San Bartolomeo: dalla diffidenza alla piena adesione

«Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i nomi dei dodici apostoli dell’Agnello» (Ap 21,14). La visione profetica di S. Giovanni nell’isola di Patmos con il linguaggio apocalittico rivela e mostra la città di Gerusalemme definita la «promessa sposa dell’Agnello». É grande e cinta da alte mura con dodici porte recanti il nome delle dodici tribù di Israele. Le mura poi, poggiano su dodici basamenti, contrassegnati dai nomi dei dodici Apostoli di Gesù, l’Agnello. Uno di questi è S. Bartolomeo (figlio del valoroso) o Natanaele (dono di Dio), nativo di Cana di Galilea. La sua adesione al Maestro non fu immediata, forse un po’ diffidente. Ci volle l’entusiasta testimonianza ed il racconto del suo amico Filippo ad indurlo ad andare con lui e rendersi conto personalmente. Gesù che lo stava attendendo, lo aveva già visto sotto il fico e lo sorprende accogliendolo e dando di lui una definizione identitaria scioccante e di alto valore: «Sei un vero Israelita nel quale non c’è falsità!». Tramortito dalle parole di encomio, egli risponde con l’entusiasmo della fede: «Tu, Maestro, sei il Figlio di Dio, il re d’Israele!». Cose ancora più grandi le vedrà alla scuola giornaliera del Nazareno e poi ancora nella sua predicazione in India ed in Armenia dove, secondo la Tradizione, avrebbe subito il feroce martirio, scuoiato della pelle e decapitato. L’iconografia cristiana lo raffigura con in mano il mantello della sua pelle. L’adesione a Gesù spesso è contrassegnata da iniziale diffidenza. Solo quando lo si incontra personalmente e si accoglie nel cuore la sua Parola, si diviene discepolo convinto ed audace fino ad accogliere anche il martirio cruento come testimonianza di fede e di amore. Auguri a chi porta il nome di Bartolomeo. P. Angelo Sardone

Nessuno ti inganni!

«Nessuno vi inganni in alcun modo!» (2Ts 2,3). Il tono di S. Paolo è deciso e fermo nel correggere la falsa notizia diffusa tra i Tessalonicesi che la seconda venuta del Signore sia in atto, generando confusione ed allarme. Quando si realizzerà essa sarà preceduta da un’apostasia, cioè una forma di defezione e secessione di coloro che si lasciano distogliere dalla fede. Sarà rivelato un personaggio che è nemico di Dio ed ha tre nomi: l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario di Dio che nella tradizione giovannea avrà il nome di «anticristo». Si manifesterà alla fine dei tempi: il demonio che lo manovra, agisce nell’oggi esercitando su coloro che credono, un potere di seduzione e di palese persecuzione. L’ultima grande prova sarà annientata dalla vera venuta di Cristo. Ciò che importa in questo momento è mantenersi saldi nella speranza ed essere fedeli alle tradizioni apprese dalla predicazione. Cristo che ha realizzato la salvezza per mezzo della croce, ha chiamato gli abitanti di Tessalonica ed i cristiani attraverso il vangelo: è Gesù che conforta i cuori e li conferma in ogni opera e parola buona. Il dato scritturistico è quanto mai attuale nella società cristiana emotiva e fideistica. La paura, l’incertezza, la precarietà della vita, l’insufficienza dei beni materiali, il costo eccessivo delle fonti energetiche, unitamente alla leggerezza e convenienza di adesione alla fede, rende tutti un po’ più paurosi, frastornati o, al contrario, ostili e completamente indifferenti nell’accogliere tutto per buono, vivendo alla giornata l’utilità egoistica del «carpe diem». L’inganno è sempre in agguato. E’ importante avere gli occhi aperti e sapersi difendere. Oggi la Chiesa ricorda S. Rosa da Lima. Auguri a tutte coloro che portano questo bellissimo nome perché ricalchino anche la sua identità di cristiana e di Santa. P. Angelo Sardone

