Giornata mondiale della Vita Consacrata

«Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi» (Ml 3,4). I fatti che l’evangelista narra a compendio dell’infanzia di Gesù si svolgono tutti a Gerusalemme: la città è il luogo della Presentazione del Signore al Tempio e della sua offerta a Dio, con un significato propriamente sacerdotale. Il cerimoniale si caratterizza con il vocabolario liturgico, cultuale e sacrificale: presentare, offrire, coi relativi frutti del sacrificio, la luce, la gloria. In questa circostanza, come il resto dei vangeli ampiamente dimostrano, Gesù viene indicato come colui che è offerto al Padre ma anche come colui che offre. Erano passati 40 giorni, tanti ne occorrevano alla madre per potersi recare al Tempio per la sua purificazione dopo il parto, trattandosi di un figlio maschio e per riscattare il neonato. Giuseppe e Maria si recarono al Tempio di Gerusalemme per compiere questo rito e presentare il bambino. Lo Spirito Santo spinge al tempio Simeone, uomo giusto ed Anna, una profetessa dedita ad una sorta di celibato consacrato. L’incontro con i genitori e Gesù determina l’illuminazione e la proclamazione di alcune significative profezie. Gesù rivela ancora una volta la sua grandezza, la gloria e la luce che apre alla fede. Alle parole di Simeone si ispira il rito della benedizione delle candele, la cosiddetta “candelora”. In analogia a questa festa ed al significato dell’offerta della propria vita, il 1997 Giovanni Paolo II istituì per il 2 febbraio la Giornata Mondiale della Vita consacrata con l’intento di “valorizzare sempre più la testimonianza delle persone che hanno scelto di seguire Cristo da vicino mediante la pratica dei consigli evangelici e, per le persone consacrate, occasione propizia per rinnovare i propositi e ravvivare i sentimenti che devono ispirare la loro donazione al Signore”. Oggi è la festa di noi religiosi, uomini e donne, di vita attiva e contemplativa, appartenenti a tutti gli Ordini e Congregazioni religiose, consacrati a Dio col vincolo dei santi voti. La vicinanza e la preghiera del popolo di Dio sostenga la nostra fedeltà e la testimonianza dei beni futuri. P. Angelo Sardone

La morte di Assalonne figlio di Davide

«Figlio mio Assalonne! Fossi morto io invece di te, Assalonne, figlio mio, figlio mio!» (2Sam 19,1). Tra i diversi figli che Davide ebbe, ne spiccava uno, Assalonne, il cui nome significa “il padre, cioè dio, è pace”. Era figlio di Macha figlia del re di Geshur. La Scrittura attesta che era molto lodato per la sua bellezza. Aveva ucciso il fratellastro Amnon che aveva violentato sua sorella Tamar. Per questo era fuggito dagli occhi del padre. Pur essendo stato perdonato aveva cominciato a coltivare ambizioni regali fino ad intentare una campagna offensiva nei confronti di Davide, autodichiarandosi re ad Ebron. Ciò dimostra la particolare situazione ambientale della famiglia di Davide, conseguenze della poligamia e lo scarso sforzo del grande re per guidare i suoi figli che manifestano la mancanza del senso del dovere. La rivolta di Assalonne metteva in effetti in evidenza lo scontento nei confronti del governo del padre. La battaglia divenne guerra aperta: nella foresta di Efraim si scontrarono gli eserciti di Davide e di Assalonne. Il giovane fu sconfitto e, malgrado il padre avesse chiesto che non gli fosse fatto alcun male, mentre fuggiva sopra un mulo, a causa della folta capigliatura rimasta impigliata tra i rami di una quercia, era rimasto appeso all’albero finchè Joab, capo delle forze di Davide non lo uccise. Enorme fu il dolore di Davide. La storia biblica spesso si ripete nella storia odierna laddove tanti padri pur essendo stati avversati dai figli con comportamenti scorretti se non ostili e denigranti, li piangono comunque, vittime del proprio orgoglio e della loro inopportuna ostinazione. P. Angelo Sardone

Festa del Nome SS.mo di Gesù

«In nessun altro nome c’è salvezza» (At 4,12). L’autorevole affermazione di S. Pietro dinanzi ai capi, gli anziani, gli scribi ed il sommo sacerdote, Caifa a Gerusalemme, testimonia sin dagli inizi l’importanza teologica ed ecclesiale ed il saldo fondamento della fede nel Nome, cioè nella persona di Gesù Cristo, il Salvatore. Non solo Egli opera la salvezza, ma è la salvezza. Chiunque si accosta a Lui e vive di Lui, assapora già in terra il mistero della liberazione dal peccato e lo stato di grazia. Il nome di Gesù poi, secondo gli insegnamenti e l’esperienza di sant’Annibale Maria Di Francia, è garanzia di ascolto certo da parte di Dio Padre in ogni richiesta. Sul saldo fondamento evangelico di S. Giovanni, il santo canonico messinese fonda l’istituzione della novena di riparazione al Nome di Gesù e, il 31 gennaio, la grande Supplica all’Eterno Divin Genitore nel nome di Gesù. Ciò è cominciato nella sua Opera dal 1888 e tuttora permane nella sua validità e con l’impegno di tutti nelle diverse parti del mondo, essendo una delle devozioni “primarie”. Con 34 petizioni che richiamano gli anni della vita di Gesù, compresi i nove mesi nel grembo di Maria, e facendo memoria di quanto avvenuto, si presenta la gratitudine a Dio per l’anno trascorso, tutti i benefici ricevuti e la richiesta fiduciosa per il compimento di altri desideri ed opzioni. La presentazione della Supplica nello stesso orario, le ore 12.00, ed il coinvolgimento delle persone che ruotano attorno ai diversi Istituti maschili e femminili, parrocchie e santuari rogazionisti, testimonia la concordia e l’unità di intenti che rende feconda ed accolta ogni richiesta nella preghiera. Chi vuole può unirsi in sintonia spirituale. P. Angelo Sardone

