Il diacono Filippo e l’eunuco

«Capisci quello che stai leggendo?». Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?» (At 8,30-31). Condotto dallo Spirito il diacono Filippo si avvia verso Gaza. Lo attende un incontro ed un avvenimento che si pongono nel quadro specifico di una proficua evangelizzazione. L’incontro con il funzionario di Candace che torna da Gerusalemme dopo aver praticato il culto è analogo a quanto spesso tanti cristiani vivono, quando si recano in luoghi particolari di pellegrinaggio o a manifestazioni di fede. Il cortigiano doveva essere abbastanza colto e versato nella lettura delle Scritture, ma non aveva una comprensione piena di esse perché non era guidato da alcuno. L’avvincente lettura dei Profeti, può rimanere inefficace se non c’è qualcuno che la spieghi in maniera adeguata. E non si può spiegare nulla se non si è sotto il dominio vero dello Spirito e non si è approfondito il tutto con uno studio serio, sistematico e guidato da maestri provetti e non da improvvisatori entusiastici e semplicistici della Parola. L’insegnamento si realizza anche nella condizione tutta particolare di un viaggio e lungo una strada. È in pratica la parabola della vita che scorre lungo una strada di fatica, di ricerca e di conoscenza, per manifestare la propria fede. L’approccio con la Parola necessita di approfondimento per una comprensione più adeguata e fruttuosa. Non sempre basta la buona volontà e l’affidamento, soprattutto oggi, a mezzi informatici, soprattutto quando non sono controllati o amministrati da studiosi di scienze bibliche. Filippo compie la sua missione con serietà e scrupolosità. Sale sul carro e spiega con chiarezza il significato di quanto sta leggendo. La conclusione è naturale e programmatica. L’eunuco affascinato dalla comprensione finalmente chiara dei testi sacri, chiede il Battesimo che sancisce l’appartenenza a Cristo e determina anche il possesso misterioso di sapienza e scienza che scendono dall’alto. P. Angelo Sardone

Saulo di Tarso

«Quelli che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola» (At 8,1). Alla pace e serenità iniziale che caratterizza la vita della Chiesa di Gerusalemme dopo la risurrezione di Cristo e la discesa dello Spirito Santo, segue un tempo di grande persecuzione. Le ostilità incontrate nel rapporto con i Giudei, soprattutto capi e dottori della legge, diventano più aspre e sono coronate dal martirio del diacono Stefano. La persecuzione non è universale, ma molto probabilmente si diresse verso i cristiani ellenisti, da cui proveniva lo stesso Stefano. Inizia a farsi strada l’opera determinata e ferma di Saulo, un fariseo ferrato nella legge, cresciuto alla scuola di Gamaliele. Egli cominciò a combattere la Chiesa: entrava nelle case dei cristiani, prendeva in ostaggio uomini e donne e li faceva mettere in carcere. Ciò determina la fuga dei cristiani da Gerusalemme nelle campagne della Giudea e della Samaria. Gli apostoli però rimangono in città. Si allarga il ministero dei diaconi: Filippo diviene protagonista di una fruttuosa predicazione e prende piede il servizio dell’annuncio. Persecuzione ed ostilità contro la Chiesa si ripeteranno in tutte le epoche storiche per un odio violento contro Gesù ed il suo messaggio di salvezza. La Chiesa, come una navicella, si è trovata e si trova ancora in un mare in tempesta ma ha al timone Pietro, sostenuto dalla forza dello Spirito e da Cristo del quale è vicario in terra. Le forze del maligno, lo ha detto Gesù, non prevarranno, ma per un disegno misterioso di Dio sembrano sopraffare la vita e l’opera della Chiesa. P. Angelo Sardone

