La storia di Dio attraverso la storia degli uomini

«Lo proclamarono re e lo unsero. Gli astanti batterono le mani e acclamarono: Viva il re!» (2Re 11,12). Alla morte di Salomone (931 a.C.) il Regno si divise in due parti: 10 tribù al nord costituirono il Regno di Israele (con capitale Samaria) e due al sud, il regno di Giuda (con capitale Gerusalemme). Da allora si sviluppò una storia parallela di lotte tra i regni fratelli. Israele cadrà nel 721 per mano degli Assiri. Gerusalemme invece l’anno 587 per mano di Nabucodonosor re di Babilonia. Gli avvenimenti sono raccontati nei due “Libri dei Re” che nella Bibbia ebraica costituivano un unicum, e che devono essere letti come storia della salvezza. Permane la discendenza di David che assicura il deposito delle promesse messianiche in vista del loro compimento. Il racconto di Atalia, moglie di Joram re di Giuda, donna ambiziosa che vuole vendicare il figlio Okhozia ucciso da Jeu, con lo sterminio della discendenza regale, si risolse con l’investitura regale di Joas, provvidenzialmente risparmiato, quando ha appena sette anni per mano del sacerdote Joiada. Finché quest’ultimo gli fu tutore e visse, il regno prosperò. Alla sua morte il re si diede al culto dei falsi dei e trovò la morte. È interessante notare come lo svolgimento dei fatti storici non sempre noti ed articolati per il lettore frettoloso e superficiale della Bibbia, in fondo hanno una logica: conducono al compimento del piano di salvezza di Dio e passano anche attraverso avvenimenti delittuosi e raccapriccianti. Il questo caso, la mediazione del sacerdote Joiada che aveva tratto dal nascondimento Joas e gli aveva imposto le insegne regali, contribuisce a delineare lo svolgimento di questo piano. Nelle relazioni con Dio e con la mediazione della Chiesa la storia continua anche così. P. Angelo Sardone

Elia, profeta di fuoco

. «Elìa, con i tuoi prodigi! Chi può vantarsi di esserti uguale?» (Sir 48,4). Il libro didattico-sapienziale del Siracide, a cominciare dal capitolo 44 traccia l’elogio di alcuni uomini illustri del vecchio Testamento, personalità di calibro eccezionale per le loro gesta. Dopo Mosé, Giosuè e Davide, è la volta di Elia, definito “profeta di fuoco”. Il capitolo 48 riassume tutte le sue gesta perché rimangano a perenne memoria e siano scolpite soprattutto nella mente di coloro che attraverso la storia dell’uomo, comprendono e vivono la storia di Dio. Elia è profeta fedele a Jahwé, uomo di zelo. I suoi interventi sono stati sempre decisivi ad ogni livello: fece chiudere il cielo con la siccità e la conseguente carestia, risuscitò un fanciullo dalla morte, annientò il re Acab, unse due re ed il profeta Eliseo. Infine fu rapito in un turbine di fuoco su un carro di cavalli. La sua missione fu quella di rimproverare i tempi futuri, placare l’ira prima che divampasse, ricondurre il cuore del padre verso il figlio. Tutti questi elementi determinano la grandezza senza fine del profeta annoverato tra i più grandi di tutti i tempi e messo quasi alla pari di Mosé come rappresentante eccelso del passato biblico. Quanto è importante sottostare alla legge ed ai comandi del Signore, anche quando sembra che tutto vada a rotoli e si avverte la stanchezza oppressiva degli avvenimenti, della solitudine, del disprezzo degli altri. Dio vince sempre ed infonde un coraggio ed una forza straordinari. P. Angelo Sardone

Elisa rapito in cielo

«Elìa prese il suo mantello, l’arrotolò e percosse le acque: si divisero di qua e di là e i due passarono sull’asciutto» (2 Re 2,8). In procinto di ultimare la sua missione sulla terra, ben consapevole di quanto stava per accadergli, il profeta Elia si portò oltre il Giordano insieme col suo fedele discepolo, Eliseo. Un gesto ed un atto di importanza straordinaria caratterizza il principio del suo allontanamento definitivo dalla realtà terrestre: col suo mantello percuote le acque del Giordano che si dividono è così insieme con Eliseo può passare sull’asciutto. Quasi novello Mosé e Giosuè che avevano compiuto analogo gesto, Elia apre ai tempi nuovi che caratterizzeranno dall’ora in poi la storia di Israele, il vecchio ed il nuovo. La sua continuità sarà proprio Eliseo che chiede che i due terzi del suo spirito passino su di lui. Elia loda la consistente richiesta e lo rassicura che solamente se lo vedrà allontanarsi, il suo desiderio sarà esaudito. Un carro di fuoco si interpone tra i due e rapisce Elia che da allora scompare, mentre Eliseo afferra il suo mantello col quale, battendo sul fiume ne provoca la divisione per passare agilmente all’altra sponda. Il fuoco che ha caratterizzato fino ad allora le gesta del grande profeta del sec. IX pone fine alla sua vita col ratto sul carro. Di lui non resterà traccia sulla terra, come per Enoch. Riapparirà accanto a Gesù nel mistero della Trasfigurazione, esaltato nel ricordo delle sue grandi gesta. La coerenza e l’obbedienza al Signore, nonostante la gravi e molteplici difficoltà nelle quali ci si imbatte, sono gli elementi propizi ed efficaci che caratterizzano fino ad oggi la grandiosità di un profeta tutto fuoco di amore, con lo zelo per le cose di Dio. Quanto c’è da imparare da queste figure che, seppure lontane nel tempo, sono vicinissime ed attuali nella vita della Chiesa e nella sequela di Cristo. P. Angelo Sardone

