Sacro Cuore di Gesù e Giornata sacerdotale

Sacratissimo Cuore di Gesù. Una delle massime espressioni della pietà cristiana è costituita dalla singolare devozione al Sacro Cuore di Gesù. Essa si basa su elementi importanti: riparazione, amore e gratitudine. Nell’atto della crocifissione si rappresenta in maniera più adeguata il Sacro Cuore che non è altro che Cristo crocifisso ed il suo costato aperto dalla lancia. I Santi e le Sante, particolare alcuni, sono stati insigni apostoli di questa devozione. Già a partire dal Medioevo molti, soprattutto mistici e mistiche, approfondirono il mistero del Cuore di Cristo, come sede della misericordia e dell’incontro con lui, sorgente di infinito amore. In epoca più recente si distinsero S. Margherita Maria Alacoque (†1690), a cui il Signore rivelò le ricchezze del suo Cuore e S. Claudio la Colombière (†1682) solerte promotore. L’intuito pastorale e sacerdotale di S. Giovanni Paolo II volle che in questa circostanza, già dal 1995, si celebrasse la Giornata di preghiera per la Santificazione dei sacerdoti, perché «il sacerdozio sia custodito nelle mani di Gesù, anzi nel suo cuore, per poterlo aprire a tutti». La santità dei presbiteri è infatti via di accesso ed itinerario di santificazione dell’intero popolo di Dio. Proprio per questo il santo Curato d’Ars affermava che «il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù»: in esso i presbiteri trovano la loro intimità e la loro stessa ragione di essere, come pastori ed operatori qualificati della carità di Cristo, da Lui scelti, consacrati nella fedeltà e fecondità del loro ministero. S. Annibale M. Di Francia chiamò la nostra Congregazione dei Rogazionisti del Cuore di Gesù, sia perché la preghiera per le vocazioni è il frutto diretto di quel dolcissimo cuore, sia perché un’autentica santità sacerdotale si stabilisce sul modello del Cuore divino che è nello stesso tempo un cuore d’uomo. Chiedo una preghiera per noi sacerdoti, perché possiamo essere oggi proiezione anche se impari, di quel cuore puro, fedele, appassionato di amore per Dio e per le anime. P. Angelo Sardone

Formazione ed animazione di una comunità

«Da noi stessi non siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi capaci di essere ministri di una nuova alleanza» (2Cor 3,5-6). La formazione e l’animazione di una comunità cristiana, soprattutto agli inizi della diffusione del Cristianesimo, non fu cosa facile. La grazia e la sapienza di Dio orientarono i passi di S. Paolo nella sua missione evangelizzatrice ovunque, ma soprattutto nella città di Corinto, ambiente difficile perché crocevia di pensiero, religioni, commerci e soprattutto vita morale non proprio eccellente. Il lavoro di Paolo fu duro ed estenuante per circa un anno e mezzo: col suo esempio, prima di tutto procacciandosi da vivere col suo lavoro, con l’annunzio chiaro del Vangelo anche in mezzo alle difficoltà, col sedare conflitti ed appianare contrasti dovuti anche a posizioni diverse di qualche evangelizzatore. Il frutto del suo apostolato sono le Comunità che ha fondato, che sono opera dello Spirito e si raccomandano da sé. La novità che viene proprio dallo Spirito fa superare l’antica alleanza. Tutto questo fa parte di una capacità che viene esclusivamente da Dio e fa oltrepassare le inevitabili difficoltà dovute soprattutto alle posizioni dei giudaizzanti. Paolo, mentre rivendica l’incapacità di pensare da solo e secondo la carne, attribuisce unicamente allo Spirito la capacità di essere Ministro della nuova alleanza. La legge antica, esteriore e scritta viene superata ora da quella dello Spirito, interiore che vivifica e dà forza. È questa nuova legge che conferisce all’apostolo di ieri e di oggi la forza necessaria per parlare, testimoniare e convincere non a partire dalla propria dimensione finita e labile, ma dalla grazia e dalla forza irresistibile dello Spirito. Ciò deve correggere la mentalità e le comunità laddove tante volte le lettere commendatizie sono quelle di chi annunzia e non la verità di quanto viene annunziato e verificato con la pratica della vita. P. Angelo Sardone