L’evangelista Marco

«Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio» (1Pt 5,13). La liturgia ricorda oggi il secondo degli evangelisti, Marco, discepolo di Paolo che lo definisce «nipote di Barnaba», e, soprattutto di Pietro che lo menziona come «figlio». Per lui come per altri personaggi della Scrittura, le notizie non sono molte. La familiarità con Pietro, certamente lo pone in uno stato di grande considerazione, come anche la preziosità dei suoi servizi è attestata da Paolo, nonostante la delusione che gli aveva recato e per la quale non fu portato con lui nel secondo viaggio missionario. Le sue reliquie, secondo la tradizione, da Alessandria d’Egitto, minacciate dagli Arabi, furono trafugate nell’828 da due mercanti veneziani e condotte nella città lagunare della quale divenne patrono, contrassegnandola col simbolo del leone alato. Dalla predicazione diretta dei due santi Apostoli udì tutto quello che riportò nel vangelo, il più corto dei quattro, ma vivace ed immediato. In particolare da Pietro dal quale apprese e trascrisse, seppure non in ordine, le parole e gli atti di Gesù. Restano comunque ignote tante altre notizie. L’appellativo di figlio riservato a lui da S. Pietro certamente richiama il dono del battesimo da lui ricevuto. La città citata nella lettera non è propriamente Babilonia, ma secondo la consuetudine di allora, propria della letteratura rabbinico-biblica attestata anche dal libro dell’Apocalisse, è Roma che diventerà simbolo del paganesimo e dell’immoralità. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Marco, perché nella vita possano testimoniare la bellezza e la gioia di essere vissuti accanto a qualche testimone della fede. P. Angelo Sardone

ll coraggio di Stefano

«Sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio» (At 6,12). Stefano, uno dei primi sette diaconi, entra subito in azione col suo ministero non solo di carità, ma anche di eloquente predicazione. Ciò che lo muove è la grazia e la potenza che gli vengono da Dio e gli fanno operare prodigi e segni in mezzo al popolo. Non possono essergli a ruota quelli della sinagoga che non resistono alla sua sapienza ed alla forza con la quale annunzia. Non potendo fare altro ricorrono allo stratagemma della calunnia istigando alcuni a parlare male di lui accusandolo di aver pronunziato cose blasfeme e di non tenere conto della legge di Mosè per via di Gesù che avrebbe sovvertito le sue tradizioni. È tutto quello che basta per condurlo davanti al tribunale. Anche i giudici si rendono conto di stare dinanzi ad una persona particolare dato che il suo viso risplende quasi fosse di angelo il suo aspetto. La forza della parola ed il coraggio imperterrito dinanzi alle vistose e calunniose contraddizioni dei suoi accusatori, sono i numeri più eloquenti di una battaglia che regge dinanzi all’infamia della bugia e dell’invidia. Ogni volta che si mette a disposizione del Signore la propria vita, rispondendo ad una precisa e singolare vocazione, si corre il rischio di infrangere la monotonia anche religiosa che si rivela talora come opzione stagnante di verità, orpello di una vita piatta e forse anche insignificante. Né a ragione si può addurre la guerra contro tutto ciò che non è tradizione comprovata e racchiusa in una legge che non è di libertà ma di cieco asservimento ad una ragione non aperta alla novità di Dio. P. Angelo Sardone

Risurrezione: mistero di fede

«Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni» (At 2,32). La risurrezione di Cristo rimane un mistero che soltanto la fede può accettare e proclamare. Lo fu già a poche ore dal suo compimento e divenne più controverso man mano che la notizia si diffondeva a Gerusalemme e faceva proseliti nella nuova via che cominciò a chiamarsi «cristianesimo». Le teorie della favola inventata dai Giudei per schernirsi dinanzi a Pilato ed al popolo non reggevano. Le prove inconfutabili erano là sotto gli occhi di tutti: tomba aperta, enorme sasso smosso, bende e sudario ai lati della pietra sulla quale era stato deposto il corpo. Ma poi, ancor più, il segno inequivocabile furono le apparizioni del Risorto a più riprese ed a più persone, da Maria Maddalena, agli Apostoli, a Pietro, ai discepoli diretti ad Emmaus, a più di cinquecento persone. S. Paolo nella trasmissione del kerigma, traccerà una sintesi affermando finanche che se tutto fosse falso anche la fede sarebbe vana (1Cor 15,3-8.17). La predicazione degli Apostoli attesterà continuamente l’evento e diverrà un coraggioso atto di accusa ai crocifissori che prima di essere i Romani, erano stati proprio i capi religiosi e civili degli Ebrei. La fede cristiana parte proprio da questa sintesi: Gesù Cristo è morto e risorto! La croce con il corpo esanime di Gesù ricorda la morte; il segno della croce, distintivo del cristiano, e la stessa croce spoglia del corpo è il sinonimo della risurrezione. Come gli Apostoli, i cristiani di ogni tempo sono chiamati a dare testimonianza di questa realtà, perché credendo abbiamo la vita. (Gv 20,31). P. Angelo Sardone

