Parola ascoltata, parola eseguita

«Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi» (Gc 1,22). Trattando l’importanza della Parola di Dio nella vita del cristiano, nell’intento di far comprendere la necessità della sua attuazione e facendo eco a quanto già Gesù aveva insegnato con autorità, S. Giacomo innanzitutto esorta ad ascoltarla attentamente e ad osservarla. La Parola di Dio deve essere letta, meditata, vissuta perché porti come frutto l’osservanza, cui si associa la coerenza di metterla in pratica. L’inganno a volte sta proprio nell’ascoltarla in maniera superficiale, pensando che ciò sia sufficiente: in questo modo è come se si aggirasse Dio pensando così di accontentarlo. Per il cristiano la Parola di Dio è lampada dei passi e luce sul cammino, strumento fondamentale nel processo della sua formazione e della trasmissione della fede, a partire proprio dall’ascolto. Nel libro del Deuteronomio il verbo «ascoltare», ricorre ben 86 volte. Secondo S. Giacomo se l’ascolto non si concretizza nella pratica, rimane un ascolto vuoto, ingannevole ed illusorio. A riprova di ciò egli porta l’esempio dello specchio nel quale uno considera le fattezze del suo volto e poi se ne va dimenticando ciò che ha visto. L’idea di sé è superficiale ed effimera, simile ad un progetto pure ben fatto ma senza esecuzione. La lettura giornaliera della Parola favorisce la sua conoscenza e la sua attuazione. Il nostro mondo spesso è distratto e superficiale, rifugge dall’apprezzamento di parole che sono impegnative; spesso gli imperativi biblici risultano particolarmente inopportuni. Occorre essere esecutori concreti della Parola e non superficiali per meritare l’encomio della beatitudine. P. Angelo Sardone

Non abbandonarci alla tentazione

«Dio non può essere tentato al male ed egli non tenta nessuno» (Gc 1,13). La Lettera di Giacomo è uno scritto del Nuovo Testamento attribuito a Giacomo fratello del Signore che ebbe un ruolo di primo piano e di direzione nella Chiesa di Gerusalemme. Radicato nel Giudaismo e ritenuto uno delle colonne della Chiesa, prese parte al Concilio di Gerusalemme. La lettera a lui attribuita, molto probabilmente un’antologia di testi o un’omelia destinata ai dispersi delle tribù di Israele, presenta elementi di vita cristiana concreta con alcuni principi molto pratici ed una concezione realistica della vita. Tra i diversi argomenti, proprio all’inizio vi è il tema della tentazione che oltre che dallo stesso uomo, proviene da una forza superiore, il diavolo. La tentazione non viene da Dio perché Dio non può essere tentato, ma da una potenza demoniaca che trova un appiglio ed una base favorevole nella concupiscenza che alberga nell’uomo e che se non è regolata, diventa travolgente ed assillante e lo porta ad ampia peccaminosità. Inoltre Dio non tenta nessuno. La fede viene messa alla prova, superata la quale produce la costanza che dà pieno compimento all’opera divina.  È comunque possibile superare le difficoltà e le prove: la vittoria favorisce l’uomo nel raggiungimento del traguardo escatologico. La prova e la tentazione, passando attraverso il peccato possono portare alla morte. La virtù si sviluppa nella misura in cui si supera la prova. L’uomo è tentato dalla carne, dal diavolo e dal mondo. Dio permette la prova e la tentazione, ma sostiene l’uomo perché “non cada nella tentazione, mediante il fervore della carità” (S. Tommaso d’Aquino). P. Angelo Sardone 