Il perfido Acab

«Ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore» (1Re 21,20). Il rapporto Elia-Acab è stato sempre problematico. L’influenza della regina Gezabele fu nociva e perversa. La sua malvagità era sostenuta anche dalle sue credenze nei Baal e frutto di una arroganza perfida che non guardava in faccia a nessuno. Era stata lei ad istigare e convincere il re Acab, suo marito, ad impossessarsi a tutti i costi della vigna di Nabot, procurandogli una morte infame. Dinanzi a questo crimine il profeta non poté rimanere muto, anzi si presentò alla reggia e con un discorso infocato riprese il re e la regina per il loro crimine. Il fatto era molto grave: all’usurpazione indebita della vigna era seguita la morte dell’ignaro Nabot che voleva a tutti i costi salvaguardare la sua legittima proprietà. Il potere accecato dall’orgoglio del dominio era prevalso sul re con la complicità malefica della regina. Sembra storia di altri tempi, ed invece talora e la storia di oggi. Molte volte si rimane impietriti dinanzi a situazioni analoghe nelle quali i potenti hanno sempre la meglio ed i diritti, soprattutto quelli dei poveri, sono sistematicamente calpestati, vilipesi, defraudati. Solo la paura di quello che può accadere ed il pentimento sincero può cambiare le sorti conseguenti alle turpi azioni. Acab se ne avvide e vestì il sacco in penitenza. Il Signore non fece cadere su di lui la maledizione ed il giusto castigo, ma lo riservò per suo figlio. Il tornaconto economico acceca la mente e la ragione ed induce alle cose più sprezzanti, che però non restano impunite. P. Angelo Sardone

FESTA DI S. ANTONIO DI PADOVA, celeste rogazionista

«Insigne predicatore e patrono dei poveri e dei sofferenti» (Colletta della Messa di S. Antonio di Padova). La Chiesa ricorda oggi uno dei Santi più noti ed invocati di tutti i tempi e in tutto il mondo: S. Antonio di Padova. I secoli che distanziano da oggi la sua vita e la sua opera, sono pieni di attestati di grazie e devozione singolare ovunque, anche in nazioni non cristiane. Noi Rogazionisti e Figlie del Divino Zelo siamo «antoniani» soprattutto per la devozione del Pane di S. Antonio che nei nostri Orfanotrofi, è “qualche cosa di sorprendente: una vera specialità” (S. Annibale M. Di Francia). Sin dall’inizio la nostra Opera ha ricevuto da Lui il sostegno materiale attraverso le contribuzioni dei benefattori che chiedono preghiere dagli orfani ed assicurano, attraverso la forma del pane, la solidarietà ed il sostegno materiale. Così il santo Taumaturgo è entrato di diritto nella nostra Opera come grande risorsa per gli orfani ed i poveri, e grande conforto per tutti quelli che, per la sua intercessione, aspettano grazie dal cielo. S. Annibale definì S. Antonio «celeste Rogazionista» per il suo profondo legame col carisma della preghiera per le vocazioni. Provvidenzialmente la liturgia odierna riporta proprio il Vangelo del Rogate. La sua grandezza spazia a 360° con un’eccezionale cultura biblica e teologica, un’attività pastorale di alta qualità e soprattutto una santità di vita sempre attuale perché fondata sull’amore per Dio e il Prossimo. Auguri a tutti coloro, uomini e donne, che portano il suo nome, che significa «altamente tuona, simile a tromba squillante» (Vita Prima di S. Antonio 5,12). La testimonianza del grande Santo e la sua protezione facciano conseguire i desideri e le richieste, prima di tutto di una vita serena, guidata ed illuminata dalla grazia di Dio. P. Angelo Sardone

