Primo Canto del “Servo di Jahwè”

«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio» (Is 42,1). La settimana santa aperta dalla Domenica delle Palme, fa ripercorrere le ultime tappe della vita in terra di Gesù, nella liturgia, a partire dalla Parola di Dio. Essa esprime la grandezza del mistero incarnato nel Figlio di Dio. Il primo Canto del Servo di Jahwé presenta il protagonista delle azioni drammatiche e gloriose della passione, morte e risurrezione. Viene identificato come un profeta, oggetto della predilezione di Dio, latore di una missione salvifica e di una predestinazione divina. La prima predicazione cristiana, in maniera concorde ha riconosciuto in questo servo lo stesso Gesù Cristo, soprattutto quando Egli stesso ha applicato a sé i connotati specifici della sofferenza enunciati dal Deuteroisaia. Il servo eletto da Dio è sostenuto dallo Spirito proprio come i grandi re e profeti. Al battesimo di Gesù e nella trasfigurazione, nel corso della teofania, tornano i medesimi termini adoperati dal profeta e chiaramente applicati dalla voce del Padre al suo Figlio Gesù, l’amato. Mitezza e fermezza contraddistinguono il suo parlare ed agire. Preso per mano da Dio Egli apre gli occhi a tutti perché comprendano la grandezza dell’amore del Creatore che in Lui rivela ogni cosa. Nella sofferenza di Cristo, accolta e vissuta per amore delle creature, si trova tutta la pienezza dell’umanità, portata sull’altare della croce come offerta a Dio della fragilità e debolezza di ogni uomo, trasformate da Cristo in fortezza e stabilità. Anche per me, anche per te! P. Angelo Sardone

Domenica delle Palme

Sintesi liturgica

Domenica della Palme. Il discepolo con l’orecchio aperto da Dio e attento, senza paura proclama la parola ed offre ai persecutori il suo viso oggetto di insulti e sputi. È assistito da Dio e non rimane confuso e svergognato. Il celebre Inno cristologico dei Filippesi sintetizza in maniera superlativa l’abbassamento e l’esaltazione di Cristo-Dio umiliato sino alla morte e costituito “Signore”: dinanzi a Lui tutto si piega. Il desiderio ardente di mangiare la Pasqua coi suoi discepoli apre la narrazione della Passione di Cristo. L’evangelista Luca con dovizia storica e teologica ripercorre i passi degli ultimi giorni di Cristo e racconta il più grande e sconvolgente evento della storia di sempre: la morte dell’uomo-Dio. Nel variegato scenario, nel copione scritto col sangue e nelle parti dei personaggi diversi, ognuno ritrova se stesso con-protagonista talora incauto e responsabile del dramma che la Chiesa rivive attraverso la sontuosità e l’impagabile bellezza della liturgia. In Pietro che rinnega, in Giuda che tradisce, nel popolo prima osannante e poi inferocito che chiede la morte, in Barabba liberato, nei carnefici ed aguzzini, nelle donne piangenti, negli Apostoli paurosi, in Giovanni ai piedi della croce, in Longino inondato dall’acqua e dal sangue del costato, ciascuno riscopre e vede la sua identità ed il suo ruolo nel mistero della Passione. Osanna e crucifige: sono parametri di gloria e vergogna del mondo! Questo è l’uomo e la donna cangianti ed opportunisti, che però saranno vinti dal cruento e disarmante amore di Cristo che muore in croce. P. Angelo Sardone

Il Dio con noi

«In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Ez 37,27). L’alleanza sancita da Dio col suo popolo, a cominciare da Abramo, fu rinnovata con Mosé col dono dei comandamenti e si è compiuta e stabilita in Gesù Cristo nel mistero della sua morte e risurrezione. Nel patto proposto da Dio, la prima condizione è quella di essere Lui l’unico e vero Dio, il riferimento assoluto della vita e delle azioni del popolo, unitamente alla obbedienza della fede, che respinge ogni idolo e fa tenere lo sguardo fisso sul Creatore e Redentore. In questa veste Dio assicura la sua presenza in mezzo al popolo, è veramente l’Emmanuele, il Dio con noi. Per questo Jahwé volle porre la sua dimora sulla terra che, nel corso del tempo, si manifestò con la sua Parola, le tavole della legge poste nell’Arca dell’alleanza, la Legge promulgata da Mosé, il Tempio santo a Gerusalemme, la persona stessa di Gesù Cristo: in Lui inabita la pienezza al tempo stesso della divinità e dell’umanità. Dio dimora in mezzo al suo popolo antico e, oggi, nel mistero della Chiesa che è costituita dal popolo santo di Dio. Rivela la sua presenza nei poveri e nei sofferenti e, nella forma per eccellenza, nel mistero dell’Eucaristia che è patto di alleanza, cibo di vita, farmaco di immortalità e viatico per la vita eterna. Il patto richiede fede. È proprio nel mistero della fede che il cristiano stabilisce e realizza la sua vita sulla terra con lo sguardo sempre rivolto al cielo. P. Angelo Sardone

