I salmi di Davide espressione di amore e di lode a Dio

«Davide cantò inni a Dio con tutto il suo cuore e amò colui che lo aveva creato» (Sir 47,2). Il libro del Siracide, nel tessere l’elogio dei personaggi illustri del vecchio Testamento, nella sezione dedicata ai re d’Israele riserva dieci versetti al grande re e profeta Davide. In forma storica e poetica sono sintetizzate le gesta del re dal quale proviene Cristo: dalla sua chiamata da dietro il gregge del padre Iesse a Betlemme, alla sconfitta del gigante Golia; dall’annientamento dei Filistei al grande suo peccato. In particolare viene esaltata la sua dedizione a Dio, con le parole di lode ed i suoi inni, espressioni   di amore. Di ciò aveva dato già prova con la sua abilità musicale quando era entrato a far parte della corte di Saul. La tradizione biblica attribuisce a lui la composizione dei 150 Salmi, di cui 73 portano espressamente il suo nome nel titolo. Essi tracciano la storia d’amore di Dio con l’umanità attraverso i passaggi storici del popolo di Israele e le diverse situazioni, comprese quelle del peccato. La questione storica dei Salmi è abbastanza complessa. Certamente la più antica raccolta dei Salmi porta il suo nome, risale alla monarchia e propriamente a Davide che in un certo senso ha introdotto ed organizzato la musica nel culto, conferendo splendore alle feste e facendo lodare il nome santo del Signore. Dei Salmi ne parlò S. Pio X nella Costituzione Apostolica Divino afflatu (1° novembre 1911), sottolineando come da essi è nata la «voce della Chiesa», la salmodia, l’innodia, che loda Dio con le stesse parole con le quali Dio stesso si è lodato (S. Agostino). Coi Salmi, la verve artistica, teologica, contemplativa, poetica e musicale di Davide continua a vivere soprattutto nella preghiera liturgica. P. Angelo Sardone 

Le raccomandazioni di Davide a Salomone

«Sii forte e móstrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo le sue leggi» (1Re 2,2-3). Da Betsabea, che fu moglie di Uria, Davide ebbe il figlio Salomone. Prossimo alla morte, volle fargli alcune raccomandazioni riportate nel primo Libro dei Re. Il cronista registra fedelmente quanto il re ormai vecchio, nella saggezza acquisita con la sua esperienza, lascia in eredità al figlio che sarà la gloria assoluta della dinastia. Il primo tratto dell’eredità è l’incitamento ad essere forte e uomo fino in fondo. Il secondo, ad osservare scrupolosamente la legge di Dio; la terza a camminare nelle vie del Signore mettendo in pratica i suoi comandi, le sue norme e le sue istruzioni. Il compenso che ne verrà sarà la buona riuscita in tutto quello che farà e dovunque lo farà. In confronto alla grandezza, alla sontuosità del suo regno ed alla sua durata, questo testamento testimonia il compimento di una missione realizzata secondo il volere del Signore e segnata profondamente dal contatto con Lui e dalla strada aurea della sua legge. In queste espressioni si concentra il meglio che un padre possa raccomandare e donare al proprio figlio: è frutto della maturità acquisita anche in mezzo di tribolazioni, guerre, dolori. Da sempre nella dimensione sociale della vita tanti padri lasciano ai loro figli non solo l’eredità materiale, ma anche e soprattutto quella spirituale e morale che traccia loro il sentiero della verità, dell’onestà, del rispetto altrui e dell’adempimento della legge di Dio. Oggi i figli hanno bisogno di questo, più di ogni altra cosa. P. Angelo Sardone

Giornata mondiale della Vita Consacrata

«Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi» (Ml 3,4). I fatti che l’evangelista narra a compendio dell’infanzia di Gesù si svolgono tutti a Gerusalemme: la città è il luogo della Presentazione del Signore al Tempio e della sua offerta a Dio, con un significato propriamente sacerdotale. Il cerimoniale si caratterizza con il vocabolario liturgico, cultuale e sacrificale: presentare, offrire, coi relativi frutti del sacrificio, la luce, la gloria. In questa circostanza, come il resto dei vangeli ampiamente dimostrano, Gesù viene indicato come colui che è offerto al Padre ma anche come colui che offre. Erano passati 40 giorni, tanti ne occorrevano alla madre per potersi recare al Tempio per la sua purificazione dopo il parto, trattandosi di un figlio maschio e per riscattare il neonato. Giuseppe e Maria si recarono al Tempio di Gerusalemme per compiere questo rito e presentare il bambino. Lo Spirito Santo spinge al tempio Simeone, uomo giusto ed Anna, una profetessa dedita ad una sorta di celibato consacrato. L’incontro con i genitori e Gesù determina l’illuminazione e la proclamazione di alcune significative profezie. Gesù rivela ancora una volta la sua grandezza, la gloria e la luce che apre alla fede. Alle parole di Simeone si ispira il rito della benedizione delle candele, la cosiddetta “candelora”. In analogia a questa festa ed al significato dell’offerta della propria vita, il 1997 Giovanni Paolo II istituì per il 2 febbraio la Giornata Mondiale della Vita consacrata con l’intento di “valorizzare sempre più la testimonianza delle persone che hanno scelto di seguire Cristo da vicino mediante la pratica dei consigli evangelici e, per le persone consacrate, occasione propizia per rinnovare i propositi e ravvivare i sentimenti che devono ispirare la loro donazione al Signore”. Oggi è la festa di noi religiosi, uomini e donne, di vita attiva e contemplativa, appartenenti a tutti gli Ordini e Congregazioni religiose, consacrati a Dio col vincolo dei santi voti. La vicinanza e la preghiera del popolo di Dio sostenga la nostra fedeltà e la testimonianza dei beni futuri. P. Angelo Sardone

La morte di Assalonne figlio di Davide

«Figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!» (2Sam 19,1). Tra i diversi figli che Davide ebbe, ne spiccava uno, Assalonne, il cui nome significa “il padre, cioè dio, è pace”. Era figlio di Macha figlia del re di Geshur. La Scrittura attesta che era molto lodato per la sua bellezza. Aveva ucciso il fratellastro Amnon che aveva violentato sua sorella Tamar. Per questo era fuggito dagli occhi del padre. Pur essendo stato perdonato aveva cominciato a coltivare ambizioni regali fino ad intentare una campagna offensiva nei confronti di Davide, autodichiarandosi re ad Ebron. Ciò dimostra la particolare situazione ambientale della famiglia di Davide, conseguenze della poligamia e lo scarso sforzo del grande re per guidare i suoi figli che manifestano la mancanza del senso del dovere. La rivolta di Assalonne metteva in effetti in evidenza lo scontento nei confronti del governo del padre. La battaglia divenne guerra aperta: nella foresta di Efraim si scontrarono gli eserciti di Davide e di Assalonne. Il giovane fu sconfitto e, malgrado il padre avesse chiesto che non gli fosse fatto alcun male, mentre fuggiva sopra un mulo, a causa della folta capigliatura rimasta impigliata tra i rami di una quercia, era rimasto appeso all’albero finchè Joab, capo delle forze di Davide non lo uccise. Enorme fu il dolore di Davide. La storia biblica spesso si ripete nella storia odierna laddove tanti padri pur essendo stati avversati dai figli con comportamenti scorretti se non ostili e denigranti, li piangono comunque, vittime del proprio orgoglio e della loro inopportuna ostinazione. P. Angelo Sardone