L’istituzione dei diaconi

«Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense» (At 6,2). La comunità di Gerusalemme, sotto l’impulso dello Spirito e con la collaborazione fattiva degli Apostoli, cresce abbondantemente. Il cronista S. Luca riporta i particolari e il numero di coloro che si aggregano. Comincia a configurarsi una vera e propria società, che la tradizione cattolica poi chiamerà «perfetta», cioè la Chiesa, nella quale oltre i ruoli dirigenziali cominciano ad essere necessari i ministeri. Non era facile amministrare una grande quantità di persone provenienti da mondi, culture e sensibilità diverse, accomunate dalla Grazia e dal desiderio di seguire questa nuova via rappresentata da Cristo e dal suo mistero derivante soprattutto dalla risurrezione. Comincia a nascere qualche difficoltà organizzativa con relative proteste da parte di chi si sentiva trascurato. È il caso delle vedove di lingua greca che nella distribuzione dei pasti non avevano la stessa attenzione di quelle di lingua ebraica. La problematica comincia a farsi sentire e richiede un intervento. Gli apostoli chiariscono il loro ruolo: non possono trascurare la Parola di Dio, il suo annunzio e la preghiera per dedicarsi ad altro. Il compito specifico di chi dirige la comunità cristiana ha obiettivi chiari ed indispensabili e non può frammentarsi in altri impegni se pur nobili ma che assorbono tempo ed energie. Questo dato di fatto diviene la provvidenziale occasione per la costituzione dei diaconi, il cui termine nella lingua greca significa “servo”, perché possano dedicarsi al servizio delle mense. Occorrono persone comprovate in onestá, buona fama e sapienza. La scelta cade su sette, in particolare, che si distinguono per queste caratteristiche ed immediatamente entrano in azione. Il loro compito in seguito si allargherà ad altre mansioni. P. Angelo Sardone

Il saggio Gamaliele

«Non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!» (At 5, 38-39). La disputa nel sinedrio dura ancora. L’odio ed il risentimento da parte dei capi viene infranto da una posizione accorta, intelligente e prudente da parte di Gamalièle, dottore della Legge, stimato da tutto il popolo. Fatti allontanare gli Apostoli parla con chiarezza ai suoi colleghi invitandoli a riflettere bene sul loro operato e portando alcune dimostrazioni plausibili per impedire che si continuasse per la strada intrapresa. L’esperienza storica rammentata dall’illustre fariseo ha il suo peso. Sia per Teuda che aveva aggregato quattrocento uomini, che per Giuda il galileo che aveva avuto sostenitori persuasi e seguaci, tutto era finito con la loro morte.
Evidentemente il piano era solo di origine umana. Non è la stessa cosa per la situazione attuale perché si tocca con mano attraverso i segni ed i prodigi che stanno avvenendo, che si tratta di qualcosa di soprannaturale. Ci potrebbe essere il rischio di lottare con Dio stesso e non si sarebbe affatto capaci di distruggerli. L’intelligente e provvidenziale mediazione fruttò agli apostoli la loro liberazione, nonostante subissero la flagellazione ed un nuovo ordine di non parlare nel nome di Gesù. Gli Apostoli se ne andarono lieti di aver subito oltraggi per Gesù e per nulla intimoriti continuarono ad insegnare e a predicare nel suo Nome. La storia dell’agiografia cristiana e particolarmente quella dei martiri, ha dato ragione a questo dato, producendo coraggiosi ed intrepidi assertori del nome di Gesù, che sono andati incontro alla morte pur di salvaguardare la verità e l’obbedienza a Dio. P. Angelo Sardone