I poveri di Jahwè

La semina del mattino

«Lodate il Signore, perché ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori» (Ger 20,13). Un estratto significativo delle «confessioni» del profeta Geremia riportate nel capitolo 20 dell’omonimo libro, fa riferimento esplicito alla sua condizione di vessato dalla calunnia e denunciato dai suoi detrattori, finanche gli stessi amici. Ce l’hanno a morte con lui. La lotta è dura e lo sarà sino alla fine. Il profeta comunque non si sente solo, perché averte la presenza costante del Signore accanto, che gli garantisce la stabilità e la non prevaricazione dei nemici. La confessione diventa preghiera di lode al Signore: è consapevole di essere stato liberato dalle mani dei malfattori, sentendosi agli occhi di Dio “povero”. Il linguaggio ebraico caratterizza col termine «Anawim» i «poveri di Jahwé». La povertà implica la piccolezza, l’umiliazione, una dimensione di povertà spirituale davanti a Dio e non semplicemente assenza di cose materiali, o denaro. I poveri sono coloro che attendono la salvezza ed hanno fiducia nel Signore. Ma povero è anche chi malauguratamente incappa nelle mani dei prevaricatori, dei malfattori, dei prepotenti, dei tiranni, della gente di malaffare. Allora la povertà diviene addirittura spaventosa, perché l’individuo viene privato della sua dignità umana ed asservito al potere, alla bieca sopraffazione. Povero è infine chi è senza Dio. Le sue ricchezze anche materiali diventano fumo e si tramutano in giudizio spietato. Scampare dalle mani dei malfattori esige un coraggio grande ed una forza d’animo che solo il Signore concede a chi glielo chiede con fiducia ed umiltà. P. Angelo Sardone

Abramo e l’alleanza con Dio

««Da parte tua devi osservare la mia alleanza, tu e la tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione» (Gen 17,9). La grande storia di Abramo, il capostipite del popolo d’Israele, si inquadra fondamentalmente in un rapporto di alleanza con Dio. Dopo quella con Noè, con la quale Dio aveva promesso di non distruggere più la terra, l’alleanza con Abramo è la manifestazione della totalità con la quale Dio vuole che la creatura si leghi a Lui: abbandono della terra per andare verso una terra sconosciuta. In cambio della sua protezione perenne e di una numerosa posterità, Dio gli promette una terra tutta sua e gli chiede il segno della circoncisione. Questo atto presente già nei popoli orientali, comincia per il popolo di Dio con Abramo, ed è prescritta proprio come segno di Alleanza. Nel contempo, secondo la concezione antica in riferimento al nome che non designa solo l’identità ma determina anche la natura di un individuo, Dio gli cambia il nome: non si chiamerà più Abram, che nel linguaggio semitico significa «mio padre è sublime» ma, con la forma allungata «Abraham». Anche se entrambi i termini sembrano essere forme dialettali dello stesso nome, il nuovo nome dato da Dio significa «padre di una moltitudine». E con questo attributo il patriarca passerà alla storia. Non dovrà essere solo lui ad osservare l’alleanza ma la stirpe ventura, le varie generazioni che da lui nasceranno. L’impegno di fedeltà a Dio non si consuma ed esaurisce in Abramo ma continua anche oggi nel nuovo popolo di Dio, la Chiesa che non l’esprime con la circoncisione, ma con la stessa persona di Gesù nella nuova ed eterna alleanza del suo sangue. P. Angelo Sardone

