La vedova, povera ma sorprendentemente ricca

La semina del mattino

144. «Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere» (Lc 21,4). Sembra curioso l’atteggiamento di Gesù: non è un semplice guardare, ma osservare con attenzione, per trarre un insegnamento ed una esortazione. Egli evidenzia un forte contrasto al Tempio tra i ricchi che gettano le loro offerte nel tesoro e la vedova povera, che getta appena due monetine. I primi forse si sbarazzano di qualcosa di superfluo; la seconda dà tutto ciò che ha per vivere. Getta la sua sicurezza per l’oggi ed il domani in un gesto di totale abbandono alla Provvidenza di Dio, obbedendo alla legge. La portata del suo gesto è eccezionale. Essa che appartiene ad una delle categorie privilegiate agli occhi di Dio, insieme con gli orfani e gli stranieri, dà la tuonante ed efficace lezione ai detentori del potere e del possesso, perché dà ciò che le serve per vivere, se stessa, consegna a Dio la sua vita, il bene superiore. La povertà dei ricchi si scontra con la ricchezza della povera vedova e viene surclassata. La loro vuotaggine sfarzosa e tintinnante per il suono metallico delle monete gettate con orgoglio, si contrappone alla pienezza reale di un gesto compiuto nel nascondimento, senza vergogna, con piena dignità e con gioia. Dio infatti «ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). La vicenda continua ancora nella storia e della vita degli uomini. La ricchezza materiale, difficile oggi da quantificare e catalogare in un regime di strettezza economica, produce sperequazione, ostentazione ed apparente sicurezza. Le più potenti poltrone tremano dinanzi al gesto nascosto e silenzioso dei poveri che non solo si accontentano di quello che hanno, ma che a volte danno tutto quello che hanno. P. Angelo Sardone

Re e centro di tutti i cuori

La semina del mattino

143. «Tu lo dici: io sono Re» (Gv 18,37). L’Anno Liturgico si chiude con la Solennità di Cristo Re dell’Universo. È il titolo che si addice pienamente a Gesù avendolo Egli stesso proclamato dinanzi a Pilato, impacciato nell’amministrare il particolare suo caso giudiziario. La festa fu introdotta il 1925 da Pio XI, perché ci fosse più consapevolezza della regalità di Cristo. Nella pericope evangelica giovannea, sono dinanzi il detentore di un potere umano ed il Messia che egli stesso riconosce Re, facendo apporre la scritta in tre lingue nel cartiglio alla sommità della croce. Il dialogo è intenso: per ben 12 volte ricorre il termine re attribuito a Gesù di Nazaret. La logica e le categorie della sua regalità sono distanti e diverse da quelle umane perché fondano le radici nel servizio e non nel potere, nell’umiliazione e non nell’esaltazione, nella pace e non nella guerra. È un re di giustizia e di verità, di amore e di pace. La sua potenza ed il suo dominio si estendono su tutte le creature. È re «in senso pieno, proprio e assoluto» (Pio XII): il suo regno è spirituale e si contrappone a quello delle potenze diaboliche. La sua forza sono la verità e l’amore. L’ha instaurato con la sua presenza nel mondo, gli darà pieno compimento e giungerà alla perfezione alla fine dei tempi. Nell’arco della storia e del tempo il cristiano tende verso questo Regno che verrà ma che è già. La signoria di Cristo, prossima ai fedeli, si manifesta nel servizio. La risposta a Cristo Re dell’universo è un procedimento serio di impegnativa e concreta conversione che si apre alle prospettive certe di salvezza. P. Angelo Sardone

Cristo Re dell’universo

Solennità di Cristo Re dell’universo. Il Signore, come un pastore, cerca le pecore, le passa in rassegna e le raduna dai luoghi di dispersione in tempi nuvolosi e di caligine. Le fa riposare e le conduce al pascolo con tanta attenzione: cerca la smarrita, fascia la ferita, cura la malata, giudica tra pecora e pecora, tra montoni e capri. Gesù prefigura il giudizio universale come un’azione giudiziaria e, alla maniera del pastore, di separazione delle pecore dalle capre. Alle prime è riservata la benedizione, la salvezza e la vita eterna; alle seconde la maledizione ed il supplizio del fuoco eterno. Il criterio di giudizio sarà sull’accoglienza o meno dell’affamato, dello straniero, del nudo, del malato e del carcerato, una sintesi delle opere di carità, fatte a Cristo nascosto sotto tali sembianze. Il Regno di Cristo già su questa terra è un regno di pace, di verità è di giustizia. Alla fine Egli lo consegnerà al Padre dopo aver sottomesso ogni cosa e ridotto al nulla tutte le cose. P. Angelo Sardone

Oremus pro orantibus

La semina del mattino

142. «Il Signore ha magnificato il tuo nome in tutte le generazioni» (PdG, 7).

