I segreti del cuore

Il Signore conosce i segreti del cuore, i segreti di ogni cuore. Egli ha riversato nel cuore dell’uomo la ricchezza del suo cuore ed ha dimostrato il suo grande amore per il mondo, donando il suo Figlio unigenito. Se per la letteratura più dotta il cuore dell’uomo è un “guazzabuglio” (Manzoni), per la Parola di Dio «l’uomo è un baratro e il suo cuore un abisso» (Sal 63,7). Il cuore dell’uomo è un luogo di eccezionale profondità che gli conferisce un aspetto misterioso se non a volte pauroso e buio, senza confini, insondabile, senza un limite. Anche se il concetto richiama qualcosa di negativo, di irreparabile, di perdizione, il cuore è cosa sacra ed altamente spirituale: Dio lo ha impiantato nella materialità e funzionalità più delicata del corpo dell’uomo, creato a sua immagine e somiglianza. Il cuore umano è il libro nel quale la prima parola l’ha scritta il Creatore incidendovi il suo primo vangelo: «Sei cosa molto buona. Ti amo. Ti ho fatto per me!». Ma non basta. Gli ha immesso la sete di Lui come quella della cerva che anela e “sospira” (Ravasi) all’acqua della fonte. Nel cuore dell’uomo Dio riversa la pienezza del suo amore e trova il consenso più profondo della sua Parola di verità e di luce. Nel cuore si racchiudono i segreti più intimi e profondi, più sacri ed inviolabili. Nessuna mente umana, nessuna dimostrazione di affetto, pur nella delicatezza e nella completezza di una profonda relazione d’amore, può penetrare nel cuore e conoscere la ricchezza e preziosità del suo contenuto che rimane noto nella verità più nascosta, solo agli occhi ed al cuore di Dio. I segreti ce li portiamo dentro il cuore sin da bambini: crescono in noi e con noi, si arricchiscono e si sviluppano nella maturità e nell’esperienza della vita; si colorano nelle diverse tonalità di luce ed ombra, di grazia e peccato, di coscienza ed indifferenza; sono riportati nelle note delle pagine della scrittura giornaliera della nostra esistenza. Rimangono inaccessibili ed incomunicabili nella più lucente verità anche se svelati ad altri a sprazzi o a torrente in piena: conservano sempre qualcosa di nascosto, perché forse sono volutamente taciuti o nascosti anche a noi stessi.

Davanti allo specchio della nostra coscienza però si illuminano di verità ed il ginepraio che si crea dentro il cuore, intricato e confuso, inaccessibile all’occhio, alla comprensione, alla condivisione ed al giudizio positivo dell’uomo, si apre alla lettura che dei pensieri, degli affetti e dei segreti più intimi ne fa il Signore che ci conosce più di quanto noi possiamo conoscere e sapere di noi. Perché nei segreti più profondi e sacri del cuore abita Dio. Possono essere anche macchiati di sangue, di colpe e responsabilità, ma agli occhi suoi i nostri segreti risultano splendenti di luce straordinaria di innocente purezza e di desiderio infinito di Lui. Il desiderio che, secondo una felice intuizione di S. Agostino diventa preghiera. In questi giorni di più facile accesso all’intimo del nostro cuore, dove coabitano sentimenti e paure, tensioni e speranze per l’incerto futuro che si prepara ad essere da noi nuovamente abitato e fecondato da una responsabile ed intelligente cooperazione, la preghiera, l’ascolto della Parola viva, efficace e penetrante, ha permesso non solo a Dio ma anche a noi di conoscere qualcosa in più dei nostri segreti di vita, riconoscendovene molti di entità straordinaria e di piacevole bellezza che sicuramente hanno reso meno buio e pauroso l’abisso del cuore umano. P. Angelo Sardone.