Dio salva sempre

La semina del mattino

«Hanno trasgredito il comando del re e hanno esposto i loro corpi per non servire e per non adorare alcun altro dio all’infuori del loro Dio» (Dn 3,95). La città diBabilonia con i re Nabucodonosor e Balthassar fu il luogo nel quale si svolsero le gesta del profeta Daniele, ivi condotto con gli Ebrei, ed in particolare degli altri tre giovani Anania, Azaria e Misaele con lui protagonisti nei primi capitoli dell’omonimo libro. Esso non rappresenta più una vera corrente profetica, la predicazione fatta ad un popolo, ma un vero e proprio racconto. Le indubbie capacità intellettive del giovane Daniele, come quelle dei suoi tre amici, lo impongono all’attenzione del re e della sua corte. Essendo però venuti meno all’ordine del re di prostrarsi ed adorare la statua d’oro che lo stesso aveva fatto fare, furono gettati nella fornace ardente per essere uccisi. Le fiamme non li toccavano affatto, anzi essi camminavano liberamente mentre il fuoco bruciava senza arrecare alcun danno ai giovani che invece lodavano Dio. Azaria proclamò un bellissimo cantico cui segue l’altrettanto noto cantico dei tre giovani che la liturgia ha adottato nella preghiera delle Lodi mattutine della domenica e nelle feste. Stupito e consapevole del miracolo avvenuto sotto i suoi stessi occhi, il re ordinò di liberarli ed anzi di gettare coloro che li avevano accusato e cominciò lui stesso a lodare e benedire Dio. I giovani, invece, liberati, furono promossi a pubbliche cariche regali. Succede sempre così. L’osservanza e la fedeltà alla legge di Dio, in qualunque epoca ed in qualunque situazione, premia e lascia trasparire la potenza di Dio che col suo angelo libera anche dal fuoco. P. Angelo Sardone

La mormorazione

«Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita» (Nm 21,8). Il libro dei Numeri, come dice lo stesso nome, non è solo il primo libro di statistiche al mondo, ma nei suoi 36 capitoli contiene interessanti tratti di storia del popolo d’Israele nella traversata del deserto dell’Esodo. Il popolo è insofferente del viaggio, non sopporta più la manna, il cibo così leggero procurato ogni giorno dal cielo, desidera la carne, è sprovvisto di pane e di acqua. Sono tutti ingredienti per una ribellione chiassosa contro Dio e contro Mosè, reo di averli indotti a lasciare l’Egitto. Il suo non è semplicemente un dire, ma una vera e propria mormorazione condita di astio acerbo e rosso rancore. La punizione non tarda a venire perché le invettive salgono direttamente al cielo contro il Signore al suo cospetto. Non si tratta di vendetta divina ma di naturale conseguenza di quanto si è sputato verso l’alto: torna inesorabilmente verso il basso e sporca. In questo caso l’insidia di morte viene dalla terra ed è costituita da serpenti detti “striscianti”, velenosissimi che mordendo causano inesorabilmente la morte. Muore un gran numero di Israeliti. I superstiti si avvedono della grave sciocchezza che hanno fatto e corrono ai ripari pentendosi e chiedendo perdono al Signore. La mediazione di Mosè ferma il flagello. Dio gli chiede di fare un serpente di bronzo guardando il quale chiunque è morso non morirà ma guarirà. Si intravvede in questa prospettiva il legno della croce e Gesù ivi confitto, attratti dal quale, si guadagna la salvezza. Terribile ed iniqua è la mormorazione, ieri come oggi. P. Angelo Sardone

La storia di Susanna

«Sono in difficoltà da ogni parte. Se cedo, è la morte per me. Meglio per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!» (Dn 13,23). La Bibbia ebraica si divide in tre parti che compongono l’acronimo TANAK, dove T sta per Torah (la legge), NA per neviim (i profeti) e K per ketuvim (altri scritti). In quest’ultima sezione gli Ebrei collocano il libro di Daniele. La Bibbia cattolica lo annovera invece tra i profeti. Tra le altre lo scritto vuole sostenere la fede e la speranza dei Giudei perseguitati dal re Antioco IV Epifane. Tutto il capitolo 13 è dedicato al racconto di una eroina, vittima del sopruso di vecchi adusati al peccato: è la nota storia della casta Susanna, moglie di Joakim, oggetto di uno squallido ed ignobile complotto di due libidinosi anziani della comunità giudaico-babilonese. Sorpresa nel giardino mentre faceva il bagno, divenne oggetto del loro malsano desiderio sessuale. Per non aver ceduto al loro spregevole ricatto, fu accusata come adultera, condotta in giudizio e condannata a morte. Il Signore che protegge gli innocenti suscitò lo spirito di Daniele che, separatamente, sottopose i due vecchioni ad un interrogatorio. Fu evidente la loro menzogna e si svergognarono platealmente. L’innocenza viene difesa e la malizia è punita. Questa realtà molte volte viene disattesa da iniqui abusi e disonesta malvagità nei procedimenti giudiziari, ieri come oggi. Pagano le spese, vittime innocenti che pur cadendo nelle trappole di facinorosi e spregevoli individui senza coscienza e moralità alcuna, scelgono di non peccare davanti a Dio e subiscono violenza su violenza. P. Angelo Sardone