I santi fratelli Cirillo e Metodio

«Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la Parola di Dio» (At 13,46). La predicazione di Paolo insieme con Barnaba è uno dei fenomeni più belli raccontati dagli Atti degli Apostoli e testimonia come dalla Palestina la Parola di Gesù entra nei confini dell’Asia Minore, ad Antiochia di Pisidia e pian piano diviene universale. Con la medesima modalità, nel IX secolo, due fratelli, i santi Cirillo e Metodio, monaco il primo e vescovo il secondo, nati a Salonicco divennero evangelizzatori particolarmente nella Pannonia (l’attuale Ungheria) ed in Moravia (l’odierna parte orientale della Repubblica Ceca). Qui Cirillo che parlava correttamente oltre il greco, il latino, l’ebraico e l’arabo, ideò un nuovo alfabeto per le popolazioni locali con caratteri detti appunto “cirillici”, e provvide alla traduzione dei testi sacri. La loro azione fu non solo spirituale e teologica ma anche fortemente culturale e linguistica, svolgendo un servizio missionario e di unità tra la Chiesa di Costantinopoli e quella di Roma. Morirono a distanza di 16 anni l’uno dell’altro, a Roma ed in Moravia. Autentici apostoli degli Slavi, Giovanni Paolo II nel 1980 li proclamò compatroni dell’Europa. È molto significativo constatare come in ogni tempo la Chiesa in ogni parte del modo, sulla scia dei primi Apostoli, vanta uomini santi ed illustri che accanto ad una ferrea dottrina e preparazione teologica esprimono nel servizio apostolico un’altrettanta profonda cultura profana, linguistica e letteraria con una competenza di alto valore. Ciò le fa onore e conferma come la fede cammini di pari passo con la cultura e la ragione. Oggi si festeggia anche S. Valentino. Auguri a chi porta il nome di questo santo. P. Angelo Sardone

La scissione del regno di Davide

«Ecco, Israele, i tuoi dèi che ti hanno fatto salire dalla terra d’Egitto» (1Re 12,28). Con la morte del re Salomone (931 a.C.) avvenne l’irreparabile. La sua condotta lontana dalla volontà di Dio e dalla purezza del suo culto, provocò la degenerazione del regno e l’intervento di Jahwé. Il regno si sfaldò in due parti: dieci tribù nel nord costituirono il Regno di Israele con capitale Samaria e re Geroboamo, figlio di Nebat. Egli si era ribellato a Salomone per le forti tasse ed i lavori forzati ed era scappato in Egitto. Al sud due tribù (Giuda e Beniamino) col re Roboamo figlio di Salomone costituirono a Gerusalemme il Regno di Giuda. Si provocò così uno scisma prima politico e poi religioso. Ciò andrà avanti così fino al 721 quando Samaria cadrà e il 587 quando Gerusalemme sarà distrutta da Nabucodonosor. Il re Geroboamo per impedire che il popolo tornasse a Gerusalemme, fece costruire i santuari a Dan e Bethel, le estremità a nord e sud del regno e in essi collocò due vitelli d’oro indicandoli come il vero dio che aveva fatto uscire dall’Egitto il popolo d’Israele. Il suo peccato più grande fu proprio quello di prestare il culto in altri santuari invece di Gerusalemme. Il suo fine politico dové appoggiarsi all’espediente religioso dei due vitelli che richiamavano il vitello dell’esodo e che facevano stornare il cuore del popolo di Dio dal suo vero Dio. La storia si ripete. Per finalità diverse da quelle spirituali e religiose molte volte con facilità persone anche ragguardevoli si creano riferimenti alternativi che non hanno niente a che fare con Dio, ma che appagano mire puramente egoistiche ed egemoniche. P. Angelo Sardone

La Vergine santa di Lourdes

«Vidi una Signora rivestita di vesti candide. Mi disse di essere l’Immacolata Concezione». La testimonianza di Bernardetta Soubirous allora appena quattordicenne, attesta con chiarezza la verità e l’identità di una delle apparizioni mariane più note ed importanti che fa riferimento a Lourdes. Il tutto cominciò l’11 febbraio 1858 presso la grotta di Massabielle nei pressi del fiume Gave, dove la fanciulla sei era recata a raccogliere la legna. Prima spaventata, poi messa a suo agio da una bellissima Signora che le apparve nella grotta per ben 18 volte, accolse il messaggio della Madonna e, il 25 marzo, la rivelazione della sua eccezionale identità: l’Immacolata Concezione. Da allora, con la costruzione di un grandioso santuario, Lourdes è divenuto uno dei santuari più famosi al mondo per la devozione mariana, caratterizzato soprattutto dalla presenza di ammalati e pellegrini di tutte le età e di tutto il mondo. Silenzio, sofferenza, preghiera, Eucaristia e riconciliazione sono gli elementi portanti che caratterizzano il fenomeno di Lourdes e la devozione a Maria, sotto lo speciale titolo di Immacolata Concezione, la conferma a quanto quattro anni prima Pio IX aveva solennemente dichiarato con l’omonimo dogma. Nel recinto delle apparizioni milioni di persone, malati e non, ogni anno sostano in preghiera, fanno il bagno alle piscine, si confessano, partecipano alla celebrazione eucaristica, cuore di tutte le devozioni e vivono una intensa atmosfera di preghiera conversione e carità, dominata da autentiche sensazioni paradisiache. Chi c’è stato porta nel cuore il ricordo dolcissimo ed il desiderio vivo di ritornarvi. P. Angelo Sardone

