La Messa ed il sacerdote

Mattutino di speranza

Giovedì 28 maggio 2020

 

La celebrazione quotidiana della S. Messa per il sacerdote è un valore insostituibile, anche se non vi fosse il concorso dei fedeli. Così sentenzia il canone 904 del Codice di Diritto Canonico, «lo strumento per assicurare il debito ordine sia nella vita individuale e sociale del cristiano, sia nell’attività stessa della Chiesa» (S. Giovanni Paolo II). Infatti, come afferma il decreto del Vaticano II Presbiterorum Ordinis sul ministero e la vita sacerdotale, nella celebrazione dell’Eucaristia, «è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo» (PO 5). Senza Cristo non c’è Chiesa, non c’è vita. In questi ultimi mesi falcidiati dalla pandemia e dolorosamente segnati da prescrizioni e rigide normative che hanno impedito la partecipazione comunitaria alla celebrazione eucaristica sia giornaliera che festiva, tutti abbiamo sofferto ed anche pianto. Noi sacerdoti per primi, vedendo i banchi vuoti, la chiesa chiusa, e ripetendo “Il Signore sia con voi… fratelli e sorelle”, a persone che solo virtualmente erano presenti e che partecipavano con lo stesso stato d’animo, attraverso i canali della comunicazione in tempo reale. Ho pensato al profeta Gioele e ad una sua affermazione quanto mai attuale: «Tra il vestibolo e l’altare piangano i sacerdoti, ministri del Signore, e dicano: Perdona, Signore, al tuo popolo» (Gl 2,17). Spesso, pur sapendo bene che la Messa è l’azione sacra per eccellenza, che ha un valore universale e non è mai un fatto privato anche quando il sacerdote la celebra senza il popolo, pensando a te, ho pianto. Le mie lagrime hanno bagnato i manuali della tastiera e si sono mescolati con l’acqua ed il vino nel sacro calice. I sospiri si sono integrati con la mia voce sostenuta dalle note armoniose dell’organo che riempivano il grande e vuoto volume dell’aula liturgica, e che sono tornato a suonare ogni giorno dopo diversi anni. Mentre calcavo la pedaliera, immaginavo di tornare a percorrere le strade e a dare espressione all’apostolato pastorale e vocazionale che da sempre caratterizza il mio sacerdozio. Ma pensavo anche al disagio, alla commozione, al bisogno del nutrimento eucaristico, al dolore ed alle lagrime di tante persone che dovevano accontentarsi di partecipare virtualmente alla S. Messa, cibandosi unicamente della ricchezza della Parola di Dio, creando una intimità di rapporto con il santo tabernacolo o l’ostensorio che anche il Papa adorava al termine della Messa mattutina. Poi, per fortuna, la cosa si è allentata e siamo tornati, seppure con tutte le cautele e le altre rigide norme imposte, a calcare le nostre chiese e a partecipare alle liturgie. L’assemblea eucaristica è tornata di nuovo, nonostante il distanziamento e le restrizioni numeriche ad essere il centro della comunità dei cristiani presieduta dal sacerdote. Le lagrime di dolore si sono trasformate in lagrime di gioia. Ho pensato, non solo per me che ci rifletto e me lo ripeto ogni giorno, ma anche per i fedeli laici, adulti e giovani, a quell’eloquente adagio che spesso si trova affisso nelle sagrestie: «Celebrerò questa Messa come se fosse la mia prima Messa, come se fosse l’ultima Messa, come se fosse la mia unica Messa». In essa, infatti, io offro la vittima divina a Dio Padre ma anche, in unione con questa vittima, offro la mia vita e quella di coloro che il Signore mi ha affidato come pecore del suo pascolo, spighe della sua messe, acini del suo grappolo. Mi rendo conto sempre di più che il compito del sacerdote, il mio compito, soprattutto con la celebrazione eucaristica, con l’amministrazione dei sacramenti, la testimonianza della vita, l’oblazione completa del mio tempo, della mia vita e del mio amore a Dio ed ai fratelli, non finisce e non finirà mai, perché andrà oltre la morte. Come Gesù anche io prima o poi dovrò dire: “Tutto è compiuto”, “Nunc dimittis”, “ora lascia che il tuo servo vada in pace”. Oggi, però, voglio dire, e lo dico con verità e profonda commozione a tutti quelli che Dio mi ha affidato e ad alcuni in particolare che sento come un dono misterioso di Dio, perle preziose depositate da Dio nello scrigno del mio cuore, dei miei pensieri, dei miei affetti e dei miei interessi “Io sarò con te, sempre”. Questo mio amore è fedele, anche quando tu non mi pensi, anche se tu dovessi chiudermi nei tuoi passati ricordi senza nostalgia e senza ritorni, anche se posso aver sbagliato, anche se sono e rimango un povero prete che spinto da un amore irrefrenabile, mi getto nelle imprese che riguardano unicamente la gloria di Dio ed il bene delle anime. Io ci sarò sempre. La mia fede, infatti, e il mio sacerdozio, è la mia stessa vita.  P. Angelo Sardone