Pensieri in tempo di pandemia

Ho pensato spesso in questi giorni alla situazione ambientale e relazionale di tante persone che obbedendo ai provvedimenti istituzionali, vivono con difficoltà la ristrettezza di libertà, di movimenti, di operazioni, di normalità. Noi, in comunità, siamo abituati ad una esperienza di fraternità che ricalca lo stile di famiglia, per via della caratteristica propria della vita religiosa che si basa sulla condivisione degli stessi spazi, certamente più ampi dei limitati metri quadri di un appartamento familiare, di comuni intenti, di preghiera, di incontri spirituali e formativi. Anche se nell’esercizio del ministero sacerdotale manca il contatto fisico con il popolo di Dio, l’utilizzazione dei mezzi di comunicazione sociale permette la regolarità della condivisione, facendoci giungere nelle case e nelle vite degli altri con un messaggio, una preghiera e, particolarmente, con la celebrazione eucaristica giornaliera, momento nel quale i fedeli sono più presenti alla mente ed al cuore paterno del sacerdote. Ho pensato agli insegnanti alle prese con la tecnologia per continuare il lavoro scolastico con i propri alunni, alle loro difficoltà, alla stanchezza e talora anche alla delusione. Ho pensato agli studenti delle diverse classi ed età, al loro adattamento all’utilizzo dei mezzi informatici per seguitare l’apprendimento e lo studio sistematico a volte anche con precarietà di connessione e relazioni visive. Ho pensato agli universitari a conclusione del loro percorso accademico, costretti a rinunziare alla pubblica seduta di laurea con la partecipazione dei propri cari e degli amici, esperienza pensata ed attesa da sempre come traguardo di fatiche e sudori, costretti invece a difendere la propria tesi dinanzi ad uno schermo connessi visivamente ed oralmente con relatori e correlatori a distanza. Ho pensato a tanti anziani privi del conforto della presenza dei propri figli e più particolarmente dei nipoti anche in giorni di festa e di gioia. Il pensiero crea unità virtuale e proprio perché non è di ordine materiale, può raggiungere immediatamente persone e luoghi lontani e garantire vicinanza, condivisione, partecipazione alla gioia ed al dolore. Ho pensato. E il mio pensiero ogni giorno è preghiera proprio perché non è mai vuoto e silenzioso, ma esplosivo, carico di emozioni, di sentimenti e di forza di vita. Il mio pensiero particolarmente va a mio padre che proprio oggi supera il traguardo di 95 anni di età: penso alla sua lunga vita di lavoro, di impegno generoso ed oblativo per la famiglia e la società, di custodia scrupolosa dei valori della fede, dell’onestà, del sacrificio, del timore del Signore. Infatti, «Radice di ogni sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita» (Sir 1,20). Penso ai suoi lunghi silenzi carichi di ricordi e pensieri del passato, ai suoi sorrisi sereni e mi commuovo profondamente. Il mio pensiero, oggi è solo di gratitudine a Dio per il dono della sua veneranda età e di umile e fiduciosa preghiera perché il Signore e la Vergine Santa, ce lo conservino ancora a lungo. P. Angelo Sardone.