Santa Scolastica: la potenza della preghiera

«Una tribù la darò a tuo figlio, per amore di Davide, mio servo, e per amore di Gerusalemme, che ho scelto» (1Re 11,13). La grandezza di Salomone fu limitata alla fine della sua vita dal disorientamento che subì a causa delle ingerenze politiche e comportamentali soprattutto per via dei matrimoni con donne pagane che gli fecero deviare il cuore inducendolo a seguire altri dei. Non rimase integro nel cuore per il Signore, nonostante gli fosse apparso due volte invitandolo a non seguire altri dei. Il Signore gli annunciò quindi che gli avrebbe strappato il regno per consegnarlo ad un suo figlio con un’unica tribù. Al contrario rimane grande la fama di santa Scolastica (480-547), sorella di S. Benedetto, dovuta alla perfetta alleanza con Dio ed alla fedeltà di amore a Lui. È una luminosa figura di donna consacrata a Dio, che sulle orme del fratello, impegnò totalmente la sua vita per Dio nel silenzio, nella contemplazione e nella assoluta priorità data a Lui nella gestione della sua vita. S. Gregorio nella sua opera, «I Dialoghi», riporta i tratti conclusivi della vita di S. Scolastica contrassegnati dall’ultimo incontro col santo fratello, la gioia di rimanere con lui tutto il giorno e tutta la notte in sacra conversazione ed il racconto della sua morte avvenuta tre giorni dopo. La potenza della sua preghiera e l’intervento di Dio con la pioggia battente che rendeva impossibile il rientro di S. Benedetto in monastero, indusse il santo abate alla trasgressione, ma ebbe però il compenso di vedere l’anima della sorella morta, salire verso il cielo come una colomba. L’esempio di questi due santi fratelli testimonia l’amore di Dio che esalta e premia chi gli è fedele fino in fondo. P. Angelo Sardone

La Regina di Saba e l’eloquenza di Salomone

«Quanto alla sapienza e alla prosperità, superi la fama che io ne ho udita» (1Re 10,7). Al tempo del re Salomone, nel sud ovest della penisola arabica, nel moderno Yemen, era fiorente il Regno di Saba, un grande centro commerciale, retto da una regina. Avendo sentito parlare della fama e della saggezza del re, questa si recò a Gerusalemme forse per stabilire relazioni commerciali dal momento che il Re di Israele aveva il controllo delle carovane che dall’Arabia si dirigevano verso la Siria e l’Egitto. Portò con sé un corteo molto numeroso, cammelli carichi di aromi, oro in grande quantità e pietre preziose. La Scrittura racconta che la regina volle sottoporre al re diverse questioni e rimase incantata dalle sue precise risposte come anche della organizzazione perfetta della servitù, del vitto presente sulla tavola e soprattutto della saggezza di Salomone. Lodò il re affermando che quanto aveva sentito dire di lui era solo la minima parte di quello che effettivamente egli era. La sua ammirazione si tramutò nel dono munifico di molteplici oggetti e del legname di sandalo col quale Salomone fece fare ringhiere per il tempio. Inoltre divenne anche una preghiera di lode e gratitudine al Signore per il dono di questo re collocato sul trono di Israele. In compenso il re le donò quanto lei desiderava ed aveva domandato. È un bellissimo quadro biblico che esalta la grandezza regale di Salomone in accordo pieno con la volontà del Signore. Quando si scosterà da Lui tutta la sapienza si tramuterà in disonore e repulsione da parte di Dio. Nella vita di oggi tante volte succede la stessa cosa. P. Angelo Sardone