Il valore della testimonianza

Mattutino di speranza

Mercoledì 27 maggio 2020

 

Uno degli elementi propri della fede e della vita cristiana è la testimonianza. Non si tratta semplicemente di un principio giuridico e sociale, ma di un elemento religioso e spirituale che consiste nel tradurre «con parole ed opere» nella vita di ogni giorno ciò in cui si crede, si spera, si ama. È la manifestazione di aver acquisito conoscenze, valori di fede e di tradurli praticamente nel contesto sociale e relazionale. La testimonianza è prima di tutto il frutto maturato nell’intimità di rapporto con Dio, attraverso la preghiera e la vita sacramentale e cresciuto nella Chiesa, in condivisione, alterità, servizio. La testimonianza è l’applicazione della fede alla vita, la traduzione delle verità che sono via al cielo nel contesto terreno delle relazioni, dell’impegno sociale, civile e religioso, nel servizio per il bene comune.  È alimentata dalla forza e dalla grazia dello Spirito Santo che guida alla verità tutta intera, ricorda quanto Gesù ha detto e con i suoi doni qualifica e dà vigore all’agire. La Chiesa oltre che la casa della comunione, è una vera e propria “scuola di testimonianza” nella misura in cui le verità della fede in essa proclamate, credute e celebrate, vengono assimilate e diffuse non per proselitismo, ma per attrazione, come afferma costantemente papa Francesco. La didattica e la dialettica relazionale sono vie abituali di testimonianza perché, permettono di tradurre in azione la concezione della vita, il valore della fede, l’efficacia delle virtù, il senso civico, il senso religioso. La testimonianza cristiana è una dichiarazione degna di fede che costituisce un attestato, una prova, un indizio sicuro e dimostrativo della verità in cui si crede, oltre che la comunicazione di una esperienza vissuta in prima persona. Può essere per questo convincente, superficiale, favorevole o sfavorevole. La testimonianza si riferisce prima di tutto al bene inteso nella globalità della sua accezione. Gli scolastici medievali avevano racchiuso in una sentenza fortemente espressiva il suo valore, la natura, la sua azione primordiale: «Bonum diffusivum sui», il bene si diffonde di per se stesso. Quando prende corpo e si radica nella vita di una persona, l’avvolge e quasi lo costringe ad operare per il bene stesso. L’afferma con vigore S. Paolo: «Caritas Christi urget nos!» (2Cor 5,14), la carità, l’amore di Cristo urge, cioè è la ragione stessa della mia vita, mi spinge ad essere quello che sono e a fare quanto la grazia di Dio richiede in parole ed opere. Quella di Gesù Cristo fu la testimonianza della verità, e per questo, come Giovanni Battista, andò incontro alla morte. La testimonianza più persuasiva sono le sue opere. Prima di ascendere al cielo conferì agli Apostoli il mandato di testimonianza quale elemento primordiale di evangelizzazione: «Mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Lo Spirito Santo continua nella vita del mondo e della chiesa la testimonianza di Cristo attraverso la testimonianza dei fedeli cristiani, guidandola, sorreggendola, potenziandola con la sua forza, proprio come fece con S. Paolo: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (At 23,11). Oggi c’è tanto ed urgente bisogno di testimonianza da parte dei cristiani, piccoli e grandi, con un vero e proprio servizio umile e coerente. Paolo VI, grande maestro e santo dei tempi moderni nel discorso al Pontificio Consiglio dei laici del 2 ottobre 1974, riportato poi nel n. 41 dell’enciclica Evangelii Nuntiandi dell’Anno santo 1975, affermava: «L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». La testimonianza implica la coerenza, ma non è semplice coerenza, ma piuttosto, rimando al mistero di Dio. Il “testimone”, infatti, non indica se stesso, ma attesta l’evento che “ha visto” e di cui è stato “reso partecipe”. Questa è in fondo la ricchezza dell’incontro con Dio che deve tradursi in comunicazione credibile, attraverso la pratica dei comandamenti. In qualunque ambiente di vita e nella realizzazione della personale vocazione, ognuno di noi è chiamato a dare testimonianza della sua fede con la vita prima di tutto e poi con le parole, per non correre il rischio di sentirsi additato come colui che “predica bene e razzola male“ o peggio, sentir dire da Gesù: «Fate come essi dicono, ma non fate come loro poiché dicono e non fanno» (Mt 23,3). Testimoniamo dunque, con la coerenza, laddove le parole si traducono in vita, l’amore di Dio, la sua misericordia, la gioia di vivere e partecipare la fede, la gioia stessa del Vangelo. P. Angelo Sardone.

