Tenerezza e fermezza in S. Paolo

«Il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese. Chi è debole, che anch’io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?» (2Cor 11,30). Le lettere di S. Paolo non sono missive come lo erano e nostre quando scrivevamo con penna e fogli. Sono veri trattati di teologia, scritti ispirati che contengono qua e là anche espressioni profondamente umane ed autobiografiche non espedienti letterali, ma vere e proprie confessioni. Ad un certo punto nella seconda lettera ai Corinti, Paolo apre quello che chiama il «discorso insensato» dove più che le parole, parlano i fatti ed in particolare le sofferenze da lui subite da parte di millantatori di verità diverse dal Vangelo, o contrastate da Giudei rimasti ferrei nella legge di Mosè. Le enunciazioni sono diverse e molto colorite: dalla prigionia alle percosse, dalle flagellazioni alla lapidazione, dai naufragi agli innumerevoli pericoli di mare e di terra, di deserto, di città, fame, sete, digiuno. Oltre tutte queste cose, confessa, il suo assillo quotidiano derivato dallo zelo pastorale: la preoccupazione per tutte le Chiese da lui fondate. Essa era derivata dalla paura delle cadute dei più deboli e dagli scandali cui potevano essere sottoposti i neofiti. Questo gli genera ansia e per questo freme. Si tratta di una confessione straordinaria che dice tutto il suo zelo ardente per l’annunzio del Vangelo e la salvezza delle anime. Noi sacerdoti dobbiamo imparare da lui il vero senso dello zelo autentico delle anime, mettendo da parte situazioni di facile compromesso e di accomodamenti solipsistici o propiziatori di fatue benevolenze che non fanno crescere né il popolo di Dio né tanto meno il presbitero stesso. P. Angelo Sardone