La consolazione che viene da Dio

«Egli ci consola in ogni nostra tribolazione, perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in ogni genere di afflizione» (2Cor 1,4). Le lettere di S. Paolo, come tutti gli scritti ispirati e ritenuti tali dalla Tradizione, sono utili per la formazione e la crescita della dimensione della fede. Lo studio della teologia e del nuovo Testamento al di là dei Vangeli che costituiscono l’ossatura portante della fede, trova negli scritti degli Apostoli e, particolarmente di Paolo, una miniera profonda di insegnamenti che danno ragione alla speranza che è in noi. La seconda lettera ai Corinzi si pone in un contesto ben preciso di complementarietà tra l’annuncio fatto a voce e le indicazioni date secondo le notizie ricevute, per il bene della consistete comunità che si era costituita in una città famosa e complessa, centro di cultura greca e crocevia di pensiero e di religioni. Lo scritto si apre con un indirizzo di saluto ed un ringraziamento. È un modo di fare tipico dell’epistolario paolino che dà il tono e presenta i temi fondamentali. Quello della consolazione è un elemento che già i Profeti avevano annunziato quale caratteristica dell’era messianica presentata come conclusione delle prove ed inizio di un tempo di pace e di gioia. La consolazione cristiana proviene dalla sofferenza di Cristo e deve esse accolta come incoraggiamento, conforto, esortazione, con una vera e propria partecipazione e non passività. È Dio che consola in ogni tribolazione. Lo Spirito Santo, secondo l’insegnamento stesso di Gesù, è il consolatore per eccellenza perché riversa nell’animo la grazia e la forza necessaria per affrontare le difficoltà e non perdersi d’animo. P. Angelo Sardone

Il corpo e sangue del Signore

Cosa Celebriamo nella solennità del Corpus Domini. - La Luce di Maria
«Dio ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore» (Es 8,3). La solennità del «Corpus Domini», il corpo e sangue del Signore, si colloca nella Liturgia dopo la celebrazione del mistero della Trinità. Non si tratta di un doppione del Giovedì santo, ma di un ulteriore momento annuale nel quale si manifesta pubblicamente la fede nell’augusto mistero dell’Eucaristia. Il dato storico della sua istituzione risale al 1246, ad opera della beata Giuliana di Retìne, una suora belga che aveva chiesto al vescovo di celebrare una festa eucaristica fuori del contesto della settimana santa. È noto inoltre il riferimento al miracolo eucaristico avvenuto a Bolsena il 1263, quando un prete boemo che si recava a Roma si fermò a celebrare la Messa e fu sopraffatto dal terribile dubbio che nella Eucaristia ci fosse davvero il corpo ed il sangue di Gesù Cristo. Al momento della consacrazione dall’ostia uscirono alcune gocce di sangue che sporcarono il corporale di lino e alcune pietre dell’altare, tuttora visibili nel Duomo di Orvieto dove sono conservati. Un’ulteriore eclatante testimonianza è data dal celebre miracolo eucaristico di Lanciano, tra il 730-750, dove si conserva l’ostia tramutata in carne. Anche qui un monaco basiliano mentre celebrava la S. Messa, assalito dal dubbio della reale presenza di Gesù nell’Eucaristia, vide l’ostia trasformarsi in carne, il vino in sangue. Gli studi recenti hanno confermato che quella carne è un frammento del miocardio, ed il sangue appartiene al gruppo sanguigno AB. È significativa la processione del Corpus Domini per le strade delle città ad indicare il popolo di Dio che cammina col suo Signore proclamando la fede nel «Dio-con-noi». Gesù «stabilì e conferì agli apostoli il suo sacerdozio, con la potestà di consacrare il suo corpo e il sangue suo preziosissimo sino alla fine dei secoli» (S. Annibale M. Di Francia). Di qui la necessità di chiederli con insistenza al Dio delle misericordie e di ogni grazia, perché solo tramite loro è assicurata la celebrazione della S. Messa e la confezione dell’Eucaristia. P. Angelo Sardone