Un serio accompagnamento spirituale

Mattutino di speranza

Martedì 26 maggio 2020

 

Il cammino di sequela del Signore richiede ogni giorno attenzione, dedizione ed un serio e perseverante impegno. Non si può giocherellare con Dio e le cose sante, con i sentimenti, con le espressioni di fede. La maturità vera non è sempre l’età. L’alleanza che Dio ha stabilito con l’uomo, lo ha messo di fatto nella condizione di essere come alla pari con noi, di scendere al nostro stesso livello pur essendo in dignità, grandezza, superiore a tutto ed a tutti. L’uomo-Dio Gesù Cristo si è fatto simile a noi in tutto fuorché nel peccato; si è calato nel nostro limite per darci la forza per vivere e sperare, per credere, risalire la china del peccato e andare verso la luce, sapendo di potercela fare con la sua grazia e la corrispondenza della nostra volontà. Se ciascuno si affida veramente al Signore ed intraprende con Lui un serio cammino di vita spirituale, ne risentirà positivamente tutta quanta la sua vita, la sua fede, la sua realizzazione. Al contrario, se uno si lascia andare in balia dei sensi, dei sentimenti passeggeri, delle emozioni di turno, degli incontri e situazioni più o meno provocati da ingordigia mentale, istintivi desideri corporali ed incontrollate pulsazioni psicofisiche, da superbe manie di affermazione, si trova a cavallo di un destriero irrefrenabile che porta verso una meta fatua e senza premio. Quante volte, nelle diverse età della vita, anche nella spigliata giovinezza adulta, si percorrono strade di evidente disordine morale e comportamentale perché, forse, senza saperlo, si va alla ricerca di una soluzione per problemi inconsci che uno si porta dentro, magari sin dall’infanzia, situazioni e fatti che possono aver segnato la mente, il cuore, il corpo, lasciando vistose ferite il più delle volte mai fatte vedere, ripulite e suturate. Quante volte queste ferite reclamano un intervento terapeutico efficace per una completa guarigione e, mancando accanto una guida spirituale ferma e sicura, ed un valido aiuto psicologico, menano ancora per strade impervie ed ingannevoli che non portano al bene ma provocano ancora rotture inesorabili e graduale allontanamento da se stessi, da Dio e dagli altri. Tante ferite, incise nella mente e nella fisicità, facilmente condizionano i desideri, le opzioni, le azioni, alimentando false illusioni di vivere chissà quale felicità e di stare a fare chissà quale cammino soprattutto spirituale. È frequente la delusione che ti fa ritrovare sempre al punto di prima. La storia di amore col Signore è una cosa seria, a qualunque età essa cominci e con qualunque modo e mezzo viene vissuta. È una storia bella, feconda che, oltre il quotidiano peso della croce preannunziato da Gesù stesso, porta con sé pace, tranquillità, ed elimina le contraddizioni di un immediato e facile appagamento, frutto di un istinto o di un vuoto da colmare. È di grande aiuto ed insegnamento S. Agostino, un uomo che ha vissuto un fragoroso trambusto di mente, di cuore, di corpo, impegnandovi fino in fondo sé stesso, latore di una fine ed acuta intelligenza e di una spiritualità oltremodo profonda. È celebre la sua affermazione: «Signore, il nostro cuore sarà sempre inquieto finché non riposerà in Te!» (Confessioni, 1,1.5). L’inquietudine che è compagna di vita, può essere superata se ci si ferma, si rientra in se stessi, si rilegge la storia dei giorni passati contrassegnati da date precise, persone, ambienti, situazioni e poi ci si affida al Signore e ad una seria e matura guida spirituale, un sacerdote inviato da Dio e scelto dopo attenta preghiera e copiose lagrime versate. Il sacerdote, cercando unicamente il bene, con pazienza, costanza, tanta preghiera e a volte anche con grandi sofferenze, come un padre conduce per mano ad una purificazione radicale della memoria e della vita e con un accompagnamento sistematico, porta al discernimento della vocazione e della vita. Gli elementi indispensabili sono molteplici: prima di tutto la preghiera, personale, comunitaria, liturgica; poi i sacramenti della Riconciliazione e dell’Eucaristia e, secondo l‘esperienza dei padri dello Spirito, la custodia dei sensi e la mortificazione che è detta «l’abc della vita spirituale». Non tutto e subito si può vedere e sperimentare a tutti i costi. Passino anche gli applausi del mondo oggi ricercati e visibili con i «like – mi piace» di Facebook e lo specchio della propria anima sostituito talora dai «selfie». Bisogna dare inizio ad una vita nuova, diversa, con costanza, mettendovi tutta la buona volontà, lottando per la virtù, tenendo sotto tiro gli istinti provocati da naturali pressioni fisiologiche e situazioni psicologiche, praticando un cammino spirituale semplice ed ordinato, non bigotto ma equilibrato, per non correre il rischio di trovarsi con l’amara illusione di stare al punto di prima e con le spalle cariche di responsabilità. Dio non permetta questo. P. Angelo Sardone