Pasqua, nuovo inizio

La Pasqua è un nuovo inizio. Non si tratta solo di una annotazione cronologica, ma di una situazione teologica ed esistenziale. Essa coincide con la stagione annuale della Primavera e segna una sorta di ripartenza. La natura si risveglia, la vegetazione rifiorisce, tornano le rondini, si equilibrano i ritmi del giorno e della notte. Nella vita spirituale non può esistere il letargo: qualsiasi forma che lo richiama è micidiale e letale, perché la natura dello spirito è energia, vita, movimento continuo, anelito all’infinito. L’anno liturgico ha il suo centro proprio nel mistero pasquale che segna l’annullamento del tempo passato e l’inizio di una vita nuova nella grazia, libera dal condizionamento del peccato. Il benedettino Odo Casel (1886-1948), grande liturgista tedesco dello scorso secolo morto proprio il mattino di Pasqua del 1948, paragonava l’anno liturgico ad un anello nuziale, senza inizio e senza fine, ovvero dove l’inizio coincide con la fine, in una continuità limitata nel tempo dell’uomo sulla terra. Con la risurrezione di Cristo si è innestata nella storia e nella vita umana una dinamica il cui fine e la cui fine è finalizzata all’uscita da questo mondo creato e all’approdo ed inserimento nel mondo di Dio, la vita che non ha fine. I richiami e le indicazioni scritturistiche, soprattutto quelle di S. Paolo, sono chiare: la risurrezione di Cristo, specchio della nostra risurrezione, implica necessariamente uno sguardo volto verso le cose del cielo, le realtà eterne, la costante ricerca di esse. Tutto ciò implica una mentalità nuova, frutto di quella “metanoia”, il cambiamento proclamato dal Maestro all’inizio della sua predicazione, insieme con la scelta di fede nel Vangelo, presentati e stimolati ampiamente entro tutto l’arco del cammino quaresimale. Il silenzio della tomba vuota di Cristo è diventato il grido assordante di vita che attesta un passato relegato nella misericordia del Padre ed un futuro affidato alla sua Provvidenza. Ciò che resta all’uomo, al cristiano, oggi, è la contemplazione di queste realtà che esulano dagli spazi temporali e si proiettano verso l’aldilà con una pratica di vita più cosciente, illuminata dalla grazia e coerente agli impegni del Battesimo. Questo è il cammino che prepara al mistero della Pentecoste; è un itinerario segnato dalla segregazione nei cenacoli domestici delle nostre case per paura del contagio pandemico, che va però vissuto, nonostante la stanchezza e l’impazienza della libertà delle strade, dei giardini, delle relazioni sociali, della ripresa del lavoro, come tempo propizio e luogo di gestazione di un mondo migliore, di un futuro più umano e proporzionato alle reali capacità non illimitate dell’essere vivente creato da Dio ed a Lui sottomesso nell’amore. P. Angelo Sardone

Domenica delle Divina Misericordia

La domenica successiva alla Pasqua da antichissima tradizione è denominata Dominica in albis vestibus depositis o più semplicemente “Domenica in albis”. Essa evoca l’azione con la quale i neo-battezzati, «bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa» (S. Agostino), dopo aver ascoltato le catechesi mistagogiche (cioè di introduzione al mistero), deponevano la veste bianca ricevuta col Battesimo nel corso della veglia pasquale e che avevano indossato per l’intera settimana. La veste era il segno della nuova dignità di cristiani, l’abito della festa, quasi un “matrimonio spirituale” (S. Giovanni Crisostomo) celebrato per otto giorni, quanti ne erano passati dalla Risurrezione di Cristo fino alla terza sua apparizione nel Cenacolo di Gerusalemme. Di qui è nata l’ottava di Pasqua, come un unico giorno di festa. Dall’anno 2000 per volere di S. Giovanni Paolo II la domenica che la conclude è detta “della divina Misericordia”, un titolo legato alle rivelazioni di Gesù alla santa polacca Faustina Kowalska. Il Cuore di Gesù ed il suo costato aperto sono la sorgente della misericordia infinita di Dio che si sperimenta particolarmente con i sacramenti della Riconciliazione e della Eucaristia. La grande misericordia consiste nella ri-generazione operata da Cristo con la sua risurrezione nella quale ha donato una «speranza viva, per un’eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce». Pace, gioia, Spirito Santo e potere di rimettere i peccati concesso agli apostoli, sono i doni pasquali elargiti da Gesù la sera stessa della risurrezione. Otto giorni dopo, il dito nel segno dei chiodi nelle mani e nei piedi e la mano nel fianco del costato sono i gesti che Gesù Cristo chiede di compiere a Tommaso, apostolo incredulo, il quale si arrende dinanzi all’evidenza con un grandioso e sintetico atto di fede: «Signore mio e Dio mio!». E Gesù pronunzia l’ultima delle beatitudini riservata a coloro che pur non avendo visto credono. La fede nel Signore risorto esige una nuova dinamica di vita, che deve esprimersi, come per la primitiva comunità cristiana di Gerusalemme, con la perseveranza e la frequenza assidua all’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, cioè la catechesi, alla comunione fraterna, alla frazione del pane, cioè l’Eucaristia, alle preghiere, unitamente alla condivisione dei beni materiali e spirituali: il tutto in letizia e semplicità di cuore. La nostra giornata sia ricolma di gioia, anche se per ora, per un po’ di tempo, siamo afflitti da varie prove, che in questi giorni hanno nome di pandemia, impedimenti relazionali ad ampio raggio, sociali, scolastici, lavorativi, ecclesiali. In questa maniera sta maturando la nostra fede, messa alla prova insieme con la pazienza e la costanza, perché possiamo raggiungere la mèta cioè la nostra ed altrui salvezza. Gesù, Divina Misericordia, continui a riversare con generosità la sua misericordia sul mondo intero anche con l’abbondanza di “buoni ed evangelici operai”. S. Annibale Maria Di Francia affermava infatti che la preghiera per le vocazioni, è la «misericordia delle misericordie». Buona domenica nella pace e nella gioia del Signore risorto. P. Angelo Sardone

