando canterà: «Non toccate i miei consacrati, non fate alcun male ai miei profeti» (Sal 104,15). Talora capita che con facilità e leggerezza ci si lasci andare in critiche spropositate e discutibili verso chi guida il popolo nel sentiero della fede, a cominciare dal Papa e dai Vescovi, quasi che fossero persone qualsiasi che abbiano brigato per essere a quel posto o non sanno quello che dicono e fanno. Dio ci guardi da questi super cristiani! P. Angelo Sardone

Il pane della vita adombrato nella manna

«Tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne» (Es 16,2). La mormorazione è stata sempre una realtà odiosa anche se parte integrante del limite umano, in ogni tempo e per ogni situazione. Non si è mai contenti. Nessuno se la scampa, neppure Dio! La carne ed il pane a sazietà in terra d’Egitto sono una pericolosa e malata nostalgia del popolo d’Israele che in un certo senso rinnega l’intervento salvifico di Jahwé che li ha destinati alla Terra Promessa. Ogni minima o grande difficoltà diventa il pretesto per guardare solo indietro e non avanti, nonostante che il futuro sia incerto, per prendersela con Mosè. Non bastano le prove e le risposte concrete e miracolose che Dio dà con sistematicità tramite il suo profeta: l’acqua scaturita dalla roccia, le quaglie, la manna. Dio vede, ascolta, non è sordo: i suoi metodi di intervento non hanno modi e ritmi umani. Agisce comunque e sempre anche quando gli occhi e la mente umana non riescono a vedere e comprendere. La sua preoccupazione è fornire il cibo necessario perché non si venga meno lungo il cammino. La manna è una prefigurazione dell’Eucaristia, il vero nutrimento che scende dal cielo e sazia la fame. Il popolo di allora e di oggi rimane sospeso tra la fede matura ed il suo rifiuto. Nonostante la ordinaria e sistematica catechesi e l’altalena tra devozione e devozionismi, sentimento religioso e sentimentalismi vuoti e pericolosi con facili e passeggeri entusiasmi pseudo-spirituali, continua a chiedersi: che cos’è? Lo Spirito e la Chiesa rispondono: è il pane che Dio ti dà, senza il quale tu non puoi affatto vivere! P. Angelo Sardone

Inizio del discorso sul Pane della vita

XVIII domenica T.O. Il deserto e la privazione delle cose essenziali fanno guardare indietro e non avanti. Pane, carne, cipolle d’Egitto attentano al palato affamato ed assetato del popolo d’Israele e suscitano una aspra mormorazione. Invece di stroncare questo atto vile e meschino, il Signore risponde con acqua, carne e pane che dona con generosità. La manna del deserto era solo il segno del vero cibo che è Gesù Cristo: Egli rimane presente nel mondo e nel tempo col mistero dell’Eucaristia e continua a dare la vita per il mondo. Certo modo di pensare e di comportarsi alla leggera è tipico dei pagani ed è deprecabile. Gesù istruisce ed induce ad abbandonare la condotta di prima, l’uomo vecchio corrotto dalla passione, a rinnovare nello Spirito mente e corpo ed a rivestire l’uomo nuovo, frutto di una autentica conversione nella giustizia e nella vera santità. P. Angelo Sardone