La missionarietà

Mattutino di speranza

Lunedì 25 maggio

 

La missionarietà è un compito comune a tutti i battezzati. Sta sullo stesso piano della santità: è una vocazione vera e propria derivante dall’alleanza di amore con Dio. Gesù Cristo è il missionario del Padre. Prima di ascendere al cielo, con l’autorità stessa del Padre e, consapevole della ricchezza da Lui ricevuta, ha conferito agli Apostoli il mandato missionario definitivo, ingiungendo loro di andare in tutto il mondo a fare discepole tutte le genti, battezzandole nel nome della Santissima Trinità. Paolo apostolo, l’acerrimo persecutore dei cristiani, afferrato da Cristo, è divenuto il missionario per eccellenza. La sua missione si è realizzata con viaggi, fatiche e pericoli, permanenza negli ambienti, predicazione, lavoro, testimonianza, fino al martirio cruento. Ogni cristiano già nel Battesimo, con la triplice configurazione a Cristo re, sacerdote e profeta, insieme e connessa con la chiamata alla santità, ha ricevuto la vocazione all’annuncio che si concretizza in parole ed opere, azioni e testimonianza. Ciò deriva dalla natura stessa dell’amore di Dio e della chiamata: Dio ama; per questo chiama, perciò manda. Ogni vocazione ha insita una sua propria missione. «Io sono creato per fare e per essere qualcuno per cui nessun altro è chiamato. Io occupo un posto mio nei pensieri di Dio, nel mondo di Dio, un posto da nessun altro occupato!», scriveva il 7 marzo 1848 John Henry Neumann, convertito dall’Anglicanesimo, divenuto cardinale e recentemente beatificato da Benedetto XVI. Ognuno di noi è unico ed irripetibile: proprio per questo Dio affida a ciascuno un compito specifico che, se anche si inquadra in quello più generale e comune, ha un risvolto particolare legato alla identità propria ed alla collocazione provvidenziale in un luogo ben preciso ed in una funzione ben distinta. Spesso si pensa che la missione evangelizzatrice ed apostolica sia appannaggio di pochi e fa riferimento ai paesi lontani dove non si conosce Dio e Gesù Cristo. Questa è la missione propria dei Missionari, uomini e donne coraggiosi che in forza della loro specifica vocazione religiosa, sacerdotale o laicale, per volontà e disponibilità propria o inviati, vanno nei cosiddetti “paesi di missione” a portare l’annuncio di Cristo. S. Francesco Saverio, il grande missionario dei tempi moderni, voleva gridare come un pazzo nelle università dell’Europa e «scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno!». Da sempre questa è intesa come “missio ad gentes” missione verso i popoli. Ma c’è una missione non meno facile, non meno impegnativa che si realizza senza prendere navi o aerei, senza specifici mandati liturgici e giuridici, nel proprio ambiente di vita che talora, soprattutto nell’attuale contesto, è meno cristianizzato dell’Africa o dell’Asia. Infatti, all’evangelizzazione dell’Europa e del mondo oggi si sta sostituendo gradualmente e con subdola ed efficace azione diabolica, una vera e propria “scristianizzazione” in quegli ambienti “cattolicissimi”, segnati è vero da contraddizioni e violenze che hanno visto anche la Chiesa protagonista in determinate epoche e che la storia documenta rigorosamente e rigetta, ma anche da lunghe epoche di benessere religioso, culturale e sociale. Questo fenomeno che si sta sviluppando a macchia d’olio soprattutto in Europa preoccupa grandemente la coscienza ecclesiale. Allora ovunque, a cominciare dalla propria famiglia, dalla propria casa, dall’ambiente di lavoro, dalla scuola, dalla società statale ed ecclesiale, vi è una impellente necessità di annunziatori “forti e miti della Parola che salva” che non sono solo i sacerdoti, i religiosi, i missionari, ma devono essere indistintamente i cristiani, cioè i seguaci di Cristo. Nella prima evangelizzazione apostolica avviata da Gerusalemme, gli elementi accattivanti e persuasivi erano non tanto e solo le parole, quanto le azioni: «Guarda come si amano, come si aiutano, quanto si vogliono bene!» – dicevano i pagani indicando i cristiani. Oggi sembra che viga perfettamente il contrario. Si evangelizza prima con l’esempio della vita e poi con le parole, ciascuno al proprio posto nel proprio ambiente di vita. S. Teresa di Lisieux pur non essendo mai uscita dal suo monastero è divenuta la patrona delle missioni per quell’afflato missionario cocente e diretto fondato sulla vocazione all’amore. Questo continua con migliaia di uomini e donne che pur dietro le grate o impegnati nelle attività apostoliche ed ecclesiali sono testimoni e martiri della missione. Avviene anche con la testimonianza silenziosa, efficace ed operativa di mamme e papà, professionisti ed operai, uomini e donne che, anche a seguito di una lunga e preoccupante pandemia, continuano a dare buona testimonianza di vita cristiana e spargono il buon odore di Cristo. P. Angelo Sardone