Una inutile requisitoria

«Avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo» (At 5,28). Un’accesa requisitoria caratterizza il nucleo del processo sommario istruito e condotto dal sinedrio di Gerusalemme con a capo il sommo sacerdote nelle vesti di accusatore e giudice e dell’intero senato: un dispiegamento eccessivo di forze dei giudei. La proibizione di insegnare nel nome di Gesù era stata vistosamente disattesa e, a ben motivo. Tutto l’apparato giuridico in effetti teme moltissimo lo spandersi a vista d’occhio di questa nuova dottrina che sembra inarrestabile nonostante il reo sia stato giustiziato con la crocifissione. E poi interviene anche il Cielo: la prigione si apre miracolosamente e gli apostoli tornano liberi a predicare nel tempio. La gente li segue, ascolta volentieri e diviene motivo di paura per il comandante e le guardie del tempio. Il sommo sacerdote riprende l’evidente trasgressione del suo comando e la denunzia aperta di incolpevolezza del sangue versato da Cristo. Niente di più falso! La colpa e la responsabilità è tutta del sinedrio, dell’invidia e gelosia dei capi. Gli apostoli si stanno comportando nell’obbedienza fedele a Dio che ha ingiunto loro di dare ampia comunicazione dell’evento che segna il nuovo corso della storia e del tempo. Il risultato è perfettamente contrario: gli accusatori e giudici si infuriano di più manifestando loro aperti propositi di morte. L’obbedienza a Dio più che agli uomini, in particolari circostanze della vita e sotto la pressione e l’imposizione di cose contrarie alla logica umana e naturale, richiede un comportamento di rottura ed opposizione ferma. P. Angelo Sardone

Nuova via e nuova vita

«Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita». (At 5,20). Il nuovo annuncio proclamato dagli Apostoli a seguito della risurrezione di Cristo e del dono dello Spirito Santo, provoca soprattutto nei capi religiosi dei Giudei e nella setta dei Sadducei che non ammettevano qualunque forma di risurrezione, invidia, gelosia che si tramutano in odio e vilipendio delle persone. Il mezzo che essi hanno a loro disposizione per intervenire in maniera del tutto arbitraria è il carcere pubblico. In esso i malcapitati non potranno essere più pericolosi. Ma non hanno fatto i conti con lo Spirito che è l’agente della nuova evangelizzazione ed è potente in tutto. La notte stessa del loro arresto un Angelo compare nel carcere sbarrato, libera i prigionieri ed ingiunge loro di andare nel tempio a predicare. Alla grande ostilità dei capi si oppone il coraggio degli Apostoli. Sono chiamati infatti quasi a sfidare i responsabili della cosa pubblica e religiosa, andando direttamente al tempio, il luogo sacro per eccellenza, cuore della stessa nazione, quasi ad indicare che proprio dal tempio deve partire, stando ritti in piedi, il nuovo annuncio che interessa tutto il popolo e che ha il perno fondamentale sulla dottrina della nuova vita. Non una lezione imparata a memoria ma la comunicazione di verità rivelate da Dio. Nuova via e nuova vita sono due realtà presenti nella terminologia apostolica post pasquale. La nuova vita è quella promessa da Gesù con la sua risurrezione e deve esprimersi nel concreto della vita cristiana di ogni giorno. P. Angelo Sardone

Comunione e condivisione

«Nessuno era bisognoso: quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli e distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,34-35). La vita della prima comunità di Gerusalemme è scandita oltre che dalla preghiera da una organizzazione sociale e spirituale. Alla comunione dei cuori e delle anime, si aggiungeva quella dei beni materiali. Infatti i primi cristiani pur non rinunziando al possesso dei loro beni, erano pronti a metterli a disposizione dei bisognosi o li vendevano per andare incontro alle necessità di coloro che non ne avevano. Si viveva così la vera comunione fraterna che non era solo questione organizzativa, ma soprattutto spirituale. Era infatti la vita nuova nello Spirito che determinava queste scelte che risultavano anacronistiche se non assurde agli occhi dei pagani. Veniva infatti dato un valore relativo a tutto ciò che si possedeva per rendere partecipe anche i meno fortunati. Ecco perché la constatazione riportata da Luca è inequivocabile: nessuno era bisognoso. Ciò adempiva quanto già nel libro del Deuteronomio era riportato: «Non vi sarà in Israele alcun bisognoso!» (Dt 15,4). Gli Apostoli poi, inizialmente, erano gli amministratori fidati di quanto veniva loro consegnato con generosità e liberalità perché tutto era distribuito secondo le reali necessità, senza imbrogli e parzialità. L’insegnamento e l’annuncio del Vangelo da parte degli Apostoli corre di pari passo con la direzione delle attività dei credenti. Oggi, in una società ricca di poveri, abbiamo bisogno di tornare a questi elementi, pur nella discrezione di chi dona e di chi riceve, per rendere attuale, nonostante le contraddizioni e gli scandali, la verità del Vangelo che supera le miserie umane e gli interessi egoistici. P. Angelo Sardone