Il sapere ed il gustare

  1. «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente». Queste parole sono contenute nel famoso testo degli Esercizi spirituali del santo basco Ignazio di Lojola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, uno stile nuovo di vita evangelica. Pellegrino, cavaliere, asceta e mistico, egli è protagonista della Riforma cattolica nel XVI secolo. Convertito alla fede dopo giorni di convalescenza e ispirato dalla lettura della vita di Cristo, fece la confessione generale della sua vita ed emise il voto di castità perpetua. Si dedicò allo studio mettendosi a disposizione di altri con il metodo degli Esercizi spirituali, sperimentati insieme ai primi suoi seguaci nella Compagnia. La sua Autobiografia ed il Diario spirituale sono fonti qualificate di una spiritualità che si divulgherà attraverso il nuovo Ordine religioso. Esso avrà come capisaldi il carattere apostolico, l’aiuto agli uomini a progredire nella fede e nella cultura religiosa, la povertà, l’obbedienza alla Santa Sede e al Superiore Generale, la promessa di andare ovunque il papa avesse indicato, le missioni. Nel programma di vita per sé ed i suoi seguaci, oltre il ministero dell’insegnamento che divenne una delle attività principali dell’Ordine, vi era l’attenzione ai poveri, agli orfani, agli ammalati. Morì per cirrosi epatica il 31 luglio 1556. Il suo corpo è venerato sotto l’altare del braccio sinistro del transetto della Chiesa del Gesù a Roma. Per S. Ignazio il discernimento consiste nel distinguere la luce che viene da Dio da altre luci falsamente attribuite a Dio. La luce di Dio si evidenzia anche nel simbolo scelto dai Gesuiti, “Cristo come un sole” con al centro il trigramma IHS, Iesus hominum Salvator, Gesù Salvatore degli uomini. La cultura ed il sapere non possono mai saziare e soddisfare fino in fondo senza aver provato il gusto interiore e profondo delle cose di Dio. P. Angelo Sardone

L’osservanza della Legge: impegno del popolo

«Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!» (Es 24, 3). Il cammino del popolo d’Israele nell’esodo sotto la guida di Mosè viene caratterizzato particolarmente dall’Alleanza e dal dono della Legge sul monte Sinai. Ciò avviene al terzo mese dalla partenza dall’Egitto. Dio prepara Mosè chiamandolo sul monte e dandogli istruzioni ben precise. Con l’Alleanza, Israele diventerà come un bene personale di Dio ed il popolo sarà santo, cioè consacrato. Il terzo giorno, dopo salite e discese di Mosè e varie teofanie, Dio parla e pronuncia il Decalogo, i dieci comandamenti, il cuore stesso della Legge. Il Pentateuco lo riporta in due versioni: Es 20 e Dt 5. Le parole sono ritmate in maniera tale che si possono facilmente ritenere a mente e ripetere oralmente. Esse sono il compendio della vita religiosa e morale del popolo. La condizione posta da Dio è il culto esclusivo riservato a Lui ed è parte integrante dell’alleanza. In ciò Israele si distinguerà da tutti gli altri popoli. Le promesse e le istruzioni per introdursi nella terra di Canaan concludono il lungo testo riportato in quattro capitoli del Libro dell’Esodo. Fedele al mandato ricevuto da Dio Mosè riferì al popolo tutte le parole del Signore, ossia il libro dell’Alleanza, il decalogo. Tutto il popolo accolse le parole e le norme ascoltate e più volte, concorde affermò la volontà di eseguire tutto quanto gli era stato ingiunto. Il decalogo, la legge positiva di Dio si imprimerà nel cuore di ogni credente e diventerà la legge della volontà di Dio e l’itinerario certo della propria santificazione. P. Angelo Sardone

Contemplattivi

«Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Gv 11,27). A Betania, a pochi chilometri di Gerusalemme, dove spesso Gesù si fermava in occasione della sua predicazione in terra di Giudea, vivevano Marta, Maria e Lazzaro. La loro casa era molto ospitale. Marta governava la casa con passione, zelo e fatica e rispondeva perfettamente al suo nome che significa “signora”. Godeva dell’amicizia e della stima di Gesù. Piuttosto ingiustamente, sulla base di quanto riportato dall’evangelista Luca (10,38-42) è ritenuta il prototipo dell’attivista, al contrario della sorella Maria che si pone in ascolto del Maestro. L’episodio della risurrezione di Lazzaro, la riporta in una dimensione più propria con una straordinaria professione di fede in Gesù, nella risurrezione dei morti e nella divinità di Cristo che potrà fare qualunque cosa. Essa manifesta una grande luce che pervade la sua vita a seguito del buio per la morte del diletto fratello. L’occupazione delle cose materiali non è inutile, ma deve essere sempre relativa a quella destinata alle cose di Dio, che al dire di Gesù, sono “la parte migliore” che non viene tolta. Non si tratta di eliminare qualsiasi forma di attivismo, ma di armonizzare l’azione con la contemplazione in maniera sensata ed equilibrata. Don Tonino Bello aveva intuito una intelligente mediazione coniando un neologismo lessicale da applicare ai cristiani: occorre essere contemplattivo/a. Per disposizione di Papa Francesco nel Calendario Romano Generale la memoria di santa Marta è stata ridenominata dei “Santi Marta, Maria e Lazzaro”. P. Angelo Sardone