Mater consolationis

In tempi di calamità, grande è il valore della consolazione. Essa si esprime con un atteggiamento, un’azione, una parola tesa ad attenuare il dolore, ad alleviare la pena, a dare vigore ad un cuore affranto, a stare accanto a chi è solo, con una incoraggiante condivisione. La consolazione è propriamente un dono dello Spirito Santo perché è Lui il Consolatore (paracletos). Gesù lo promise come Colui che insegna e ricorda. Da sempre la Chiesa invoca Maria “Madre della Consolazione”, colei che, avendo assistito e partecipato con grandi sofferenze alla Passione e morte di Gesù, è stata confortata dal Padre. Come divenne “Madre dei dolori”, così è divenuta a sua volta “Madre della consolazione” perché conforta e consola “quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione” (2Cor 2,4). La sua azione consolatrice cominciò nel Cenacolo di Gerusalemme dove, insieme con gli Apostoli nascosti per paura dei Giudei, attese ed implorò lo Spirito Santo. La sua funzione materna continua nella vita della Chiesa col soccorso e la consolazione che spande sul popolo di Dio in cammino. Abbiamo percorso insieme con Maria i passi della passione, morte e risurrezione di Gesù e stiamo vivendo il mistero della Pasqua ancora segregati nel “cenacolo domestico”. La paura del contagio e l’osservanza delle norme imposte ci tengono lontano fisicamente dai luoghi di culto e dalle relazioni ordinarie con gli altri, nei diversi ambiti della vita sociale e religiosa, generando talora stanchezza, frustrazione, impazienza, scoraggiamento, incertezza e paura del futuro. Ogni giorno abbiamo bisogno di consolazione: essa nasce dalla speranza della conclusione positiva di questo tempo particolare di prova e sofferenza e da qualcuno che costantemente ce lo ricordi. Maria è consolazione e speranza: è più vicina a noi di quanto possiamo credere perché è Madre nostra, resa tale da Gesù sulla croce nell’atto supremo del suo amore. La sua presenza dolce e delicata, si esprime in termini di tenerezza, presenza costante, preghiera per noi. Noi la invochiamo come soccorritrice: Lei prega per noi ed intercede presso il Padre reggendo con le sue mani il braccio appesantito del Figlio Gesù, trattenendolo da qualsiasi intervento che non sia lenitivo di ogni paura e sofferenza. Non siamo soli. Gesù è con noi sveglio in poppa alla nostra barca. Nel cielo poi c’è Maria “Stella del mare” che indica la rotta da seguire e con la sua luce splendente rende più chiaro il cammino anche di questo mare in tempesta. P. Angelo Sardone