Così esclamò il sacerdote del tempio di Gerusalemme quando accolse, baciò e benedisse Maria bambina che aveva compiuto tre anni, ivi condotta da Gioacchino ed Anna per adempiere il voto fatto al Signore. La fece poi sedere sul terzo gradino dell’altare e la rivestì di grazia. Ella danzò con i suoi piedi e tutta la casa di Israele prese a volerle bene. Fu allevata nel tempio del Signore come una colomba, ricevendo il vitto per mano di un Angelo fino a quando compì dodici anni e fu data in custodia a Giuseppe che poi la sposò. Così il testo apocrifo del Protoevangelo di Giacomo, uno scritto del II secolo d.C. narra la Presentazione della beata Vergine Maria, la cui memoria si celebra il 21 novembre. La fanciulla, bellissima, per un dono soprannaturale Immacolata sin dal suo concepimento, viene in maniera del tutto speciale consacrata a Dio nel luogo sacro per eccellenza, per dedicarsi, come altre vergini, alla preghiera ed al servizio di Dio. Nel suo nome e nella sua identità Dio costruisce la dimora eletta per la nascita del Figlio in terra: sacro il tempio, sacro il grembo; riservata la dimora di preghiera, fulgente la grazia accordata per la salvezza dell’umanità; entra piccola al servizio del Signore esce grande ed acclamata per le generazioni future, magnificata dallo stesso Creatore. In questa giornata, per volere di Pio XII, sin dal 1953, si celebra la Giornata pro orantibus: con l’offerta radicale della loro vita, uomini e donne delle comunità monastiche claustrali sono con Maria e come Maria, dedite alla contemplazione, alla preghiera ed al lavoro, per far generare Gesù nelle anime e sostenere il mondo.  P. Angelo Sardone

La casa di preghiera

La semina del mattino

141. «La mia casa sarà casa di preghiera. Voi invece ne avete fatto un covo di ladri» (Lc 19,45).  Nella storia del popolo d’Israele, a cominciare da Salomone che l’aveva costruito nel X secolo adempiendo il volere di Davide, il grandioso Tempio di Gerusalemme era il riferimento religioso, cultuale e civile dell’intera nazione, il luogo santo per eccellenza, meta di pellegrinaggi e spazio nel quale trovare pace e rifugio. Distrutto completamente da Nabucodonosor il 586 a.C. fu ricostruito dopo l’esilio babilonese ed ampliato il 20-19 a.C. col protrarsi di 46 anni. Il funzionamento del tempio era legato anche ai sacrifici previsti dalla Legge di Mosè. Nel cortile esterno, detto “atrio dei gentili”, si vendevano gli animali per il sacrificio. L’offerta al tempio era fatta con la moneta locale, facilmente cambiata a coloro che arrivavano da lontano con altre valute, dai cambiamonete. Tutto questo era autorizzato dai capi dei sacerdoti. Il Terzo Isaia aveva definito il Tempio di Gerusalemme «Casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56, 7). Prima della sua passione Gesù si recò al Tempio e qui trovò i venditori di buoi, pecore, colombe e i cambiavalute in piena azione, anche speculando come ladri. Fu questo il motivo del suo intervento veemente: armato di una sferza di cordicelle smascherò l’idolatria, scacciò tutti fuori del tempio, rovesciò i banchi dei cambiavalute, gridando di non fare della casa del Padre un luogo di mercato. Con un gesto simbolico di grande suggestione, Gesù inaugura l’era nuova del culto interiore, a partire dal nuovo Tempio, il suo corpo risuscitato, vera casa di preghiera al contrario dello sfruttamento dei poveri. P. Angelo Sardone