Il mistero della Santissima Trinità

«La fede di tutti i cristiani si fonda sulla Trinità» (S. Cesario d’Arles). L’unitá e la trinità di Dio sono il mistero centrale della fede e della vita cristiana, il mistero di Dio in se stesso, la sorgente di tutti gli altri misteri della fede (CCC, 711). I cristiani sono battezzati “nel nome della santissima Trinità”, un solo Dio in tre persone: il Padre onnipotente, il Figlio unigenito e lo Spirito Santo. Le tracce del mistero sono disseminate, già a partire dalla creazione, nell’intera Rivelazione. L’identità e l’intimità della Trinità, costituisce un mistero inaccessibile alla sola ragione prima dell’Incarnazione del Figlio e del dono dello Spirito Santo. Dio è Padre, origine di tutto e massima autorità di amore e tenerezza su tutto; trascende la distinzione sessuale della paternità e maternità umana: non è né uomo né donna, è Dio. Il Figlio è generato dal Padre prima di tutti i secoli, è in relazione perenne con Lui e della stessa sua sostanza. Lo Spirito che opera già nella creazione, si posa sui re, i profeti, i discepoli e dimora in loro. Procede dal Padre e dal Figlio: la sua missione continua nella Chiesa sulla quale è stato mandato sia dal Padre nel nome del Figlio, sia dal Figlio in persona. Genera unità e santificazione. Queste verità si comprendono solo per rivelazione e costituiscono la fede della Chiesa: si esprimono nei Sacramenti, a cominciare dal Battesimo e trovano spazio nella Liturgia, nella catechesi e nella preghiera della Chiesa. Si invoca la Santissima Trinità soprattutto con la dossologia (Gloria al Padre ed al Figlio ed allo Spirito Santo…), col segno della croce: si manifesta così, anche quando non ci si pensa, la professione di fede in Essa e la sua presenza ed azione santificante nella vita del cristiano. P. Angelo Sardone

Il mistero della Santissima Trinità

Sintesi liturgica

SS.ma Trinità.

La Sapienza di Dio rivela il mistero della Trinità, Dio uno e trino: uno nella sostanza e nella natura, trino nelle persone. L’alto e poetico contenuto del testo sacro evidenzia la grandezza del mistero che evoca Dio, creatore, il Figlio, sua delizia, lo Spirito Santo presente sin dagli inizi nell’opera creativa, redentiva e santificatrice, vero artefice. Il peso delle parole di Gesù è reso possibile e comprensibile solo col dono dello Spirito che glorifica il Figlio, guida alla verità, dice tutto ciò che ha udito e che è in possesso del Padre. Gesù genera la pace e mediante la fede dà accesso alla grazia ed alla gloria di Dio, il cui amore è riversato nei cuori attraverso lo Spirito donato dal Figlio. Questa speranza non delude. La certezza della fede viene dall’accoglienza e dalla rivelazione del primo mistero della nostra fede: l’unità e la trinità di Dio. P. Angelo Sardone

Barnaba, il figlio dell’esortazione

«Barnaba giunse ad Antiochia, vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore» (At 11,23-24). La prima espansione del Cristianesimo tra i pagani, ad opera della predicazione degli Apostoli e dei loro collaboratori, comincia da Antiochia, capitale romana della Siria e terza città romana dopo Roma ed Alessandria. Artefice indiscusso, prima di Paolo, fu il cipriota Barnaba, «figlio dell’esortazione», profeta e maestro, ivi mandato direttamente dalla Chiesa di Gerusalemme. Con molta probabilità faceva parte dei 72 discepoli inviati da Gesù nella predicazione. Le sue gesta sono raccontate negli Atti degli Apostoli e si racchiudono nella descrizione della sua identità cristiana, nell’iniziativa di coinvolgimento di Saulo cercato a Tarso e con lui condotto ad Antiochia, nella partecipazione al Concilio di Gerusalemme ed infine nella separazione da Paolo che, al contrario di Barnaba, non aveva ritenuto di portare con sé Marco che si era dimostrato debole. La sua identità viene sintetizzata in uomo virtuoso, pieno di Spirito Santo e di fede. L’apostolato che compie si muove sull’onda della gioia e della risolutezza pastorale con la quale esortava alla fedeltà a Dio. Questo atteggiamento condusse a Cristo una considerevole folla, tanto che proprio ad Antiochia per la prima volta i seguaci di Cristo furono detti «cristiani». Un’opera del V secolo, gli “Atti di Barnaba”, riferisce che morì martire lapidato a Salamina nell’anno 61. La disponibilità a Dio che passa attraverso il discernimento e la missione affidata dalla Chiesa, anche se talora crea qualche contrasto tra gli stessi evangelizzatori, ha sempre la meglio quando il missionario, laico o chierico che sia, si mantiene umile e si lascia invadere e condurre dallo Spirito Santo. P. Angelo Sardone