Venerdì di Pasqua

La risurrezione di Cristo è il segno della sua vittoria sulla morte, la croce il suo trofeo. Lo strumento di infame condanna è divenuto elemento permanente di gloria. Le sante piaghe inflitte sul corpo immacolato del Salvatore, sono tracce indelebili della sua passione e mezzi inconfutabili per credere. Lo furono per l’apostolo Tommaso; continuano ad esserlo per chiunque ha bisogno di vedere e toccare con mano. Conseguenze di una orribile barbarie, sono le ferite più atroci e vistose sul corpo di Gesù: le mani, i piedi, il costato. Già previste nella profezia di Davide «Hanno forato le mie mani e i miei piedi» (Sal 21) ed in quella di Zaccaria «Sono quelle con cui sono stato ferito nella casa dei miei amici» (Zc 13,6), esse sono il segno indiscutibile della verità della crocifissione. Gesù Cristo le mostra ripetutamente nelle apparizioni dopo la risurrezione per evidenziare la sua identità: «Ero morto, ora vivo per sempre e ho le chiavi della morte e degli inferi» (Apc 1,18). Con le piaghe delle mani e dei piedi Cristo continua ad essere mantenuto appeso alla croce perché chiunque a Lui volge lo sguardo sia salvo. La simbologia teologica e liturgica afferma che dalla piaga del costato è sgorgata la Chiesa, il Battesimo e l’Eucaristia, primordiali sacramenti di salvezza. Da queste piaghe davvero noi siamo stati guariti (1Pt 2,25). La vita dell’uomo spesso è una via di calvario che si conclude con una crocifissione cruenta: vistose sono le piaghe ed atroci i tormenti. L’uomo si porta addosso le sue piaghe e quelle dell’intera umanità, il più delle volte provocate dalla sua stessa intelligenza, smaniosa di avere il dominio incontrollato sulle cose e sulle creature, andando oltre il limite delle potenzialità immesse da Dio nella natura. Con quelle piaghe vive e soffre, geme e si consuma. Con dieci piaghe inflitte all’Egitto, tramite Mosè Dio ha voluto mostrare al faraone la potenza del suo intervento liberatore e l’efficacia del suo essere davvero il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. L’attuale terribile pandemia probabilmente è una piaga che l’uomo stesso ha provocato, sovvertendo l’ordine impresso da Dio nel corpo umano, nella bellezza e sacralità della natura nell’inviolabilità delle sue leggi. Tante volte le piaghe si trasformano in cicatrici, meri ricordi di un doloroso passato. Spesso ciò non avviene ed il dolore continua ad essere acerbo per la perdita di una persona cara, per le difficoltà economiche e relazionali, per la mancanza di lavoro, per l’instabilità della salute, per l’incertezza del futuro. E’ allora necessario che, secondo una felice intuizione ed espressione di don Tonino Bello, quelle ferite diventino “feritoie” attraverso le quali continui a passare un raggio di luce che illumina la vita e dà un senso nuovo all’esistenza. Quelle piaghe lancinanti e sanguinanti possono diventare così strumenti di salvezza. Proprio quello che ci auguriamo presto avvenga sapendo bene che le piaghe di Cristo sono ancora oggi il segno del ricordo perenne di Dio nei confronti dell’uomo, un ricordo che Dio stesso porta inciso sulle palme delle sue mani (Is 49,15). P. Angelo Sardone.

Giovedì di Pasqua

I testimoni oculari confermano che Cristo è risorto dai morti: non si tratta di una favola ma di una sorprendente realtà; lo hanno visto, lo hanno toccato con mano. Credono fermamente e nel suo nome cominciano a compiere opere straordinarie. La fede, dono battesimale, matura e si conferma proprio a partire dalla risurrezione di Cristo. Immersi nella sua passione e nel suo sangue, siamo riemersi alla vita nuova, che fa apprezzare tutto ciò che già abbiamo e scoprire tanto altro ancora. Quanta gente e quante cose belle sono vicine, quante persone ci passano accanto lasciando qualcosa di sé in noi e non ce ne accorgiamo! Quanta superficialità a volte nelle relazioni! Quanti pregiudizi talora nelle valutazioni! Una fede matura non si rivela tale solo nelle relazioni con il soprannaturale e con Dio, ma anche nelle relazioni con chi è accanto, col prossimo più prossimo. La sfiducia, l’abbandono al pessimismo, la ricerca di paradisi artificiali mediati da una cultura edonistica, espressione del “tutto e subito” e “dell’usa e getta”, è chiusura alla vita, al mondo, a Dio. Fa ripiegare su se stessi alla ricerca di una consolazione effimera e di una meschina emozione che non possono venire dalla sazietà del cibo, dall’ingordigia e dall’appagamento di istinti contrari ad ogni forma di moralità e sacralità del proprio ed altrui corpo; che non è frutto del potere, del dominio, del desiderio sfrenato di possesso. Queste realtà sono sciagurate apparenze di una libertà confusa col libertinaggio, di un insaziabile desiderio spirituale che non può contentarsi del materiale. L’anelito allo Spirito, alla contemplazione di ciò che è bello, nobile e santo non può essere tramortito dal passaggio di un disagio temporaneo come quello che stiamo vivendo, che porta con sé elementi efficaci per la purificazione della mente confusa ed il cambiamento di una vita a volte smarrita. Il tempo della consolazione giungerà quando avremo intrapreso un cammino diverso da quello finora percorso e cambiato davvero vita, mettendo in pratica il valore antico e sempre nuovo che si chiama conversione. I testimoni confermano che vera saggezza è accogliere Gesù come “Signore” della storia della propria vita ed ascoltare tutto quello che Egli dice. Questa, probabilmente, è la lezione che Dio, con una fine ed amorosa pedagogia, sta impartendo oggi all’umanità perchè ritrovi se stessa. P. Angelo Sardone