Il lieto fine per Sara e Tobia

«Raffaele disse a Tobìa prima che si avvicinasse al padre: «Io so che i suoi occhi si apriranno» (Tb 11,7). La storia di Tobi e Tobia, come raccontato nel libro omonimo, va verso il lieto fine. L’apporto divino manifestato concretamente tramite l’Arcangelo Raffaele che si è presentato ed ha accompagnato Tobia nel viaggio, è stato determinante. Il fiele ricavato dal pesce, sarà determinante per ridare la vista al padre anziano. Sara, la sposa del figlio, liberata ormai dalla ossessione diabolica, potrà seguire il marito a Ninive lasciandosi dietro le spalle la sua disavventura matrimoniale, perché purificata finalmente dalla grazia di Dio che ha vinto il demonio. Sono partiti insieme, tutti e tre da Ecbatana, per tornare a Ninive e concludere positivamente la grande avventura, a testimonianza della fede in Dio che premia sempre. Lasciata dietro Sara, Tobia e Raffaele vanno avanti perché si compia il resto del miracolo già realizzato in tutto il viaggio: Tobia spalma il fiele del pesce sugli occhi del padre Tobi al quale cadono le scaglie e torna a vedere. Tutto finalmente si è realizzato. I genitori di Tobia, Tobi ed Anna possono vedere ed accogliere come figlia nella loro casa la nuora Sara e si chiuderà finalmente per tutti il capitolo doloroso della loro vita. L’esemplificazione biblica è di grande effetto ed eloquente insegnamento. La parabola si riscontra frequentemente nella vita degli uomini. Quando ci si lascia guidare da Dio e si accoglie il dono della sua presenza anche attraverso qualche angelo, le vicende prendono un altro corso e si manifesta la volontà di Dio che è sempre e comunque volontà di bene. P. Angelo Sardone

Il demonio sconfitto e la vista ridonata

«Preghiamo e domandiamo al Signore nostro che ci dia grazia e salvezza. Si misero a pregare e a chiedere che venisse su di loro la salvezza» (Tb 8,4). La narrazione del libro di Tobia diviene avvincente soprattutto quando l’Arcangelo Raffaele prende in custodia Tobia e lo conduce ad Ecbatana nella Media, per prendere in sposa Sara sua cugina, figlia di Raguele. È uno dei tratti biblici più noti e significativi soprattutto in riferimento alla concezione del matrimonio ed al dono reciproco degli sposi, mediato dalla grazia di Dio. Sara è vittima del demonio Asmodeo che la notte stessa del matrimonio ha fatto morire uno dopo l’altro i sette mariti ai quali suo padre l’aveva data volta per volta. L’enorme difficoltà viene superata dall’intervento divino tramite Raffaele che dà sicurezza a Tobia invitandolo a non avere paura ma a fidarsi di Dio. Entrambi i coniugi, introdotti nella camera nuziale, vivono una intensa liturgia nella quale avendo dichiarato innanzitutto il proposito di prendersi e donarsi non per lussuria, innalzano al Signore la loro preghiera di benedizione. In particolare Tobia precisa la rettitudine di intenzione con la quale prende in sposa Sara e chiede con semplicità di farli giungere insieme alla vecchiaia. Il doppio «amen» finale suggella la preghiera e l’affidamento a Dio. Dormirono tutta la notte senza che succedesse nulla. La trattazione e l’episodio di Sara e Tobia tante volte viene proclamato nel corso della liturgia nuziale ad esempio di come si intenda impostare la vita matrimoniale che fa superare anche le difficoltà inevitabili o quelle straordinarie, con la fiducia nel Signore e l’abbandono completo nelle sue mani. P. Angelo Sardone