Beata Vergine Maria Regina

«Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede» (2Ts 1,11). La liturgia odierna riporta l’incipit della seconda lettera di S. Paolo agli abitanti di Tessalonica, odierna Salonicco, in Grecia. Essa, come la prima, fu scritta durante il secondo viaggio missionario intorno al 50–51 d.C., per rafforzare la loro fede e correggere alcuni fraintendimenti dottrinali. Era stata infatti attribuita a Paolo una falsa lettera con la quale avrebbe affermato che la seconda venuta di Cristo si era già realizzata. La chiamata di Dio dà dignità per la sua potenza e fa portare a compimento ogni proposito. In questo quadro liturgico si celebra la memoria di Maria Regina, istituita da Pio XII l’11 ottobre 1954 in parallelo con quella di Cristo Re dell’universo, e situata nel 1969 da S. Paolo VI a distanza di otto giorni dalla solennità dell’Assunzione di Maria al cielo. Essa considera la regalità della Vergine con la gloria della assunzione al cielo, in parallelo con la regalità di Cristo. Maria, autoproclamatasi «serva del Signore», vissuta prima all’ombra di Gesù e poi della Chiesa, seduta accanto al re di tutti i secoli, è acclamata regina degli Angeli e dei Santi. Un’autentica devozione a Maria permette ai cristiani di rivolgersi a Lei come alla Madre del Salvatore, mediatrice di ogni grazia. I privilegi a Lei riservati da Dio in vista dell’Incarnazione di Cristo e della sua missione redentiva ridondano a beneficio della Chiesa intera che la venera ed inneggia come la più grande fra tutte le creature, «Regina degli Angeli, Madre di Dio, ispiratrice del bello, del buono, del sublime» (Annibale Di Francia), colei che ha ottenuto con la sua preghiera Cristo Salvatore ed ha cooperato con Lui alla salvezza delle anime, Regina del cielo e Madre di misericordia. P. Angelo Sardone

La porta stretta della salvezza

«Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; verranno e vedranno la mia gloria» (Is 66,18). Un breve sunto escatologico ed un salmo di appena tre versetti, chiudono la terza parte ed il lungo libro del profeta Isaia. In esso il Signore assicura che tutte le nazioni ed i popoli di tutte le lingue saranno convertiti e condurranno a Gerusalemme come offerta a Dio i dispersi di Israele ai quali sono riservate le promesse eterne. I superstiti, cioè i pagani convertiti, diverranno missionari inviati a predicare sino agli estremi confini della terra dove ancora non è giunta la conoscenza del vero Dio. I pagani avranno accesso alle funzioni del culto proprio perché tra loro saranno presi dal Signore alcuni che diverranno sacerdoti e leviti. Sembra, a buona ragione, la metafora della situazione moderna della fede in particolare nelle nazioni di antica osservanza cristiana. Sempre più saranno i superstiti, cioè i veri convertiti, coloro che verranno inviati a predicare la buona novella fino in capo al mondo. La nuova evangelizzazione preconizzata dalle grandi catechesi di S. Giovanni Paolo II ed ancora oggi condotta dalla Sede Apostolica di Pietro, diviene sempre più in questo tempo di grave precarietà di fede e di azione cristiana, un’urgenza che coinvolge non più le grandi masse, ma i singoli fedeli, sicuramente più maturi e coscienti delle esigenze del Vangelo. Su questi passi si muove la Chiesa del Terzo Millennio, sfrontata dai fasti e dagli orpelli esteriori e più concentrata sull’essenzialità e sulla bellezza del vero culto al Signore che si esplica prima di tutto con la testimonianza concreta della propria vita e la professione del credo cristiano. P. Angelo Sardone

Sintesi XXI domenica del Tempo ordinario

Sintesi liturgica. XXIª Domenica del Tempo Ordinario.
Il Signore raduna tutte le genti e tutte le lingue perché possano vedere la sua gloria e divenire sua offerta. I superstiti sono inviati a tutte le popolazioni ed alle isole lontane perché conoscano il Signore. Tra loro saranno prescelti alcuni come leviti, cioè sacerdoti. Sulla base di un’esplicita domanda Gesù affronta la questione della salvezza universale eludendo il numero di coloro che si salvano ed esortando invece tutti a sforzarsi per entrare nel regno attraverso la porta stretta. Diversamente il rischio è quello di trovarsi fuori senza essere riconosciuti perché operatori di ingiustizia. La mensa sarà riservata a coloro che provengono dai quattro punti cardinali, magari ultimi ma ora primi. Non va disprezzata né dimenticata la correzione del Signore che, come un padre, corregge il figlio che ama. Occorre camminare diritti con i propri piedi che non siano zoppicanti, ma guariti dalla grazia e fortificati da un serio impegno di vita. P. Angelo Sardone