Mosè ed il suo volto di luce

«Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro, si pose un velo sul viso» (Es 34,33). Il prolungato contatto con Diofu per Mosè un’esperienza straordinaria. I postumi gli rimasero in viso: la sua pelle era diventata raggiante, tanto da doversi mettere un velo sul viso. Il testo sacro riporta una tradizione che si riferisce ai raggi che il volto di Mosè emanava, come due corni. A questo si ispirò il grande Michelangelo quando tra il 1513 ed il 1515 riprodusse in una imponente scultura marmorea conservata nella Basilica di San Pietro in Vincoli a Roma, il famoso Mosè con una solennità e maestosità unica. Il profeta è seduto, con una folta barba con testa e sguardo rivolti a sinistra. Il braccio destro regge le tavole della Legge che sembrano rovesciate, come se fossero scivolate. Attorno alla scultura straordinaria per la bellezza artistica e reale è sorta la leggenda secondo la quale lo stesso Buonarroti dopo averla contemplata avrebbe percosso il ginocchio col martello ed esclamato «Perché non parli?». Ogni forte esperienza con Dio lascia il segno: la luce abbagliante che deriva dal contatto intimo col Signore, invade non solo il cuore, ma permea di splendore tutta la persona rendendola lucente e quasi inavvicinabile. Questo è il motivo per il quale i Santi spesso sono definiti fari o strade di luce. La penitenza corporale e l’intimità con Dio, soprattutto se protratti nel tempo, svuotano sempre più dell’umano e riempiono di sorprendente luce divina che abbaglia e diffonde luce intorno. P. Angelo Sardone

Le tavole della Legge

«Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiar pane e senza bere acqua» (Es 34,28). Il dettagliato racconto del Libro dell’Esodo si concentra particolarmente sul dono dei Comandamenti. Avvertito direttamente da Dio che il popolo si era pervertito forgiando un vitello d’oro dinanzi al quale si era prostrato, Mosè si affrettò a scendere dal monte con in mano le tavole della Testimonianza. Su di esse Dio aveva inciso davanti e di dietro la sua Legge. Visto il vitello e le danze ed udito i suoni Mosè spezzò le tavole ai piedi della montagna. Poi fece il resto: ridusse in polvere il vitello, lo versò nell’acqua e la fece trangugiare agli Israeliti. Il Signore lo richiamò sul monte Sinai gli fece portare due tavole di pietra come le prime e, dopo averlo trattenuto per quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare e bere, su di esse ancora una volta incise il Decalogo, le dieci parole dell’Alleanza. Si tratta di una forma altamente immaginifica che stabilisce l’origine divina e l’autorità stessa del Decalogo. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, esso è il primo stadio della Legge rivelata che pone i fondamenti della vocazione dell’uomo. È la sintesi di ciò che è contrario all’amore di Dio e del prossimo e la prescrizione di ciò che è essenziale. «Dio ha scritto sulle tavole della Legge ciò che gli uomini non riuscivano a leggere nei loro cuori» (Sant’Agostino). Sono i principi validi per tutti gli uomini, lo spiraglio di luce che offre alla coscienza di ogni uomo la via del bene e la libera da ogni orientamento al male. P. Angelo Sardone