La grande preghiera del re Salomone

«Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo» (1Re 8,30). Per il cristiano la Bibbia è anche un libro di preghiera. In essa, oltre i 150 salmi, nella sequenza dei 73 libri che la compongono, sono spesso riportate preghiere formulate da personaggi diversi fino a Gesù che nel Padre nostro insegna la preghiera che riassume tutto il vangelo. Il caso del re Salomone è uno dei più significativi. Dopo che il Signore con l’Arca dell’Alleanza prese possesso del tempio e dopo che il re ebbe fatto un discorso appropriato al popolo, si pose davanti al Signore e di fronte all’intera assemblea di Israele, in modo che tutti potessero vederlo e sentirlo, stese le mani al cielo e cominciò una lunga preghiera personale. In essa, con un passo graduale il re si rivolge a Dio esaltandone il nome unico e grande, la fedeltà all’alleanza, la sua misericordia, la coerenza in tutto. A Lui chiede di tenere gli occhi sempre aperti sulla sua casa, il tempio, e di ascoltare la voce che dal tempio stesso si innalza verso il cielo. Conclude questo primo tratto chiedendo al Signore che dal cielo, luogo della sua dimora, ascolti la voce di questa preghiera sua, del popolo e di quanti dopo di loro pregheranno. È un bellissimo esempio di preghiera, soprattutto perchè formulato da chi, elevato in dignità e responsabilità, porta davanti a Dio insieme con le sue esigenze quelle di un popolo a lui affidato. Questo ministero continua oggi nella Chiesa attraverso la preghiera dei sacerdoti che non solo si fanno modelli per il gregge, ma attraverso la preghiera offrono al Padre il proprio gregge e si offrono al Padre per il gregge. P. Angelo Sardone

I salmi di Davide espressione di amore e di lode a Dio

«Davide cantò inni a Dio con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato» (Sir 47,2). Il libro del Siracide, nel tessere l’elogio dei personaggi illustri del vecchio Testamento, nella sezione dedicata ai re d’Israele riserva dieci versetti al grande re e profeta Davide. In forma storica e poetica sono sintetizzate le gesta del re dal quale proviene Cristo: dalla sua chiamata da dietro il gregge del padre Iesse a Betlemme, alla sconfitta del gigante Golia; dall’annientamento dei Filistei al grande suo peccato. In particolare viene esaltata la sua dedizione a Dio, con le parole di lode ed i suoi inni, espressioni   di amore. Di ciò aveva dato già prova con la sua abilità musicale quando era entrato a far parte della corte di Saul. La tradizione biblica attribuisce a lui la composizione dei 150 Salmi, di cui 73 portano espressamente il suo nome nel titolo. Essi tracciano la storia d’amore di Dio con l’umanità attraverso i passaggi storici del popolo di Israele e le diverse situazioni, comprese quelle del peccato. La questione storica dei Salmi è abbastanza complessa. Certamente la più antica raccolta dei Salmi porta il suo nome, risale alla monarchia e propriamente a Davide che in un certo senso ha introdotto ed organizzato la musica nel culto, conferendo splendore alle feste e facendo lodare il nome santo del Signore. Dei Salmi ne parlò S. Pio X nella Costituzione Apostolica Divino afflatu (1° novembre 1911), sottolineando come da essi è nata la «voce della Chiesa», la salmodia, l’innodia, che loda Dio con le stesse parole con le quali Dio stesso si è lodato (S. Agostino). Coi Salmi, la verve artistica, teologica, contemplativa, poetica e musicale di Davide continua a vivere soprattutto nella preghiera liturgica. P. Angelo Sardone 

Le raccomandazioni di Davide a Salomone

«Sii forte e móstrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo le sue leggi» (1Re 2,2-3). Da Betsabea, che fu moglie di Uria, Davide ebbe il figlio Salomone. Prossimo alla morte, volle fargli alcune raccomandazioni riportate nel primo Libro dei Re. Il cronista registra fedelmente quanto il re ormai vecchio, nella saggezza acquisita con la sua esperienza, lascia in eredità al figlio che sarà la gloria assoluta della dinastia. Il primo tratto dell’eredità è l’incitamento ad essere forte e uomo fino in fondo. Il secondo, ad osservare scrupolosamente la legge di Dio; la terza a camminare nelle vie del Signore mettendo in pratica i suoi comandi, le sue norme e le sue istruzioni. Il compenso che ne verrà sarà la buona riuscita in tutto quello che farà e dovunque lo farà. In confronto alla grandezza, alla sontuosità del suo regno ed alla sua durata, questo testamento testimonia il compimento di una missione realizzata secondo il volere del Signore e segnata profondamente dal contatto con Lui e dalla strada aurea della sua legge. In queste espressioni si concentra il meglio che un padre possa raccomandare e donare al proprio figlio: è frutto della maturità acquisita anche in mezzo di tribolazioni, guerre, dolori. Da sempre nella dimensione sociale della vita tanti padri lasciano ai loro figli non solo l’eredità materiale, ma anche e soprattutto quella spirituale e morale che traccia loro il sentiero della verità, dell’onestà, del rispetto altrui e dell’adempimento della legge di Dio. Oggi i figli hanno bisogno di questo, più di ogni altra cosa. P. Angelo Sardone