Le orme

Mattutino di speranza

Domenica 24 maggio 2020

La vita umana donata da Dio è una impronta indelebile del suo amore, della potenza e della infinita sua grandezza. Anche l’essere umano che non si è formato completamente nel grembo materno o c’è stato per pochissimo tempo o non ha visto mai la luce, o è stato soppresso dall’egoismo umano, è una singolare sua impronta. Ogni uomo ed ogni donna che vive e cammina sulla terra lascia la sua personale impronta. Non occorre che sia vistosa o appena percettibile, piccola o grande, recente o antica: è un’impronta, un segnale chiaro che qualcuno è passato ed ha calpestato il terreno. Sono belle, storiche, interessanti, le orme dei dinosauri e dei rettili sparse qua e là sulla terra, retaggio di un tempo arcaico, museo aperto in natura, eccezionale documento di civiltà pregressa. Hanno grande valore le orme dell’uomo impresse sulla roccia della memoria, nel ricordo della storia, e ancor più quelle che hanno inciso profondamente l’anima. Sono le impronte che vanno oltre il tempo e valgono e durano per l’eternità. La memoria umana può anche cancellarle, spazzarle via come fa il vento con quelle sulla sabbia; non saranno patrimonio dell’umanità, resteranno nascoste, dimenticate, ma sicuramente conservano il valore e la traccia nel tempo che non ha tempo, perché sono impresse nel cuore stesso di Dio. La mano che sfiora appena una superficie o la calca lascia un’impronta dalla quale è possibile risalire all’autore. Quando si usa una persona, si entra maldestramente nella sua vita, si parcheggia tra le sue emozioni, quando ci si appropria dei suoi pensieri, si imbratta il cuore e si sporca la dignità, quando si usa il suo corpo o ci si prende gioco dei suoi sentimenti, l’innocenza, il pudore, la semplicità, l’ingenuità, quando si agisce col conio dell’odio e del risentimento, quando si uccide col sospetto, con la falsa testimonianza, con parole arroganti, irriverenti e triviali, l’impronta non rimane più tale ma diventa ferita profonda che sanguina e non si rimargina. Una impronta positiva può cambiare la vita; un’orma significativa può allettare il cammino di chi la vede e vi pone dentro i suoi piedi: l’orma e il piede si incontrano, si baciano; l’orma sorride ed accoglie; il piede calca e si affida. Nella vita di fede e nel cammino di perfezione cristiana, portiamo anche noi nell’anima, l’impronta indelebile che Dio ha impresso all’inizio della vita cristiana col santo Battesimo. Essa si esalta ulteriormente con i sacramenti della Confermazione e dell’Ordine sacro. Il catechismo la chiama «sfraghìs», sigillo, un marchio che non va più via, che significa appartenenza, alleanza, grazia di stato. Anche un atto di apostasia, cioè ripudio pratico e giuridico della fede non potrà mai cancellare quello che Dio ha impresso sulla base della libera e volontaria disponibilità dell’uomo. Sul monte degli Ulivi, a Gerusalemme, dove dopo quaranta giorni dalla sua Risurrezione, prima del ritorno alla destra del Padre con l’Ascensione, Gesù incontrò l’ultima volta i suoi Apostoli per dare le ultime raccomandazioni e conferire loro il mandato missionario, la Tradizione conserva due orme di piedi calcate nella roccia, attribuite a Gesù, che segnano il punto esatto da cui è asceso. Sono ben visibili; sono tracce che indicano la via del cielo, depressioni plantari dove mettere i nostri piedi per prendere forza e vigore onde riprendere o cominciare un nuovo cammino. Così anche noi potremo lasciare orme buone non sulla sabbia, ma sulla terra bagnata di fatica e sudore, sul cuore di chiunque incontriamo nel nostro cammino. Ci muoviamo con i piedi per terra e lo sguardo rivolto al cielo, con il corpo che è materiale e l’animo che appartiene allo Spirito, nell’attesa del ritorno di Cristo alla fine dei tempi nella gloria. Allora davvero, come recita un anonimo adagio, non conteranno più i passi che facciamo, non avranno valore le calzature che adoperiamo, ma solo le impronte che lasciamo. P. Angelo Sardone

Il cireneo di turno

Mattutino di speranza

Sabato 23 maggio 2020

La vita dell’uomo sulla terra è un esodo continuo, solitario e di massa. A maggior ragione lo è per un giovane battezzato che nel tracciato del suo cammino ha già l’indicazione della meta, la felicità, la salvezza ed il Paradiso, ed i mezzi per raggiungerla, l’amore, Gesù Cristo, la Chiesa, i sacramenti. Espulso dal grembo materno, laddove già è avvenuto il fondamentale rapporto di dipendenza e di empatia emotiva ed affettiva con la mamma che l’alimenta, lo custodisce e lo protegge, il bambino comincia il suo itinerario di vita alimentato ed accompagnato dai genitori. Con la prima autonomia e l’uso della ragione, egli si rende conto di essere in grado di stare in piedi, di poter camminare da solo ma non ha ben chiaro l’orientamento di cosa fare e dove andare. Molta importanza hanno per lui l’educazione, la formazione iniziale, i condizionamenti, gli stili di vita appresi in casa, le abitudini degli adulti, i modelli comportamentali in famiglia, a scuola, in parrocchia, nella società ed i suoi luoghi di relazione. Sulla tavola della sua mente pian piano si scrivono ed incidono in profondità gli elementi che condizioneranno in futuro la sua esistenza, nel bene e nel male. Inconsciamente, mentre assume i modi di fare che lo proiettano in potenza uomo e donna di domani, viene condizionato nel bene e nel male da tutto ciò che vede, sente, respira e vive in famiglia. Qui si forma in maniera serena ed adeguata; qui a volte è sopraffatto da un affetto che non gli fa mancare nulla di quanto chiede, e colma le assenze genitoriali per motivi lavorativi o di narcisistica realizzazione; qui non sempre è compreso nelle sue esigenze più profonde di affetto, mascherate dal silenzio, dal viso triste, dai capricci frequenti, dal vizio nascosto, dalla connessione informatica giorno e notte con paradisi virtuali spersonalizzanti e pericolosi. Quante volte nel mio servizio pastorale e sacerdotale mi sono imbattuto in giovani che accusano il loro profondo disagio esistenziale ed affettivo che li ha portati per strade buie, perché desiderosi di una carezza delicata, di un tempo maggiore di ascolto, di un “ti voglio bene” in più, di una cura ed attenzione che vada ben oltre una semplice espressione verbale, un cibo nutriente o un costoso regalo, facile alibi di disimpegno morale che vuol mettere a tacere la responsabilità più o meno grave di un genitore. Le manifestazioni di una potenzialità intellettiva ed operativa o di carenze più o meno gravi, si rivelano nella misura in cui, soprattutto nella pubertà e nell’adolescenza, si comincia ad esternare con le parole ed ancor più con le azioni, le esigenze di realizzazione ed i vuoti da colmare, soprattutto quelli affettivi, con la conseguente ricerca di un compenso adeguato. L’innocente ricerca di tutto ciò che è bello, vero, misto ad una auto-compiacenza psicologica ed affettiva, fa da traino nel percorso scolastico ed accademico e nel tessuto delle relazioni sociali. L’introduzione alla vita spirituale ed alla ricezione dei sacramenti segna il passo col binario della crescita fisica, culturale e scolastica, affettiva e relazionale, che si realizza nella società che ha le sue leggi, a volte ferree, i suoi spazi non sempre liberi e le sue deficienze talora mascherate da parvenza di bene, di facile successo, di congruo appagamento. Si impone allora il discernimento come mezzo indispensabile per comprendere ed orientarsi. Molte volte in maniera facilona si assecondano i moti propulsivi del carattere, le esigenze naturali ed istintive dello sviluppo fisiologico; meno frequente e non sempre a tutti, è riservato un orientamento serio, maturo, anche spirituale, accompagnato da uno sguardo maturo e competente da parte di genitori, educatori, formatori, di qualche buon prete o guida spirituale. Quanto è difficile l’educazione, un’arte così grande e delicata affidata alle mani più inesperte! E poi ci si avvia. La strada che è davanti guarda alla meta non sempre vicina e visibile. Gli itinerari sono molteplici come diverse sono le vie di percorrenza: il viottolo, il sentiero alberato, la via sterrata e pietrosa, l’autostrada, l’illusione di poterla raggiungere con i mezzi meno faticosi e le strade più comode. Lungo il cammino si soffre la fame, la sete, si ha bisogno di pane, di carne, di acqua cose che non sempre si trovano a portata di mano ma che bisogna cercare. La presenza del Mosè di turno a volte riesce anche fastidiosa, perché ricorda la presenza di Dio che guida il cammino di giorno e di notte e lo provvede di tutto ciò che è necessario. La divinizzazione degli idoli, i vitelli d’oro costruiti dentro e fuori per l’intelligenza preponderante, la bellezza prorompente, la noia dell’ordinario, lascia delusi ed apre dinanzi voragini imponderabili di perdita di senso e di inesorabile perdita di se stessi. Alla meta alla fine si giunge spogliati di se stessi e con una nuova identità che l’età, l’esperienza, la sofferenza, hanno forgiato in maniera ormai indelebile. Si ricordano i momenti bui nei quali responsabilmente i piedi sono finiti sul bagnato e si sono sporcati nella melma, quando le emozioni si sono rivelate fragili ed inconcludenti, quando gli altri hanno approfittato con vergognosi calcoli egoistici, ma anche quelli belli laddove il raggio di sole scomposto nei colori dell’arcobaleno di situazioni, esperienze, cammini alla ricerca di sé, spiritualità, ha asciugato le lagrime, ha portato calore, luce, sorriso e vita. Ci si rende conto allora che il cammino, anche quando non ci ho pensato, è stato fatto portando un pezzo più o meno pesante di croce, da solo o con l’aiuto di qualche misterioso cireneo, pieno di compassione, imposto o donato da Dio. P. Angelo Sardone