Emmaus

Gesù si fa compagno nel nostro cammino, ogni giorno. Ci è accanto e non sempre ne accorgiamo. E’ l’invisibile compagno nel nostro itinerario, ci sostiene con la forza della grazia, ci illumina con la profondità della sua Parola, ci nutre col cibo dei sacramenti. Pasqua in fondo, significa anche saperLo riconoscere. L’incapacità umana di far fronte al mistero sublime della sua conoscenza, viene stemperata dalla sua continua iniziativa di mettersi accanto, come un viandante qualunque, prendendo la nostra stessa direzione, senza specificare le motivazioni che lo inducono a camminare con noi. Come un amico coglie la stanchezza degli occhi, la delusione del viso, il peso degli avvenimenti e delle situazioni, la paura di un futuro ancora oscuro. Come un amico vero, apre il cuore a noi, stanchi ed attardati, raccontando la grande storia di amore di Dio-Padre che si riferisce a Lui ed a noi. Partendo dalla creazione e giungendo fino ad oggi, spiega le esemplificazioni della Legge di Mosè (la Torah), dà piena luce agli scritti profetici, cose magari conosciute ma ancora tutte da comprendere nella profondità e nella verità. Lo svelamento completo ai nostri occhi si attua quando nella S. Eucaristia spezza il pane e ripetendo il gesto del giovedì santo, lo offre e si offre a noi come cibo e bevanda di vita. Lo ha fatto anche in questi giorni e continua a farlo, nonostante che i nostri occhi siano appesantiti dal sonno della tribolazione e della stanchezza, dall’incertezza e dalla paura del futuro. E’ accanto a noi. Ce ne dobbiamo accorgere, per non correre il grave rischio evidenziato da S. Agostino «Timeo Dominum transeuntem!», «Ho paura che il Signore mi passi accanto ed io non me ne accorga!». Nel momento in cui ci si accorge che è davvero il Signore, Lui, però, sparisce. Ha compiuto quanto voleva e lascia alla nostra responsabilità il compito di tornare indietro e di annunciare con gioia le verità finalmente comprese. In questi giorni, in questa particolare situazione ambientale, sociale, relazionale e spirituale, il Signore ci è accanto e ci sostiene. La fede in Lui morto e risorto, fa guardare altro e considerare oltre. Coraggio: il Signore Gesù doni nuovo entusiasmo e tanto equilibrio di mente e di cuore per non cedere alla tentazione della stanchezza e della delusione ma rimanere in piedi e stare saldi. P. Angelo Sardone

