Autore: Angelo Sardone
La sorte dei Santi nella Luce
«Ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce» (Col 1,12). Dopo l’indirizzo di saluto ed il ringraziamento a Dio per il dono della fede, la carità verso gli altri cristiani a motivo della speranza che i Colossesi manifestano, Paolo innalza al Signore una preghiera. In essa è contenuta la richiesta di concessione di una profonda conoscenza della volontà di Dio con tutta quanta la sapienza e l’intelligenza spirituale, non come acquisizioni umane ma come suo dono. Tutto ciò permette al cristiano di comportarsi secondo la sua personale vocazione, camminando in maniera degna del Signore. Ma per essere forte e perseverante la comunità cristiana ha bisogno della presenza di Dio, alimentata dalla certezza che Egli viene sempre in aiuto, e dalla larghezza d’animo sostenuta dalla necessaria pazienza. Infine l’invito alla comunità a ringraziare il Signore che in Cristo ha operato la salvezza e la liberazione dal peccato. Egli ha aperto il passaggio alla sorte dei Santi, cioè al destino finale riservato inizialmente ad Israele sostenuto dalle promesse dell’Antico Testamento, ed ora esteso anche ai pagani convertiti, non solo in riferimento al luogo dove Dio abita ma anche alla vita presente. La luce indica il luogo glorioso nel quale Dio ha collocato i suoi Santi. La partecipazione a questa sorte è espressione della speranza. Paolo comunica così concetti teologici di alto spessore per comprendere i quali è indispensabile una preparazione adeguata ed un accompagnamento introduttorio alla lettura. La liturgia giornaliera propone l’ascolto e forma la mente ed il cuore ad un autentico cammino di vita cristiana. P. Angelo Sardone
Il vangelo si diffonde dappertutto
«Il Vangelo che è giunto a voi porta in tutto il mondo frutto e si sviluppa» (Col 1,6). La lettera di Paolo ai Colossesi costituisce un gruppo omogeneo insieme con quella agli Efesini e a Filemone. Fu redatta tra il 61 ed il 63, mentre era prigioniero molto probabilmente a Roma. Colossi era una città dell’Asia Minore (l’attuale Turchia) presso una grande strada che collegava Efeso col fiume Eufrate. Non era stata evangelizzata direttamente dall’Apostolo ma da Epafra, che, formato alla scuola di Paolo e suo collaboratore, svolse a Colossi la predicazione secondo i canoni appresi dal maestro. Proprio lui gli portò notizie allarmanti sulla città a proposito di speculazioni a base di giudaismo ed influenze filosofiche provenienti dal mondo ellenista che potevano oscurare la supremazia di Cristo. Paolo allora scrisse la lettera affidandola a Tichico altro suo collaboratore. In essa si trovano le idee dominanti della sua predicazione: Cristo ha il potere sul mondo, è al di sopra di tutte le potenze cosmiche e della vita quotidiana dei cristiani. Il Vangelo, ossia la Parola di verità, annunziato da Epafra è il contenuto di tutta la predicazione apostolica: è proclamato in tutto il mondo allora conosciuto, si sviluppa e porta frutto. Dio opera con la forza della sua Parola in maniera sorprendente e predominante: il missionario è semplicemente un suo tramite e strumento. Il Vangelo ha in se stesso la forza espressiva e divulgativa. Qualunque missionario di ieri o di oggi non è altro che un ministro, un annunziatore forte e mite della Parola che salva. P. Angelo Sardone
La seconda e definitiva venuta di Cristo
«Il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (1Tes 5,1). I Tessalonicesi erano preoccupati nel vedere tardare la seconda venuta del Signore e si chiedevano quale fosse la data esatta e l’ora. Era una delle questioni dibattute nella comunità. La prima lettera di S. Paolo è imperniata sulla venuta gloriosa di Cristo. Le espressioni da lui adoperate contrastano la situazione di lassismo che aveva ingarbugliato la vita cristiana degli abitanti di Tessalonica. Il suo scopo e preoccupazione sono quelli di suggerire i modi per superare i pericoli dell’ultima e grande ora. Il giorno del Signore, cioè la sua manifestazione definitiva, è incerto e per tanti versi fatale: giungerà come un ladro che irrompe in casa. È incerto il momento nel quale ciascuno sarà chiamato a rendere conto della sua esistenza terrena attraverso il passaggio della morte ed il primo giudizio. Incertezza e rischi diversi sono tenuti a bada da un’attenzione desta in ogni momento, al pari dei dolori di una donna incinta che sta per partorire. Alla pace ed alla sicurezza decantata si opporrà la precipitazione improvvisa della rovina. Questa sottolineatura è in linea con diversi passi apocalittici riportati anche dai profeti. La conoscenza di queste particolari situazioni e dei modi di come attenderle, deve essere sempre nota. Chi vive nel peccato vive nell’ignoranza di Dio, accecato spiritualmente e moralmente. La tematica, attuale in ogni tempo, più che sconvolgere e far ricercare ostinatamente una probabile data, deve indurre invece a vivere bene il presente, come kairos, cioè tempo propizio per fare il bene. P. Angelo Sardone.
La forza della legge, la forza dell’amore
«Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo» (Dt 4,2).
Il Deuteronomio è il quinto dei cinque libri di Mosè (Pentateuco). Fa da corollario all’Esodo e contiene tre grandi discorsi di Mosè con un vero e proprio tono omiletico. In esso viene ribadita l’importanza di osservare la Legge di Dio ed i suoi precetti e di ripudiare gli dei stranieri: è infatti Jahwé che ha condotto il popolo d’Israele fuori dall’Egitto nel deserto e nella Terra promessa. La Legge di Dio è contenuta nelle diverse raccolte del Pentateuco che dimostrano lo sviluppo della legge israelita con l’incremento della stessa società. Costituisce la base essenziale della fede e della vita del popolo. L’autorità della legge è determinata fondamentalmente dall’adesione all’alleanza: vivere sotto la legge era il dovere che le clausole dell’alleanza avevano imposto. Ogni legge era l’espressione della volontà di Dio, un dovere religioso, un obbligo sacro. Tutto ciò non solo per evitare l’anarchia ed il disordine, ma soprattutto per affermare la condizione teocratica del popolo che aveva Dio come Signore di tutto e legislatore. La sua libertà anche se sembrava condizionata, era in effetti protetta. Ciò spiega anche il fatto che le prescrizioni e le normative scritte, sono in un certo senso blindate da Dio stesso perché sono più saggi e più giusti di quelli degli altri popoli. Così viene garantita l’esistenza ed attraverso i comandamenti si è introdotti nella vita del Signore. La vita libera è legata all’obbedienza ai precetti. La disobbedienza può comportare la perdita della terra. Il rapporto con Dio, comunque non è questione giuridica, ma di cuore. La sua legge fondamentale è l’amore perché Dio è amore, è libertà, è unità e verità. P. Angelo Sardone
Un santo sempre attuale
«Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai. Tu eri dentro di me ed io ero fuori. Lì ti cercavo» (Confessioni). Uno dei santi più conosciuti, studiati e citati di ogni tempo è S. Agostino di Ippona (354-430). Personalità poliedrica nella sua grandezza, retore, filosofo e teologo di grande spessore, a distanza di secoli si pone come icona della ricerca intelligente, sistematica e coerente di Dio, passando attraverso il cammino di conversione e di adesione completa al Vangelo di Cristo. La sua giovinezza cosparsa di esuberanze, avventure e facili adescamenti al male, ha trovato nella maturità di esperienza diretta di Dio, la vena di realizzazione piena, della ricerca della verità e della serenità non sperimentata negli amori, nella retorica, nel facile benessere materiale. La svolta della sua vita, passata attraverso il Manicheismo