Solennità di Cristo Re dell’universo

XXXIV domenica T.O. Il Signore viene sulle nubi del cielo: a Lui sono stati conferiti potere eterno e gloria infinita. Il suo regno è indistruttibile e non finirà mai. Cristo è il Re dell’universo, re di un regno celeste ed eterno che proclama e testimonia la verità inducendo ad ascoltare chiunque viene dalla verità. Lo riconosce finanche Pilato, espressione del potere umano. Gesù è nato ed è venuto nel mondo per essere re, testimone fedele, sovrano dei re della terra. Il suo regno di giustizia, amore e pace si compie sulla terra e sarà manifesto alla fine dei tempi sulle nubi del cielo perché tutti possano vedere. P. Angelo Sardone

Ambizione e desiderio di possesso anticipano la fine

«Il re si mise a letto e cadde ammalato per la tristezza, perché non era avvenuto secondo quanto aveva desiderato» (1Mac 6,8). L’arroganza e la superbia di Antioco IV si scontra con la realtà che non sempre riserva il profitto ed il raggiungimento degli obiettivi prefissi. Le sue vittorie ed il suo dominio accecato dal desiderio del possesso di città e beni materiali arriva al capolinea quando non riesce nell’intento e viene vilmente rigettato, costretto a tornarsene a Babilonia sconfortato e depresso. Il mancato raggiungimento del suo scopo vittorioso, lo fa ammalare e lo costringe a letto. Fa memoria della sua vita valutando la sua fortuna, le sue vittorie ed i trofei, al contrario di ora che ha grave tribolazione e terribile agitazione. Si rende conto però dei mali commessi a Gerusalemme e delle spedizioni punitive senza alcuna ragione contro Giuda. Comprende che ciò che sta vivendo è il risultato conseguente degli atroci mali commessi. La sua fine è irreparabile: muore triste in un paese straniero. Il racconto storico si muove sulla falsa riga di quanto anche lo storico greco Polibio aveva anche scritto definendolo “abile in battaglia ed ardito nei suoi progetti”. Tutto finisce. Anche la gloria e l’ambizione di un re si scontrano con la delusione di progetti non realizzati e di forze maggiori delle proprie capacità volitive e di fatto. La chiusura in se stessi e la facile depressione costringono dentro un letto di frustrazioni e di buio impenetrabile. La grazia di Dio ed il sostegno vigile ed intelligente di medici e sacerdoti possono curare ed alleviare uno stato così provato di morte anzitempo. P. Angelo Sardone

La grandissima gioia per la riconsacrazione del tempio

«Grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani» (1Mac 4,58). La sonora sconfitta inflitta ai nemici, induce il grande condottiero Giuda Maccabeo a radunare il popolo per purificare e riconsacrare il santuario di Gerusalemme. Il rituale si svolge con grande solennità ed è accompagnato dai canti e dal suono di cetre, arpe e cimbali. Il popolo partecipa festante ed adora il Signore che si è mostrato propizio verso di loro. La festa della dedicazione dell’altare si protrasse per otto giorni e si stabilirà di ripeterla con lo stesso cerimoniale ogni anno. Un singolare elemento che caratterizza la liturgia è la gioia grandissima del popolo per essersi riappropriato del luogo santo ed aver cancellato la vergogna subita dal nemico. La gioia di aver ripreso in mano il luogo dell’incontro con Dio e la realizzazione di un nuovo altare per il sacrificio, cancellano e ripagano il dolore sofferto per l’onta subita. Quando anche oggi si inaugura una nuova chiesa o si consacra un nuovo altare ci si rifà idealmente al grande avvenimento del tempo dei Maccabei. Il vescovo col sacro crisma unge e consacra l’altare che non solo permetterà di accogliere le offerte per il sacrificio eucaristico, ma sarà il segno stesso di Cristo. Il sacerdote, infatti, all’inizio ed alla fine della S. Messa bacia l’altare che è ornato di veli e tovaglie preziose e in particolari circostanze lo incensa. La gioia deve caratterizzare ogni celebrazione eucaristica dal momento che sull’altare si rinnova il mistero della morte e risurrezione di Cristo, ci ritrova come popolo di Dio in festa, si torna a casa pieni del dono della Parola e saziati del cibo della vita. P. Angelo Sardone