Risurrezione: storia di incontri

La risurrezione è storia di incontri. Nell’incontro si rinasce: dall’incontro si riparte. Il mistero del corpo di carne di Gesù di Nazaret risuscitato da morte dalla potenza del Padre creatore, genera ferma convinzione, fa scaturire la fede. Tutto comincia dalla tomba vuota: la vita e la morte dell’uomo si rendono più comprensibili proprio a partire da quel luogo e da quella situazione. Occorre un incontro. Chi ama non solo va incontro ma si lascia incontrare da Dio prima di tutto nella prostrazione dolorosa, quando la propria vita languisce nel peccato, nella leggerezza, nel nonsenso. La prima forma di risurrezione ed i suoi primi effetti partono proprio da un incontro purificante e sanante, nel momento programmato dalla Provvidenza di Dio che «non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva» (Ez 33,9). La certezza della propria risurrezione viene col tempo, si conferma dinanzi al luogo che nascondeva la morte e dalla ricerca di Chi era deposto in quel sepolcro. La custodia della morte è in un giardino come quello con delizie dell’Eden, come quello con gli olivi macchiati di sangue nel Getsemani. Per comprendere bisogna voltarsi verso Gesù anche quando non si capisce che è proprio Lui. La sagoma di Cristo, infatti, confusa con quella di un ortolano, si rivela gradualmente quando il risorto stesso chiede «uomo, donna perchè piangi, chi cerchi?» e poi si rivela pronunziando il nome di ciascuno. Solo allora lo si “vede” bene, si comprende, si corre verso di Lui, ci si afferra alle sue mani, ci si aggrappa ai suoi piedi ma non si è trattenuti. Da questo incontro nasce la missione: «va ad annunziare!». Si instaura il Vangelo, la grande gioia della “buona novella”, nuova e definitiva che rende salda la fede, ispira la testimonianza, genera nuovi figli nel Battesimo. La gioia pasquale parte dal vuoto della tomba con la presenza di due angeli che attestano la verità della risurrezione, e dall’incontro personale con Cristo. La certezza della risurrezione cambia la vita. Si acquista la maturità necessaria per affrontare ogni giorno il suo affanno e la sua pena e diventare così uomini e donne nuovi, figli e figlie della risurrezione. Essa è speranza, è certezza di un mondo ed un futuro migliore: quello che attendiamo dopo il momento buio di solitudine, di costrizione, di tanti morti di questi giorni; quello che possiamo e dobbiamo costruire noi con la caparbia di una volontà illuminata e sostenuta dalla fede più matura e dalla certezza che il nostro Dio è risurrezione e vita. P. Angelo Sardone

Pasquetta 2020

Oggi è ancora Pasqua. In consonanza con la mentalità e la prassi ebraica, nella Liturgia lo sarà per otto giorni di seguito con la cosiddetta “Ottava di Pasqua”. La tradizione cristiana definisce la giornata “Lunedì dell’Angelo”, in riferimento all’incontro degli Angeli del sepolcro che annunziano alle donne la risurrezione di Gesù. Non si tratta di un furto perpetrato dai discepoli del Maestro, ma di un evento straordinario operato dalla potenza di Dio Padre. Le donne, abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande corrono a dare l’annuncio ai discepoli. Gesù stesso va loro incontro, le saluta affettuosamente, dissolve ogni loro paura, si lascia abbracciare i piedi ed adorare e conferisce loro il mandato di andare ad annunciare il grandioso evento perché gli apostoli prima, e noi oggi, ne diveniamo testimoni. Per antica tradizione oggi è Pasquetta, termine vezzeggiativo di Pasqua, quasi a proseguire in forma più leggera la giornata immediatamente successiva al “grande giorno” principio di tutti i giorni. Da sempre si caratterizza come momento di festa, con la gita fuori porta e molto spesso il consumo degli avanzi del giorno prima. La fraternità, l’incontro con gli amici, il contatto con l‘aria aperta e la natura, la scampagnata, sono in genere gli elementi portanti della giornata quasi un prolungamento della gioia pasquale. La particolare ed attuale situazione non permette questa ritualità consolidata nel tempo. Si continua a dimorare tra le mura domestiche. I balconi delle case, per chi li ha, diventano una limitata imitazione dell’aria aperta e della libertà della campagna. Pazienza: questo è il ritmo e la modalità imposta per necessità quest’anno. Rimane ferma ed assodata la gioia del mistero della Pasqua come mistero di risurrezione e pienezza: per essa «la fede e la speranza, fisse in Dio» (1 Pt 1, 21) nutrono la vita di ogni giorno ed anche tra le limitate mura domestiche e gli angusti spazi della relazione fisica, permettono l’esercizio più ampio, spazioso ed efficace della carità. Essa raggiunge con immediatezza e senza spostarsi, i luoghi, le persone e gli affetti più cari. Buona Pasquetta. P. Angelo Sardone