S. Bernardo di Chiaravalle

«La terra risplendeva della sua gloria» (Ez 43,2). Il ritorno di Jahwé nel tempio di Gerusalemme è circonfuso di gloria. La visione di cui gode Ezechiele esprime la grandezza e la potenza di Dio che si rispecchia nella terra che funge da sgabello, riempiendola di gloria. Così il Signore continua ad abitare in mezzo ai suoi figli. La gloria di Dio si manifesta sempre con la testimonianza di uomini e donne che, attratti dal suo amore, consacrano la loro vita a Lui, rendendosi strumenti di grazia e di santificazione per sé e per gli altri. Oggi la liturgia ricorda il rinomato dottore della Chiesa San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), monaco di Cistercium, in Francia, da cui prende nome l’Ordine dei Cistercensi, teologo, maestro di vita ed educatore di generazioni intere di fedeli e di Santi. Nella zona di Clairvaux (Chiaravalle), in una campagna disabitata egli fondò un nuovo monastero che divenne ben presto un celebre polo di dottrina e spiritualità. Nel suo cammino di perfezione i grandi amori furono il bene della Chiesa, lo studio della Sacra Scrittura ed il suo commento, l’affetto per l’umanità di Cristo e la Vergine Maria di cui fu appassionato cantore. La sua produzione letteraria e spirituale è di grande valore teologico: 331 sermoni, 534 lettere, molteplici trattati su argomenti teologici diversi e scritti sulla Madre di Dio. Il tutto avvalorato ed integrato dal lavoro manuale richiesto anche ai suoi monaci e dai continui spostamenti in Europa per risolvere le gravi questioni politico-religiose del suo tempo. La quiete del monastero, nonostante tante difficoltà e sofferenze fisiche, lo riportò al suo primo amore. Rimane tuttora un luminare di dottrina ed un sicuro punto di riferimento spirituale per quanti vogliono seriamente seguire e servire il Signore. P. Angelo Sardone

Le ossa aride

«Io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe e vi riconduco nella terra d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore» (Ez 37,12-13). Una scena macabra, quasi da fantascienza si apre davanti agli occhi del lettore del capitolo 37 di Ezechiele, il profeta che si fa interprete del Signore e del suo Spirito. È il celeberrimo capitolo delle “ossa aride”, una delle allegorie con le quali Jahwé intende ammaestrare il popolo d’Israele sull’efficacia del suo potere divino. Una pianura ben distesa è la tomba a cielo aperto di una grandissima quantità di ossa umane inaridite. Dio ingiunge ad Ezechiele di profetizzare e così dinanzi ai suoi occhi sorpresi, le ossa si alzano, si accostano l’una all’altra, si ricoprono di nervi, di carne e di pelle. Però Non c’è in loro ancora spirito di vita. Una ulteriore profezia invoca l’arrivo dai quattro venti dello Spirito che soffia sui cadaveri: improvvisamente essi rivivono; sono un esercito grande, sterminato. Le ossa inaridite sono il segno della speranza svanita e della fine che trova nel sepolcro l’ultima casa per il corpo ormai privo di vita. Solo lo Spirito di Dio può operare, e di fatto opera, il grande miracolo che in certo senso prelude ciò che avverrà alla fine del mondo quando il corpo si ricongiungerà con lo spirito. Uscire fuori dal sepolcro implica il ritorno alla fede matura e responsabile. L’aridità delle ossa non è data solo dalla fine della vita con la morte e la corruzione del corpo: si diventa aridi quando il proprio cuore è lontano da Dio e di conseguenza è lontano dagli altri ed anche da se stessi. Dio, solo per amore e pietà può intervenire e di fatto interviene, rimettendo nel cuore e nel corpo arido il suo spirito. Tutto torna a vivere. P. Angelo Sardone