Dominus flevit: Gesù piange

La semina del mattino

140. «Gesù, vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa» (Lc 19,41). Fa una certa impressione leggere della commozione di Gesù, intensa fino al pianto. In tre diversi passi il Nuovo Testamento lo riferisce. A Betania piange la morte dell’amico Lazzaro e si unisce al dolore delle due sorelle. Quelle lacrime di dolore si trasformano in lacrime di gioia, con la risurrezione del morto (Gv 11,32-36). L’autore della Lettera agli Ebrei, sottolineando la dimensione sacerdotale di Cristo che compatisce le umane miserie e le sperimenta, afferma che Egli versò lacrime accompagnandole con grida ed una intensa supplica a Dio perché lo liberasse dalla morte (Eb 5,7). Infine, alla vista di Gerusalemme, prima della sua passione e morte, Gesù piange. Considera la mancanza di conoscenza del tempo della salvezza, della via della pace ed intravvede la distruzione della città santa, condannata per non aver saputo cogliere il momento favorevole della salvezza. Le sue lagrime manifestano non tanto la sua debolezza, quanto la grande delusione e la sua impotenza dinanzi ad una libertà umana gestita male. Risuonano inoltre come un invito accorato alla città, punto di riferimento della fede nazionale, ostinata nel peccato e nel rifiuto del Messia, perché si converta e faccia penitenza. La fine preconizzata da Gesù si realizzerà puntualmente il 70 d.C. prima con la rivoluzione degli Ebrei ribelli e poi con le truppe romane di Tito che metteranno a ferro e fuoco la città, distruggendola insieme col tempio. Il nostro è un Dio profondamente umano interessato alle sorti di ciascuna creatura e di ogni città del mondo! Per questo piange! P. Angelo Sardone

Il tetramorfo, ossia le quattro forme ed immagini

La semina del mattino

139. «In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro» (Ap 4,6). Il libro dell’Apocalisse è ricco di immagini, numeri, animali, una simbologia che affonda le sue radici nella teologia apocalittica del Vecchio Testamento. Nella visione si apre una porta in cielo ed il veggente, Giovanni, viene invitato a salire per vedere le cose che devono accadere. Sul trono avvolto da un arcobaleno vi è il Signore Dio Onnipotente. Attorno, 24 vegliardi che rappresentano il nuovo popolo di Dio che si inserisce e dà compimento all’antico: sono la somma delle 12 tribù d’Israele ed i 12 Apostoli.  In mezzo ed attorno, in alto, sopra i vegliardi, a destra ed a sinistra vi sono quattro esseri viventi pieni di occhi che simboleggiano la scienza universale e la provvidenza di Dio, con sembianze di leone, uomo, aquila, vitello. Rappresentano quanto di più nobile, forte, saggio ed agile vi sia nella creazione e l’universo intero che riconosce il potere di Dio e gli obbedisce. L’immagine profetica si rifà al turbinio di fuoco descritto da Ezechiele (1,4-10) che accompagna il popolo nel suo cammino verso l’esilio e dimostra che il Dio d’Israele è il vero Dio. L’interpretazione cristiana, a cominciare da S. Ireneo, ha identificato nei quattro esseri viventi i quattro evangelisti: leone (Marco), aquila (Giovanni), toro (Luca), uomo (Matteo) e quattro caratteristiche di Cristo: re come il leone; vittima sacrificale e sacerdote come il vitello, uomo perché nato da donna, aquila perché effonde lo Spirito Santo sulla Chiesa. S. Girolamo aggiunge una ulteriore interpretazione cristologica: Gesù «nato come uomo, morì come un vitello sacrificale, fu leone nel risorgere e aquila nella sua ascensione». Che grande ricchezza teologica! P. Angelo Sardone

La tiepidezza, un vomito

La semina del mattino

138. «Poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca» (Ap 3,15). Mi ha fatto sempre molto pensare e talora anche spaventare l’affermazione di Cristo, «Amen del Padre» diretta ai cristiani della Chiesa di Laodicèa, una opulenta città ad oriente di Efeso, centro di commerci e di banche. Il tenore del testo è rigoroso e giudiziario: il Signore conosce le loro opere, cioè la manifestazione concreta della fede, le azioni ed i comportamenti sociali e morali e li distingue sul piano analogico del freddo e del caldo. I due elementi atmosferici fanno riferimento ad un rifiuto tassativo di Dio e della sua Grazia o ad una convinta loro accoglienza manifestata con un’autentica e non superficiale conversione. A queste due categorie viene aggiunge una terza, la tiepidezza che richiama una conoscenza del Vangelo, ma esprime un asservimento pauroso e vile al mondo ed alle sue trame. Ciò si manifesta con assenza di zelo ed entusiasmo, facili e convenienti compromessi. Il Signore chiede invece un fervente impegno, serio e deciso nel praticare la vita di grazia, dando un taglio a tutto ciò che è passato e pagano, senza accontentarsi di indugiare in una situazione che sembra in bilico, ma è fortemente protesa alla negatività. Il giudizio divino ha una conclusione impressionante: «visto che sei tiepido, cioè né caldo e né freddo, comincerò a vomitarti dalla bocca!». O si brucia di amore convinto per il Signore accogliendo le sue indicazioni di vita, o si è freddi e riluttanti, addossandosi nefaste conseguenze. Non ci sono mezze misure. C’è troppa leggerezza, incauta e pericolosa! L’indifferenza e la tiepidezza sono peggiori di un netto rifiuto. P. Angelo Sardone

Il valore della perseveranza

La semina del mattino

137. «Conosco le tue opere, la tua fatica e la tua perseveranza» (Ap 2,2).

L’Apocalisse è il Libro profetico scritto da S. Giovanni che dopo S. Paolo è il più prolifico autore del Nuovo Testamento. Etimologicamente significa Rivelazione, dalla prima parola adoperata, e fa riferimento alle cose che devono accadere. La prima parte è costituita da sette lettere inviate dal Signore a sette Chiese dell’Asia Minore. Per ciascuna è riservato un messaggio particolare ora di encomio, ora di biasimo, ma tutte cariche di esortazione a cambiare ed a fare meglio. Il messaggio per la Chiesa di Efeso si apre con l’affermazione della conoscenza da parte del Signore, in particolare delle opere, della fatica, della perseveranza. Si tratta di un trittico che esalta l’impegno nella realizzazione di un progetto e la conseguente fatica, il lavoro diuturno per raggiungere l’obiettivo e la perseveranza. Opere buone o cattive determinano giudizi positivi o negativi: nulla di questo sfugge al Signore che conosce, cioè che apprende il vero. La fatica richiama l’attendere con assiduità e sacrificio ad una determinata applicazione. La perseveranza richiama il persistere con costanza, senza interrompere, in una azione o comportamento. Nella vita cristiana questi valori camminano di pari passo con la formazione delle coscienze e determinano l’andamento positivo dell’esistenza. Contrariamente agli uomini Dio sa, conosce, perché guarda nell’intimo e quivi scopre oltre il tanto bene che c’è, anche qualcosa che non va e che deve essere necessariamente corretta, con una autentica conversione e col ritorno alle opere del primo amore. P. Angelo Sardone

Il tabernacolo: riferimento di adorazione e di amore

La semina del mattino

136. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore!» (Sal 33,9). Gesù è presente nella S. Scrittura, nella Chiesa, nelle opere di carità fraterna, nei poveri. Ma è nel sacramento dell’Eucaristia, «mysterium fidei», dove si fa presenza per eccellenza, reale, con il suo corpo ed il suo sangue, l’anima e la divinità. La Chiesa non solo lo ha sempre insegnato, ma anche vissuto la fede in questa presenza, adorando con culto latreutico, cioè che compete solo a Dio, questo grande sacramento. «Nessuno mangia quella carne senza averla prima adorata. Non pecchiamo adorandola, ma anzi pecchiamo se non la adoriamo» (S. Agostino). Nell’Eucaristia si realizza in modo sommo e più completo la promessa di Gesù di rimanere con gli uomini sino alla fine del mondo. Il tabernacolo, particolarmente, deve costituire un polo di attrazione per un numero sempre più grande di anime innamorate di Lui, capaci di stare a lungo ad ascoltarne la voce e quasi a sentirne i palpiti del cuore (Giovanni Paolo II). Il suo corpo donato ed il suo sangue versato come bevanda di salvezza, trovano nella Passione la manifestazione concreta del dono ineffabile della sua vita per le creature, onde ottenere la redenzione eterna (Eb 9,11-12). Occorre avvicinarsi, vedere, cibarsi, gustare, per avere la certezza dell’efficacia di un mistero profondo di amore che invade la vita, la permea, le dona consistenza e qualità. Da ciò nasce l’impegno di vivere per Cristo: «chi mangia di me, vivrà per me» (Gv 6,57). È questione di amore e di volontà, scelta seria d’impegno maturo. P. Angelo Sardone