e la rigida distinzione tra il bene ed il male, fino a considerare puerili le manifestazioni religiose della madre Monica ed irrazionali i presupposti evangelici, giunse con la lettura di un testo profano, l’Ortensio di Cicerone che lo invitava a rientrare in se stesso. S. Ambrogio vescovo e Sempliciano sacerdote, a Milano, S. Paolo poi con la lettera ai Romani, gli conferirono i parametri giusti per aprirsi in maniera adeguata alla grazia di Dio che bussava insistentemente al suo cuore. La scelta della castità perfetta e della vita ritirata in monastero, l’ordinazione sacerdotale e poi vescovile, fecero il resto. Aveva trovato dentro e non fuori di sé, la risposta ai suoi perché, perchè aveva cercato e trovato Dio. P. Angelo Sardone
Santa Monica, la donna e mamma forte
«Questa è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impurità, senza lasciarvi dominare dalla passione» (1Tes 4,3). Il desiderio di Dio e quello dell’evangelizzatore, è che ciascun evangelizzato si comporti secondo le indicazioni ricevute per potersi distinguere in mezzo ad una generazione perversa e degenere (Fil 2,12). Le raccomandazioni dell’Apostolo Paolo mirano costantemente proprio a questo e si amplificano con una motivazione chiara ed inequivocabile: la volontà di Dio. Le norme ricevute sono parte integrante di questa volontà che ha di mira la santificazione. Essa è l’espressione immediata della prima e fondamentale vocazione del cristiano: andare verso Dio che santifica, imitare Cristo che si è fatto santificazione, percorrere il cammino di perfezione con la cooperazione dello Spirito Santo, santificatore. Queste indicazioni sono state prese alla lettera e realizzate in pieno da S. Monica (331-387), madre di S. Agostino. Conosceva la Scrittura: la forza da essa derivante, l’assidua preghiera e la coerente testimonianza furono per lei indispensabili perché il figlio si mettesse sulla retta via con una conversione convinta e radicale. Con il figlio ormai trasformato dalla grazia e propenso a dedicarsi all’unione con Dio nella vita monastica, ebbe frequenti colloqui spirituali nella casa di Ostia dove, a seguito di febbri alte, all’età di appena 56 anni concluse la sua vita davanti ai suoi figli. S. Monica è l’esempio della donna forte che passa dall’inquietudine per il figlio alla serenità appagata dalla fede e dalla certezza della conversione e del cammino di santità di Agostino, rinnovato dalla grazia. P. Angelo Sardone
Il serio annunzio del Vangelo
«Ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore» (1Tes 3,8).
L’annunzio del vangelo non è mai un idillio: le tribolazioni non mancano sia a chi annunzia che a chi ne beneficia. La preoccupazione di Paolo è lecita e concreta perchè sa bene che la lotta e gli impedimenti di qualunque sorta sono sotto la regia di Satana. Per cui succede che dopo aver accolto con generosità e fiducia la Parola, il demonio, o persone superdotate ed influenti, o ancora l’instabilità stessa della fede ed il facile entusiasmo sentimentale e non di presa di coscienza attiva, possono far desistere i fedeli. L’entusiasmo e l’adesione iniziale diventa una banderuola che si affida alle facili ed ingannevoli correnti che si nascondono anche dietro le migliori intenzioni o le meteore passeggere di annunciatori super moderni e “simpatici” che sghignazzano risate e propongono un vangelo accomodante ed assolutamente inefficiente a persone altrettanto mediocri ed instabili. L’Apostolo testimonia la necessità di prendere notizie aggiornate sui fedeli, per timore che il tentatore e le tentazioni abbiano il sopravvento. E quando si accerta che le notizie sono buone ed il ricordo è sempre vivo, si sente consolato ed accantona angoscia e tribolazione determinati dalla paura di una loro facile infedeltà. La saldezza nella fede dei credenti è la più bella ricompensa per chi annunzia. Essa ripaga sacrifici, rinunzie e non si risolve in vuote illusioni. La storia di ogni apostolato parrocchiale, missionario, sacerdotale, passa attraverso queste coordinate. Se i fedeli comprendono e sono maturi, l’esito è positivo; se non lo sono, è un brutto pasticcio ed una tragica illusione per laici e preti! P. Angelo Sardone