Dio aprirà una via…

La semina del mattino

«Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa» (Is 43,16). Il ricordo dell’Esodo rimase impresso nella mente e nella storia del popolo di Israele. Aveva caratterizzato l’identità della nazione santa, protetta da Dio, favorita in tutto da lui, retta nel duro e provato cammino di stenti e di fatiche. Una volta insediato nella nuova terra il popolo ha goduto dei benefici che Dio ha concesso con larghezza. In seguito Egli stesso ha preparato un nuovo esodo, quello della fede e quello storico a seguito della cattività babilonese. Il profeta Isaia si fa interprete della memoria storica, ricordando al popolo cieco e sordo dinanzi agli avvenimenti della sua storia, come l’agire di Dio è vera e   concreta testimonianza di amore e benevolenza. Ciò che è avvenuto nel passato sarà eclissato da quanto, con ancor più meraviglia, Dio opererà nel nuovo esodo. Le immagini si rifanno alla situazione ambientale della natura e del territorio: il deserto, la strada, la steppa, i fiumi. Nel linguaggio biblico questi termini richiamano l’aridità e la prosperità, nel quadro della volontà di Dio come purificazione e gratificazione. Nella vita di ogni giorno il Signore apre la sua strada di esodo nel deserto della vita dell’uomo, resa tale dalla dissipazione, dal rifiuto del soprannaturale, dall’ostinazione verso il bene e dall’orgoglio che impedisce di accogliere dalle mani di Dio la provvidenza e la bontà. Bisogna realmente viere il proprio esodo per capire quello che di peccaminoso si lascia dietro le spalle e quello che invece appena si intravvede col latte ed il miele, prosperità della terra promessa che si raggiunge solo oltrepassando il Giordano col battesimo di purificazione e di penitenza. P. Angelo Sardone

S. Francesco di Paola

La semina del mattino

«Signore degli eserciti, giusto giudice, che provi il cuore e la mente, a te ho affidato la mia causa» (Ger 11,20). I profeti hanno parlato del Messia e del mistero della sua passione e morte. Con temi diversificati, a seconda del tempo, delle persone cui si rivolgevano e del luogo nel quale profetavano, proclamavano aspetti diversi che convergevano nel culmine dell’amore, l’offerta gratuita della vita a fronte degli intrighi e dell’odio violento degli avversari e nemici. Questi ultimi vogliono abbattere l’albero nella sua prosperità fruttifera e strapparlo addirittura dalla terra perché più non sia e nessuno più si ricordi di lui. Tutto è rivelato da Dio perché possa essere comunicato al popolo. Il “servo” giusto che ha visto queste magagne si rivolge al Dio giusto mettendo la sua vita nelle sue mani, affidando a Lui la sua causa. La liturgia odierna ricorda S. Francesco di Paola (1416-1507), uno dei santi più longevi e più noti per aver fatto della sua vita un servizio di amore verso tutti ed aver affidato a Dio la causa di salvezza del mondo intero. Fondatore dell’Ordine dei Minimi, con la sua testimonianza di vita rigorosa nell’eremitaggio, dedita alla penitenza, richiamò attorno a sé molti discepoli, insegnando loro il primato del Vangelo con l’austerità, anche alimentare. Il suo motto, riportato nell’iconografia è “Charitas”, carità, cioè amore per Dio e per il prossimo. Il Signore operò per lui tanti miracoli, uno dei quali, è il passaggio dello stretto di Messina sopra un mantello. Secondo e Terz’Ordine, delle donne prima e dei laici dopo, sono il corredo di questa splendida figura che ha lasciato un alone di santità che continua oggi attraverso i suoi figli e le sue figlie. Paola, in Calabria è il centro propulsore del suo culto e della devozione al santo patrono della gente di mare d’Italia. Auguri a chi ne porta il nome. P. Angelo Sardone