Chiamati prima ancora di nascere

«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni» (Ger 1,5). Ogni chiamata del Signore, ogni vocazione, precede la stessa nascita del chiamato. Si tratta di un dono che Dio ha coltivato nel suo amore e nella pienezza dei suoi tempi rende manifesto a ciascuno. Quello del profeta Geremia è un esempio concreto. Nato ad Anatot presso Gerusalemme intorno al 645 a.C. spesso nel suo libro apre squarci autobiografici a cominciare dal racconto della sua chiamata come una vera e propria rivelazione da parte di Jahwé. Vive ed opera inizialmente in un tempo di pace segnato dalla cosiddetta “riforma di Giosia” (621). Il compito a lui affidato è quello di comunicare quanto il Signore gli rivela, senza avere paura, con la certezza di sapere che il Signore gli è sempre accanto, pronto a salvarlo da qualunque guerra potrà essere intentata contro di lui. Il mistero della chiamata, soprattutto quella di speciale consacrazione passa attraverso i parametri divini che superano la visuale umana a cominciare già dal tempo. Nel cuore di Dio è inscritto il nome di colui e di colei che nel suo amore gratuito vuole scegliere, eleggere per una missione. Ogni vocazione, soprattutto quella sacerdotale e di speciale consacrazione, trova il suo senso pieno, con il discernimento ed il dovuto accompagnamento, guardando al popolo di Dio. Nessuno vive per se stesso: anche la scelta del monachesimo, della clausura, come l’esercizio dei consigli evangelici nella vita attiva non si risolve nello spazio di un monastero, di un istituto religioso o di una casa canonica, ma negli spazi ben più ampi del mondo e dei cuori. P. Angelo Sardone.

Il peccato di Davide

«Tu sei quell’uomo!» (2Sam 12,7). La vicenda trionfale di Davide si scontra con il limite umano determinato dalla sua passione ingannatrice e dalla morsa del peccato nel quale cade vistosamente e la pianificazione sistematica del suo intervento omicida. Il fascino di una donna avvince il suo cuore: avrebbe potuto averne molte, ma sedotto dalla bellezza ha ripiegato su Betsabea, coniugata con Uria l’Ittita. La sua gravidanza lo mette nella condizione di agire disonestamente prendendosi poi le sue responsabilità. Le conseguenze sono drammatiche: pur essendo ligio al suo dovere di soldato ed avendo rifiutato tutte le subdole azioni del re che avrebbe voluto coinvolgerlo personalmente nella responsabilità del concepimento di suo figlio, il soldato Uria viene rinviato in battaglia, fatto mettere volutamente in prima fila per essere ucciso. Seppure si è sbarazzato di lui, il re non la fa franca perché il Signore gli manda il profeta Natan che lo svergogna e lo richiama alla sua terribile responsabilità. Attraverso l’espediente letterario della pecora sottratta da un re ad un povero che aveva in lei tutta la sua ricchezza ed i suoi affetti, il profeta smaschera Davide indignato per il comportamento autoritario del re della parabola, dicendogli apertamente che quel re è proprio lui ed il suo comportamento nei confronti di Uria è lo stesso di quello sciagurato re. Davide ammette: ha peccato, ma è sinceramente pentito. Il perdono del Signore lo avvince, ma non gli risparmia la giusta penitenza. Anche per il peccato più grave Dio concede il perdono quando uno è davvero pentito. P. Angelo Sardone

S. Tommaso d’Aquino sublime modello di santità e cultura teologica

«Il granello di senape cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto» (Mc 4, 31-32). Nella sua predicazione Gesù spesso fa ricorso ad immagini tratte dal mondo rurale, vicino e comprensibile al suo uditorio. Nella proclamazione del Regno e nell’attestazione della sua entità l’immagine diviene davvero efficace: il Regno, cioè la sua persona, l’annunzio del Vangelo, è una piccola realtà, come un minuscolo granello di senape. Quando cresce diviene un alberello sul quale possono posarsi anche gli uccelli. Il dovere di annunziare il Vangelo affidato agli apostoli è passato attraverso i secoli sulle spalle e nelle vite di uomini e donne, religiosi e laici, che nella semplicità, nella piccolezza e nel nascondimento hanno fatto fruttificare un bene così prezioso. Il domenicano S. Tommaso d’Aquino (1225-1274), uno dei massimi dottori della Chiesa, di una cultura enciclopedica ed una sistematicità di esposizione eccezionale, si pone in questa scia. La sua santità e le sue opere corpose sono un monumento filosofico e teologico di straordinario valore, mirabile compendio (Lui stessi ne definì alcune “Summae”), che sfida il tempo e condiziona tuttora lo scibile teologico. Pur indirizzato alla vocazione benedettina, dopo alcuni studi all’università di Napoli scelse egli stesso l’Ordine di S. Domenico. S. Alberto Magno che insegnava a Parigi e l’ebbe come alunno, comprese la sua enorme capacità ed il suo genio intellettuale. Preghiera, meditazione, studio incentrato in Gesù Cristo, insegnamento accademico, furono gli elementi che contraddistinsero fino in fondo la sua vita. Tutt’oggi si rimane sbalorditi dinanzi a tanta sapienza e santità di vita. P. Angelo Sardone