La straordinaria madre-coraggio

«Figlio, non temere questo carnefice, ma accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia» (2Mac 7,29). La storia commovente di una mamma-coraggio, anonima madre ebrea dei fratelli Maccabei, sfida il tempo presentandosi come un esempio di eroica coerenza nella scelta della morte invece che dell’apostasia della fede imposta dal dominio siro-ellenistico. Dotata di un coraggio fuori di ogni normalità, ella esorta i suoi sette figli a non desistere dalla fede dei Padri, andando incontro alla morte, sicuri di entrare nella vita nuova. Ad uno ad uno i figli con sorprendente coraggio testimoniano davanti al boia che agiva con metodi molto crudeli, la fierezza della loro fede confutando la dottrina e lo stile di vita greco che chiedeva loro di abiurarla. Si tratta della bellissima testimonianza di un’intera famiglia votata al Signore che manifesta la fiducia in Dio ed il suo aiuto nell’ora della prova. Il racconto storico dell’avvenimento, detto “Passione dei santi Maccabei”, nel tempo ha trovato una grande diffusione e divenne modello per diversi atti di martiri. Le incisive parole della madre fanno da sostegno ai figli che, uno per uno, prima di cadere uccisi, pronunziano davanti al boia parole straordinarie di coraggio e di fede, intrise di intensa teologia soprattutto in riferimento alla risurrezione. Ad uno ad uno li ha rigenerati nella fede matura, coerente ed eroica. La Chiesa nel corso della sua storia ha annoverato altri analoghi esempi. L’aristocratica e scristianizzata società occidentale nasconde o tace testimonianze simili che, indipendentemente dalla religione professata, farebbero tanto bene alle nuove generazioni di genitori e figli, sballottati a volte da fedi inconcludenti e paure latenti. P. Angelo Sardone

La fede coerente e coraggiosa

«Non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, per colpa della mia finzione, si perdano per causa mia» (2Mac 6,24-25). La liturgia presenta una nobile figura di scriba, il novantenne Eleazaro, che durante il tentativo di ellenizzare gli Ebrei da parte di Antioco IV Epifane, rifiutò di mangiare la carne di maiale, proibitissima agli Ebrei, ritenendo che la resa di un uomo della sua età, avrebbe potuto indebolire il coraggio e la fede dei giovani. I più vicini, per sottrarlo alla morte, avrebbero voluto che lui fingesse, mangiando la pietanza che lui stesso aveva preparato, ma egli facendo un ragionamento saggio e nobile, preferì andare incontro al patibolo. La sua età ed il prestigio di una condotta irreprensibile nell’osservanza della Legge, non gli consentivano di dare cattivo esempio ai giovani e macchiare la sua vecchiaia. Fu una pazzia, ma degna della coerenza di una persona veramente matura nella fede e timorata di Dio. Il suo esempio è imperituro ed a distanza di millenni rimane una icona di serietà, compostezza, fedeltà alla Legge di Dio e rifiuto del compromesso. Quanto divario c’è, soprattutto oggi, dal dire di credere in Dio e dal manifestare in concreto con gesti e scelte coraggiose la verità della propria fede e la coerenza che ne consegue. E ciò ad ogni età e condizione sociale e religiosa. Aveva ragione S. Ignazio di Antiochia quando affermava: «è meglio essere cristiani senza dirlo piuttosto che proclamarlo senza esserlo». Una finta religiosità prevalentemente emotiva e senza radici porta alla facile apostasia ed all’ipocrisia ed elude la coerenza della fede. P. Angelo Sardone