Il cuore nuovo con lo Spirito nuovo

«Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,24). Il ritornello profetico spesso proclamato e cantato nella Liturgia, è l’annunzio più evidente dell’amore eterno di Dio. Esso si discosta da una legge fatta di prescrizioni e doveri ed instaura un parametro nuovo della sua ragione di essere e del suo effetto: il cuore. La legge di Dio stampata nel cuore di ciascuno permette di rispondere ogni giorno al richiamo della verità insito nella coscienza, attraverso la forza e l’essenza dello Spirito, la terza persona della SS.ma Trinità. L’agire di Dio è in ragione del suo amore spontaneo, libero, efficace che si esprime nella santità che è il dono proprio dello Spirito. La novità ed il progresso nel cammino di fede del popolo di Israele e del nuovo popolo di Dio si stabilisce a partire da questo dato evidenziato secoli prima della venuta di Cristo e del dono travolgente della Pentecoste. La trasformazione operata dalla forza vivificante dello Spirito si riferisce al cuore, alla mente, alla vita. La purificazione con l’acqua del Battesimo, implica il lasciarsi prendere dagli ambienti nei quali si vive, dispersi nelle molteplici attività frastornanti e talora anche devianti per intraprendere un cammino nuovo, illuminato dalla Grazia ed accompagnato dalla cura ed attenzione spirituale di eletti ministri, santi e santificatori. Questo chiede la Parola di Dio. Questo chiede il buonsenso. Questo chiede il popolo di Dio che è stanco di compromessi e sceneggiate che appagano per un momento ed alimentano poi il vuoto che rimane sempre più profondo. P. Angelo Sardone

I cattivi pastori di Israele

«Eccomi contro i pastori: a loro chiederò conto del mio gregge e non li lascerò più pascolare il mio gregge» (Ez 34,10). L’immagine del pastore, cara alla mentalità ebraica ed in genere orientale, viene ripresa nella predicazione di Ezechiele e più tardi ancora in quella di Zaccaria. L’intero capitolo 34 è una invettiva contro i pastori di Israele, dediti alla bella vita, accusati di pascere se stessi, incuranti delle necessità e dei bisogni delle pecore facilmente preda delle bestie selvatiche. Vista questa situazione particolare, Dio stesso, pastore del suo gregge, il suo popolo eletto, prende in mano con autorità la sua gestione e lo sottrae da questa guida infame. Il suo intervento punitivo riguarda i pastori colpevoli dello scempio del gregge: a loro chiede conto di una gestione opportunista ed edonista, dedita solo al tornaconto alimentare e di potere. Visto che non sono stati in grado di amministrare il gregge affidato loro con fiducia e spirito di condivisione, Dio stesso riprenderà in mano tutto. Si legge in filigrana una situazione che spesso si riscontra nella società e nella Chiesa con pastori che non sono o non sono più all’altezza della situazione perché impreparati, imborghesiti mentalmente e socialmente, desiderosi di apprezzamento, di compiacimenti di tavola e di riflettori puntati, ma insensibili e lontani dai reali problemi, dalle difficoltà e dai pericoli che corrono le pecore loro affidate. S. Agostino già ai suoi tempi aveva commentato egregiamente questi passi profetici offrendo una straordinaria lettura ed intelligenti soluzioni. Il potere va esercitato non per servirsi delle pecore, ma per servirle. P. Angelo Sardone

La superbia smontata da Dio

«Tu sei un uomo e non un dio, hai reso il tuo cuore come quello di Dio» (Ez 28,2). Nella seconda parte del suo libro, denominata “Oracoli contro le nazioni”, il profeta Ezechiele lancia responsi tra l’altro, contro la città di Tiro che agli inizi del secolo V a.C. era una potenza commerciale. Dapprima favorevole a Gerusalemme, dopo il 587 l’abbandonò al suo destino e si rallegrò anche della sua caduta. A quel tempo era re Et-Baal II. A lui, e ancor di più alla città personificata dal suo re, si rivolge il Signore deprecando il suo potere assoluto come quello di un dio ed annunziando l’arrivo di popoli stranieri che deprederanno e distruggeranno la città. Allora si vedrà con chiarezza se il re è un dio che può allinearsi col vero Dio. In verità il re era modello di perfezione e ricco di sapienza e bellezza. La boria e l’orgoglio del suo essere lo ha riempito però di imperfezioni, di violenza e di peccati fino a farlo diventare opportunista e disonesto. Pur essendo diventato oggetto di terrore ora è inesorabilmente finito. Una pagina reale ed attuale si profila alla constatazione e seria riflessione. Quando non si vive sotto l’egida di un’umiltà concreta che è verità, si rischia di improvvisarsi onnipotenti con deliri soprannaturali che vanno a cozzare con la realtà che, se anche è dominata dai potenti, è sotto il controllo di Dio, paziente e misericordioso. La stessa ingannevole superbia presenta puntualmente il conto e fa pagare lo scotto maggiorato di una vanagloria inconsistente e fatua. Ciò avviene di frequente in ogni settore della vita e della società e non risparmia alcuno in ogni campo, sociale ed ecclesiale. Oggi si festeggia S. Rocco, un santo molto popolare, operatore di carità, particolarmente invocato contro ogni sorta di pestilenza. Auguri a coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone