Isaia, il profeta dell’Avvento

La semina del mattino

515. «Venite, saliamo sul monte del Signore, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3). Il tempo “forte” dell’Avvento è caratterizzato dalla parola profetica che accompagna giorno per giorno la liturgia e la impreziosisce con la ricchezza tematica. In particolare Isaia si impone per i suoi contenuti e la valenza messianica del suo libro articolato che abbraccia epoche storiche diverse e tre personaggi che vanno sotto questo nome. Il primo Isaia visse a Gerusalemme e svolse il suo servizio dal 742 al 701. 

L’inizio del suo libro comprende alcuni oracoli e lamenti su Gerusalemme con l’assicurazione di una pace perpetua. Il monte del tempio del Signore sarà il riferimento di tutti i popoli: da esso uscirà la legge e la parola del Signore. È Lui che indica ed insegna le sue vie perché tutti possano camminare per i suoi sentieri. Insegnare e camminare infatti esprimono momenti diversi di un rapporto autentico con la Parola e con Dio stesso: l’ascolto fatto con obbedienza e la messa in pratica dei suoi comandi. Tre verbi possono aiutare a crescere nello spirito in questo tempo propizio dell’anno liturgico: salire al monte, cioè elevarsi da ciò che è terreno ed andare verso l’alto; conoscere le vie che il Signore indica, cioè seguire gli insegnamenti della fede; camminare nei sentieri della grazia. Ciò permetterà di andare incontro al Signore che si manifesta nel mistero della sua venuta nel silenzio di una grotta e sarà la migliore disposizione per accoglierlo nella nostra vita, disturbata dal chiasso del peccato. P. Angelo Sardone

Le perplessità ed i timori del profeta Daniele

«Mi sentii agitato nell’animo, tanto le visioni della mia mente mi avevano turbato» (Dan 7,15). Le stupefacenti visioni di Daniele sono un presagio dei tempi futuri. Nella sua grandezza e misericordia Dio rivela tramite il profeta gli avvenimenti che seguiranno, con un linguaggio difficile da comprendere. Nell’antico come nel nuovo Testamento, particolarmente con l’evangelista Giovanni autore dell’ultimo libro della Sacra Scrittura, l’Apocalisse, sono rivelati in forma misteriosa e difficile da comprendere i tratti storici che hanno segnato e segnano tuttora le vicende umane. Il linguaggio arcaico con la visione delle bestie orribili, tenta di tradurre con immagini umane i tratti storici che si alterneranno e le vicende legate a re e regni particolari che hanno segnato e segneranno il destino dell’uomo. Tutto questo desta nel cuore del giovane profeta tanto sconforto ed agitazione fino al turbamento. Pur essendo dotato di poteri particolari di interpretazione, egli stesso necessita di una spiegazione plausibile che chiede al vegliardo. Ogni drammatica situazione secondo le varie epoche storiche necessita di una lettura ed interpretazione adeguata perché l’uomo non si abbandoni solo a fosche tenebre di buio, ma si apra alla speranza che anche in mezzo alle circostanze più scabrose della vita e dei tempi, tutto si risolve sempre alla luce di Dio che conduce la storia e che afferra l’uomo per mano per condurlo a salvezza. P. Angelo Sardone

Altamura: riparte il Cenacolo Vocazionale

Giovedì 25 novembre col primo incontro di preghiera e di adorazione sul tema: Eucaristia, la carità universale è ripreso dopo circa due anni il Cenacolo Vocazionale dell’Unione di Preghiera per le Vocazioni. Il Cenacolo nato 25 anni fa ad opera di P. Angelo Sardone con la collaborazione dei Lavr e delle Famiglie Rog locali, ha visto in tutti questi anni la partecipazione di diverse centinaia di persone che si sono iscritte all’Unione di Preghiera per le vocazioni. Buona e sentita la partecipazione numerica di persone provenienti fall’intera città dopo circa due anni di attesa e desidero di preghiera eucaristica in comune. Il Cenacolo si tiene nella chiesa dell’Immacolata delle Suore Figlie del Divino Zelo e si svolge con l’adorazione eucaristica per le vocazioni i cui schemi sono preparati da Nella e Carlo Genco.

Le feroci bestie delle visioni di Daniele

«Gli furono dati potere, gloria e regno; il suo potere è eterno e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dan 7,14). La sezione apocalittica del libro di Daniele si colora di immagini e segni propri di questo filone letterario e teologico da lui inaugurato. Nelle sue visioni notturne il profeta vede quattro bestie differenti l’una dall’altra che salgono dal mare: un leone con ali di aquila che si trasforma in uomo, con cuore umano; un orso vorace al quale viene comandato di divorare molta carne; un leopardo potente con quattro ali d’uccello sul dorso e quattro teste ed infine una bestia diversa da tutte le altre, spaventosa, terribile, con dieci corna, dotata di forza straordinaria che divorava, stritolava, calpestava. Di contro tra una serie di troni, spunta un vegliardo con una veste candida come la neve, i capelli candidi come la lana seduto su un trono di fuoco che scorreva ed usciva davanti a lui. Come davanti ad una corte inizia il giudizio: le bestie sono sbaragliate e distrutte. Ad un essere soprannaturale simile ad un figlio d’uomo presentato al vegliardo, sono concessi potere eterno, gloria e regno imperituro con la servitù di tutti i popoli di ogni lingua. Non si può far nulla contro il potere di Dio: il potere umano che non si sottomette a Dio risulta crudele, miserabile, inconsistente, anche se appare fermo, deciso, implacabile ed intramontabile. Questo potere Dio l’ha conferito a Gesù Cristo. Questa non è una favola mitologica artificiosamente inventata, ma una realtà che Egli ha incarnato nel mistero della sua vita, morte e risurrezione coinvolgendo gli uomini in questa avventura senza fine. P. Angelo Sardone

Daniele nella fossa dei leoni

«Quel Dio, che tu servi con perseveranza, ti possa salvare!» (Dan 6,17). Il ricorso a Dio tre volte al giorno attraverso la preghiera rituale fatta da Daniele, scandalizza ed esaspera i Babilonesi che lo accusano al re Dario di aver violato il suo decreto mancandogli di rispetto. Le conseguenze sono fatali nonostante che il re, grato a Daniele per il suo corretto operato, tenti di salvarlo. L’ordine diviene perentorio: deve essere gettato nella fossa dei leoni, serrata la bocca della stessa fossa e sigillata con l’anello regale. Il rimorso prende il sopravvento con l’insonnia e l’indomani certo della sciagura, il re si avvicina alla fossa e gli sussurra mestamente parole di conforto. Daniele risponde prontamente dalla fossa attestando di essere vivo e di essere stato salvato dall’angelo del Signore senza che i leoni possano avergli fatto del male perchè è innocente agli occhi di Dio ed anche agli occhi suoi. Il re lo fa liberare immediatamente e costata che neppure un graffio lo ha lacerato perché ha confidato nel suo Dio. Al contrario fa gettare nella fossa i suoi accusatori insieme con i loro figli e la fine è inesorabile per loro, stritolati da quelle bestie feroci. Le sorti si capovolgono ed è il re stesso ad invocare il Dio di Daniele riconoscendo il suo regno indistruttibile ed eterno e la potenza di Colui che libera e salva. La fedeltà al Signore ed alle pratiche di pietà salva sempre coloro che si affidano a Lui e sono audaci nella disobbedienza a quelle ferree leggi umane che vanno contro Dio e tentano di annientare i valori più sacri determinati dalla natura e dalla legge divina. P. Angelo Sardone 

Parole misteriose che preannunziano la fine

«Tieni pure i tuoi doni per te e dà ad altri i tuoi regali: tuttavia io leggerò la scrittura al re e gliene darò la spiegazione» (Dan 5,17). Nel corso del sontuoso e lauto banchetto imbandito dal re Baldassar, successore di Nabucodonosor, si compie un sacrilegio: dignitari, moglie e concubine del re bevono nei vasi sacri del Tempio di Gerusalemme asportati nella deportazione a Babilonia ed inneggiano ai loro dei. Allora le dita di una mano d’uomo sulla parete della sala scrivono tre parole misteriose: «Mene, tekel, peres». Il re è preso da sconforto e paura terribile; i saggi della corte non sono in grado di spiegare la scrittura. Viene introdotto Daniele al quale il re promette di dargli la dignità di terzo nel regno se sarà in grado di interpretare i termini. Il profeta rifiuta i doni ed offre al re la spiegazione di ciascuna parola. La gloria regale è stata offuscata dalla condotta di orgoglio e strapotere di Nabucodonosor e le conseguenze si riversano anche sull’attuale re. Dio ha mandato quella mano ed ha sentenziato: il regno avrà fine; il peso del re è mancante; il regno sarà diviso e dato ai Medi ed i Persiani. Quella notte stessa Baldassar viene ucciso. Con Dio non si scherza, in tutte le epoche storiche ed in tutti i modi. Ciò che è sacro non può e non deve essere violato: prima o poi la sciagura si abbatte su chi pieno di orgoglio e disprezzo per le cose sacre, si macchia di qualunque forma di sacrilegio. E non sono in riferimento a suppellettili sacre, ma anche e soprattutto alla dignità umana nei suoi valori più naturali ed alle persone nelle quali si nasconde il volto stesso di Dio. P. Angelo Sardone

La grande statua e la pietra misteriosa

«Il sogno è vero e degna di fede ne è la spiegazione» (Dan 2,45). Dio concede al suo servo Daniele la capacità di interpretare i sogni. Alla corte di Nabucodonosor i maghi e gli esperti divinatori non sono in grado di dare una risposta precisa al re che ha fatto un sogno che lo ha turbato e di cui chiede una spiegazione. Non si tratta semplicemente di un rigurgito inconscio di pensieri che affollano la sua mente notte e giorno, ma di una indicazione che Dio da per la storia e l’evoluzione del regno stesso. La possente statua sognata dal re altro non è che la rappresentazione plastica del regno di Nabucodonosor e delle sue prossime vicende. La successione dei grandi imperi storici viene presentata col segno di una enorme statua composta dalla testa ai piedi di metalli decrescenti, dall’oro della testa fino al ferro dei piedi, dall’età più splendente e florida a quella del declino inesorabile. Una pietra misteriosa staccatasi dalla montagna colpisce i piedi della statua, miscuglio di ferro ed argilla e ciò provoca inevitabilmente la caduta di essa e la riduzione in polvere di tutti i composti metallici, dal più grezzo al più nobile. Il potente regno dei Caldei decrescerà fino a perdere la consistenza. Un regno nuovo prenderà il suo posto, misterioso come la pietra che si è staccata. Sarà il Regno del Messia, di Gesù che si autodefinirà “pietra d’angolo” rigettata dai costruttori e pietra di fondazione del nuovo edificio che è la Chiesa. La storia del popolo d’Israele confluisce e si realizza nella nuova era storica avviata da Cristo dinanzi al quale anche le più possenti costruzioni ed operazioni si riducono in polvere portata via dal vento senza lasciare traccia. P. Angelo Sardone

I giovani ebrei alla corte di Nabucodonosor

«Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare verdure e da bere acqua quindi deciderai di fare con i tuoi servi come avrai constatato» (Dan 1,12). Nel 587 a.C. si compie interamente il misfatto per Gerusalemme. Ciò che era cominciato dieci anni prima, si realizza fino in fondo. La città di Sion, il punto di riferimento religioso e sociale di Israele cade abbattuta dalla dirompente forza di Nabucodonosor con la relativa deportazione a Babilonia del re e dei suoi sudditi. Alla corte babilonese sono ammessi quattro giovani ebrei scelti per esse introdotti alla cultura ed alla lingua dei Caldei. Il più in vista è Daniele. Gli altri sono Anania, Azaria e Misaele: ricevono un nome nuovo e saranno educati per tre anni per entrare poi al servizio del re. La loro scelta comporta l’assuefazione agli usi e costumi caldei a cominciare dal cibo. Desiderosi di non contaminarsi con le vivande regali, chiedono al sovrintendente di dare loro legumi ed acqua. Dopo dieci giorni il confronto con gli altri giovani avrebbe decretato la bontà o meno della richiesta. La conclusione fu positiva: portati dinanzi al re risultarono eccellenti sia nel fisico che soprattutto in affari di sapienza ed intelligenza, dove risultarono superiori dieci volte a tutti i maghi ed astronomi. Il Signore premia la fedeltà dei suoi eletti manifestata nella rigorosa osservanza della sua legge ed ancora oggi chiunque a Lui si affida e mette in pratica le sue indicazioni, sta bene fisicamente e moralmente, anzi può risultare superiore al confronto con altri più leggeri ed inosservanti. P. Angelo Sardone

La presentazione di Maria al Tempio

«Portiamola al tempio del Signore, per compiere la promessa che abbiamo fatto» (PdG,VII). La tradizione riportata dal Protoevangelo di Giacomo, un apocrifo del II secolo, scritto cioè non riconosciuto ispirato e non accolto nella Sacra Scrittura, riferisce che Maria, figlia di Giacchino ed Anna, era una bambina precoce, dal momento che a sei mesi già camminava. Quando giunse all’età di tre anni, svezzata ed in grado di “non cercare più il padre e la madre”, fu condotta al Tempio di Gerusalemme per essere donata al Signore ed adempiere la promessa fatta a suo tempo dai due anziani genitori. Accogliendola il sacerdote la baciò e profetizzò che per mezzo suo alla fine dei tempi il Signore avrebbe compiuto la redenzione dei figli di Israele. Massimo il Confessore, un santo del VII secol, nella sua «Vita di Maria» descrive il rito evidenziando la gloria e l’onore col quale Maria fu condotta, preceduta da molte vergini con le lampade accese, come preannunciato dal re e profeta Davide (Sal 44,15). I genitori se ne tornarono a casa meravigliati e lodando il Signore perché la bimba non si era voltata. Maria rimase nel Tempio come una colomba, alimentata da un angelo fino all’età di 12 anni quando fu affidata a Giuseppe perché divenisse sua sposa. Nelle vergini al tempio la Chiesa ha visto le anime consacrate che seguono Maria nell’offerta radicale della propria vita a Cristo, lo servono e lo imitano nel cammino della santità. Per questo sin dal 1953 nella memoria della Presentazione di Maria al tempio si celebra la Giornata Pro Orantibus, invitando a pregare per le monache ed i monaci di clausura di tutto il mondo, riconoscendo nell’offerta della Vergine a Dio, l’ideale della vita consacrata. P. Angelo Sardone