Il rigore morale di Mattatia

«Molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi impuri e preferirono morire pur di non contaminarsi» (1Mac 1,62). La sezione dei libri storici della Bibbia cristiana si chiude con due, detti “Dei Maccabei” che non rientrano nel canone giudaico, ma sono comunque ritenuti ispirati. Contengono la storia delle lotte sopportate dai Giudei per la libertà politica e religiosa del popolo e suscitate dai re Seleuciti. Prendono il nome da Giuda, soprannominato “maccabeo”, cioè “martello”, che è l’eroe protagonista. Egli è il capo della insurrezione contro Antioco IV Epifane. Il soprannome passò all’intero periodo storico giudaico. Erano in campo da avversari il potere ellenistico conquistatore, nella persona di Antioco, “radice perversa” e da figli empi di Israele che preferivano fare accordi coi popoli conquistatori, e Mattatia che invece incitava alla guerra santa per non essere contaminati dalle istituzioni ed usi pagani. Antioco infatti saccheggiò il Tempio e prescrisse l’unificazione dei vari popoli, compresso quello giudaico, l’abbandono delle leggi, i sacrifici con carni immonde. Per Israele ciò costituiva il più alto sacrilegio. Tutto era in subbuglio: la vendetta dell’empio re era la morte di innocenti ed osservanti della Legge. Molti non volendo contaminarsi andavano incontro alla morte. È una grande lezione storica di coraggio e coerenza di uomini e donne dotati di fede certa e solide convinzioni religiose, non fanatiche, ma osservanti in pieno della Legge di Dio. Tanto si ha da imparare da questi esempi e questi gesti: molti cristiani di oggi con facilità preferiscono rinunziare alle loro convinzioni e seguire modi di pensare ed agire che contravvengono esplicitamente alla legge di Dio. P. Angelo Sardone

La fine del mondo

«Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni; sarà salvato chiunque si troverà scritto nel libro» (Dn 12,1). La fine dell’anno liturgico è caratterizzato dalla lettura di testi particolari che parlano della fine del mondo e dell’escatologia. La Chiesa riserva in quest’ultimo periodo prima di intraprendere il nuovo anno, considerazioni sul senso e la realtà della fine delle cose e del mondo, come Gesù Cristo stesso aveva preannunziato. Lungi dal destare una naturale paura, questo tempo che coincide col mese di novembre dedicato alla riflessione sulla morte ed alla venerazione dei defunti, diviene tempo propizio per aprire la mente ed il cuore a considerare la finitezza delle cose e regolare pensieri ed azioni su un versante di bene e di amore. Uno dei testi dell’Antico Testamento sulla resurrezione della carne, il libro profetico di Daniele, introduce la figura angelica di Michele, il grande principe che vigila su Israele. Daniele era un giovane giudeo deportato alla corte di Nabucodonosor ed ivi rimasto fino al terzo anno del re Ciro (537 a.C.). Al tempo della fine è dedicato il capitolo 12 con una visione singolare che riporta la più antica espressione di fede nel mistero della risurrezione. Dopo un periodo di grandi tribolazioni i morti risorgeranno alcuni per la vita eterna altri per la condanna. Non si sa quando sarà la fine: il mistero è sigillato nel tempo. Tale resta anche oggi. Gesù lo ha confermato chiaramente: la conoscenza del tempo di realizzazione di questo evento appartiene solo al Padre, nessuno lo sa. Con buona pace dei Testimoni di Geova e dei Millenaristi! P. Angelo Sardone