La tenerezza paterna di S. Paolo
«Come fa un padre verso i propri figli, vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio» (1Tes 2,11-12). Il tono affettuoso e paterno di Paolo nei confronti dei nuovi cristiani di Tessalonica, è ricco di profonda umanità e verità derivanti dall’esperienza giornaliera che l’Apostolo ha fatto in mezzo a loro, amando e sentendosi riamato. L’annuncio del Vangelo pur essendo avvenuto tra tante lotte, è stato caratterizzato non da torbidi motivi o frode, non da cupidigia alcuna, ma solo ed esclusivamente da una amorevolezza materna e da affetto vero fino al punto di desiderare di dare la vita per loro. Il contenuto più espressivo è delineato dall’incoraggiamento ad andare avanti e dall’insistenza ad un comportamento degno della dignità di figli di Dio e di fedeli osservanti del Vangelo. L’esempio dell’Apostolo è la migliore scuola di vita: la fatica ed il travaglio diuturno per non essere di peso ad alcuno e lo zelo nell’annunzio della Parola che salva. Quanto è bello e significativo per ogni missionario, soprattutto sacerdote, poter esprimere nel proprio ministero il tatto paterno ed il tocco profondo del suo amore, interessato unicamente al bene dei fratelli. E quanto è anche bello che i fedeli comprendano questa verità ed in cambio gli manifestino un amore altrettanto disinteressato fatto non di moine occasionali, opportuniste ed egoistiche, ma di gesti concreti, discreti, intelligenti ed opportune manifestazioni di affetto! Quante volte dobbiamo assistere, sacerdoti e laici, a puerili ed immaturi scimmiottamenti da parte degli uni e degli altri! Ci sono davanti le esigenze vere e sempre attuali del Vangelo di Cristo. P. Angelo Sardone
San Bartolomeo scorticato per amore del Maestro
«Da Nàzaret può venire qualcosa di buono?» (Gv 1,46). Questa singolare espressionepronunziata da Natanaele, il Bartolomeo riportato negli elenchi dei Dodici Apostoli dai vangeli Sinottici, quasi squalifica la grandezza e l’autorità del Maestro. Non fu chiamato direttamente da Gesù ma portato a Lui dal suo amico Filippo che gli disse con entusiasmo di aver trovato Colui del quale avevano scritto Mosè ed i Profeti. L’unico neo era determinato dal fatto che questo Gesù, figlio di Giuseppe, proveniva da Nazaret. Ciò costituisce per Natanaele che sicuramente conosceva la Legge, una sorta di pregiudizio che gli crea difficoltà a credere che un uomo proveniente da un minuscolo paese potesse essere proprio quello di cui le Scritture e le Profezie avevano detto del Messia. Convinto comunque dall’amico che gli aveva chiesto di accertare personalmente l’identità di Gesù andandogli dietro, si muove e quando è davanti a Lui i pregiudizi sono azzerati. Il più bell’elogio glielo fa proprio il Maestro di Nazaret, definendolo un vero Israelita nel quale non c’è frode e rivelandogli alcuni particolari della vita che solo lui poteva conoscere. Smascherato e sopraffatto da questa rilevante e misteriosa personalità, latore di una conoscenza soprannaturale di avvenimenti e persone, Natanaele proclama la sua professione di fede e da allora segue quell’Uomo di Nazaret che prima in un certo senso aveva quasi disprezzato. La sua testimonianza di fede, come narra la Tradizione, lo porterà fino alle estreme conseguenze: per amore di Gesù si farà scorticare vivo! Qualsiasi forma di pregiudizio, soprattutto nei confronti della fede e di Gesù Cristo viene annullata da una conoscenza seria e da un’esperienza concreta. P. Angelo Sardone