Donna sei tanto grande e tanto vali!

«Il Signore Dio formò con la costola che aveva tolta all’uomo una donna e la condusse all’uomo» (Gen 2,22). Sin dalle prime pagine della Genesi, cioè le origini del mondo, la donna è protagonista con l’uomo delle vicende della vita e dei suoi rapporti con Dio. Secondo la narrazione biblica, ella compare nel mondo accanto all’uomo con l’espressione figurata della sua origine dalla sua costola, ad indicare il profondo rapporto che esiste con lui. Tratta dall’uomo, è condotta all’uomo che la riconosce come parte integrante dalla sua carne (la fragilità) e dalle sue ossa (la consistenza), realtà che si intersecano e passano dall’uno all’altra. Il suo stesso nome ishsha, donna, è il femminile di ish, uomo, quasi a dire «uoma», la medesima realtà, al maschile l’uno ed al femminile l’altra. Queste verità sono profondamente incise nella realtà umana e nella vera e completa considerazione dell’identità, del valore e del ruolo della donna nel contesto della famiglia e nella società civile ed ecclesiale di ogni tempo. La sua presenza accanto all’uomo è complementare, né superiore né inferiore, ma uguale. Il Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo, noto come insegnamento e frequentemente citato a proposito, mette in guardia dal non «far piangere la donna, perché poi Dio conta le sue lacrime!». La storia registra purtroppo ancora oggi lagrime abbondanti dovute alla violenza da lei subita, al mancato riconoscimento della sua identità e della preziosità accanto all’uomo in tutti i settori della vita. Grazie donna per quello che sei: figlia, sorella, madre, nonna, amica, consacrata a Dio. Grazie per quello che vali, per le tue parole e i tuoi silenzi, la tua fatica ed il nascondimento, la tua dolcezza ed il pudore, la tua delicatezza e la tua forza. Auguri a tutte le donne, nell’annuale celebrazione della loro festa. P. Angelo Sardone

La preghiera multiforme

«Signore Dio, grande e tremendo, fedele all’alleanza, benevolo abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli» (Dn 9,4-5). Spesso nella Bibbia la preghiera non è solo invocazione, supplica o lode, ma anche richiesta di perdono e propiziazione. È assolutamente vero quando si dice che nella Sacra Scrittura si trovano le più belle preghiere che ruotano ed evidenziano le molteplici situazioni umane. Nel caso del profeta Daniele e della preghiera riportata nel capitolo 9 del suo libro, si tratta di una invocazione fiduciosa, umile con profonde reminiscenze bibliche che l’accostano ad altre come quella di Azaria ed ispira l’altra di Baruc. Digiuno, veste di sacco e cenere sono gli elementi base entro i quali si colloca la preghiera. Dopo la constatazione dell’identità di Dio grande e tremendo, fedele all’alleanza, benevolo verso tutti coloro che lo amano ed osservano i comandamenti, il profeta ammette il peccato suo e della sua gente, l’allontanamento dalla legge, la disobbedienza ai profeti, suoi porta-parole. Nel contempo distingue la giustizia che appartiene a Dio e la vergogna che è propria di chi ammette il proprio peccato e si pente. Benevolenza e misericordia si addicono a Dio e sono complementari alla giustizia e verità. Il Vangelo questo insegna e ribadisce: alla fedeltà di Dio deve corrispondere la fedeltà dell’uomo. La ribellione dell’uomo partendo da quella di Adamo ed Eva deve essere superata dall’accoglienza umile del potere di Dio che prima di ogni cosa verte sull’amore e sulla giustizia. Questo non bisogna dimenticarlo mai. P. Angelo Sardone

Abramo, un uomo obbediente

«Abram partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gen 12,4). È questo l’epilogo sintetico di ciò che solitamente si definisce la «chiamata di Abramo». La fine del capitolo 11 del libro della Genesi, è preceduta da un sommario generazionale che menziona le origini di Terach, padre di tre figli, Abramo, Nacor ed Aran, che vivevano nella terra di Ur dei Caldei. Qui era morto Aran, padre di Lot. Nacor aveva preso in moglie Milca, figlia anch’essa di Aran e dunque sua nipote, mentre Abramo aveva sposato Sarai che era sterile. Terach colpito dalla duplice sventura, la morte del figlio e la sterilità della nuora, partì da Ur dei Caldei portando con sé Abramo, la moglie Sarai e suo nipote Lot e si diresse verso la terra di Canaan. A metà del tragitto, si stabilì a Carran, un luogo che ricorda il nome del figlio morto, Aran. Proprio in questa terra Dio chiama Abram e con un perentorio comando gli ordina di andarsene dalla casa di suo padre e dalla sua parentela verso una terra a lui sconosciuta che egli stesso gli indicherà. Insieme con il comando vi è l’assicurazione di una benedizione particolare che gli concederà perché possa diventare lui stesso una benedizione per gli altri e per tutte le famiglie della terra, rendendo grande il suo nome e numerosa la sua progenie. Abram obbedì e partì, proprio come gli aveva ordinato il Signore. La vocazione di Abramo è divenuta nel corso del tempo il prototipo della risposta alla chiamata di Dio, ed indicata in un cammino di discernimento come icona cui ispirarsi. La fiducia del grande Patriarca si evidenzia già da ora come un completo abbandono nelle mani di Dio che gli rivelerà a passi graduali la grandezza del suo amore. P. Angelo Sardone