XXXIII domenica del Tempo Ordinario

Nel tempo dell’angoscia Dio salva il suo popolo. L’Arcangelo Michele vigila. La salvezza sarà per coloro che sono scritti nel libro della vita, saggi che splendono nel firmamento come astri lucenti di giustizia. Avvenimenti apocalittici segneranno la fine del mondo: sole che si oscura, luna che non dà luce, stelle che cadono dal cielo. Gli Angeli del giudizio raduneranno tutti i popoli da ogni parte della terra. La lezione si apprende dalla natura: il fico tenero e pieno di foglie annunzia l’estate. Le cose preannunciate da Gesù sono il segno dell’imminente fine del mondo che nessuno sa perché il Padre ha voluto riservarlo a sé. Cristo è assiso alla destra del Padre: ha offerto il suo sacrificio una volta per sempre, ha eliminato il peccato ed attende la disfatta dei nemici che saranno posti sotto i suoi piedi. P. Angelo Sardone

Il profondo silenzio

«Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, la tua parola onnipotente dal cielo, si lanciò portando il tuo decreto irrevocabile» (Sap 18,14). La lettura sapienziale della storia del rapporto di Dio con l’umanità tocca un vertice straordinario in un passaggio che la Chiesa riporta nella Liturgia in preparazione al Natale. Leggendo l’opera di Dio nella storia, a cominciare da Adamo e Mosé, passando attraverso l’Esodo, l’estensore del libro della Sapienza, considera alcuni elementi, sette in tutto, che i biblisti definiscono “contrappasso”, dal miracolo dell’acqua fino al Mar Rosso, passando attraverso le piaghe diverse delle rane, le cavallette ed il serpente di bronzo, la grandine e la manna, le tenebre e la colonna di fuoco, la notte tragica e finalmente la liberazione dalla schiavitù. L’opera della Parola di Dio è la fine dei primogeniti d’Egitto, definita dai profeti esecuzione dei giudizi di Dio, uno sterminio dovuto ad un ordine inesorabile di sapore apocalittico. Contrariamente all’uso che la liturgia ne ha fatto, il testo non prefigura l’incarnazione del Verbo, ma il terribile annunzio della sua seconda venuta. Il silenzio della notte evoca la situazione particolare del peccato che fa immergere nel buio e nell’assenza di voci e di suoni. Il Signore giunge per infrangere il silenzio con la voce tuonante del giudizio che si esprime in termini positivi per chi è degno di salvezza, ed in termini negativi per chi invece, proprio per il peccato e nel peccato, ha meritato la sua condanna. P. Angelo Sardone

La grandezza di Dio nella naturale

«Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore» (Sap 13,5). La creazione è il capolavoro di Dio. Tutta la realtà creata rispecchia la grandezza ed il valore del Creatore. La storia del pensiero umano sempre ha considerato come punto di partenza il mondo, la terra e tutti gli elementi che li compongono come parte integrante o degradante di Dio. La sapienza divina canta l’originalità del prodotto di Dio, tale perché frutto di amore, attenzione, provvidenza e cura. La contemplazione e lo studio della natura eleva lo spirito umano fino a un Dio trascendente e creatore di tutto. La Scrittura celebra la potenza e la grandezza di Dio nel creato: è un’opera grandiosa, un’opera d’arte che riflette la grandezza e la potenza del Creatore stesso. Dio è continuamente in azione: la sua opera creatrice ed in particolare la terra sin dall’inizio è stata affidata all’uomo perché la coltivasse e custodisse con un potere direttamente conferito dal Creatore. Ogni cosa creata è grande: tutto acquista significato e valore inserito in un piano molteplice di bellezza. Da essa si desume la grandezza di Dio che va contemplato nella natura stessa perché tutto parla di Lui. La ricerca e la scoperta continua dell’uomo con la scienza evidenziano la ricchezza straordinaria immessa da Dio nella natura per il bene sociale, alimentare, spirituale e morale dell’uomo e della donna. Il peccato contro l’ecologia viene inteso come «un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente, e si manifesta in atti e abitudini di inquinamento e distruzione dell’armonia dell’ambiente» (Documento finale del Sinodo speciale per la Regione panamazzonica, n. 82). P. Angelo Sardone