Autore: Angelo Sardone
S. Atanasio, dottore della SS.ma Trinità
«Non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava» (At 6,10). Dopo l’istituzione del diaconato nella comunità cristiana di Gerusalemme, l’evangelista Luca documenta le azioni pastorali dei diaconi, primo tra tutti, Stefano. Di lui evoca la grazia e la potenza di cui è dotato ed i grandi prodigi e segni operati in mezzo al popolo. Tutti sono ammirati ed alcuni membri della sinagoga pur volendo discutere con lui, non sono alla pari e non resistono alla sua sapienza: il diacono infatti parlava sotto l’influsso dello Spirito Santo. Non potendo fare altro, istigano alcuni a calunniarlo, asserendo di averlo sentito dire cose blasfeme contro Dio, la Legge e Mosè, fino a tradurlo davanti al sinedrio per un giudizio punitivo. Tutto quello che viene detto, è ritenuto sovversivo nei confronti di una Tradizione cui gli Ebrei in maniera ligia si assoggettavano. Si accorgono ben presto che non è Lui a parlare perchè scorgono il suo viso simile a quello di un angelo. Dinanzi alla potenza dello Spirito ogni tentativo di ostruzione è vano soprattutto quando si vogliono offuscare verità di fede che toccano il mistero di Cristo. Ciò si ripete nella storia della Chiesa e trova oggi in S. Atanasio di Alessandria d’Egitto (295-373), un deciso assertore della divinità di Cristo proclamata nel Concilio di Nicea (325) e negata dall’eresia ariana. Da giovane fu discepolo di S. Antonio abate e per le sue qualità di uomo probo, virtuoso ed asceta fu acclamato vescovo. La Chiesa lo ha definito dottore della SS.ma Trinità. Anche oggi è indispensabile formarsi alla scuola di questi interpreti illuminati della fede per non rischiare di “correre invano”. P. Angelo Sardone
La testimonianza ed il martirio
«Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono» (At 5,32). Il coraggio acquisito dagli Apostoli a seguito della discesa dello Spirito Santo ha qualcosa di sorprendente. La paura sfoggiata in occasione della passione di Cristo e della sua morte li aveva reso tutti latitanti, Pietro rinnegante, Giuda traditore. Ora è diventata coraggio sfrontato che non si ferma dinanzi ad alcuna forma di provocazione, minacce ed ingiurie. Ciò li rende testimoni. Essi hanno visto, hanno toccato con mano, sono stati educati e formati e nonostante non avessero capito fino in fondo quanto Gesù aveva loro insegnato, ora con la discesa dello Spirito, sono letteralmente trasformati e sono diventati impavidi. Gesù l’aveva detto: «Riceverete la forza dallo Spirito e mi sarete testimoni» (At 1,8). Si tratta di dare pubblica testimonianza a qualcosa che non appartiene loro: lo Spirito si schiera dalla loro parte e genera ascolto in coloro che gli obbediscono. La testimonianza genera a sua volta l’eroismo: i martiri, sono infatti testimoni. Il termine greco «martyr» significa appunto testimone. Non si può d’altronde annunciare il vangelo di Cristo se non dando concreta testimonianza di averlo accolto nella vita e di tradurre in pratica i suoi insegnamenti. Tutti gli Apostoli, secondo la tradizione, sono morti martiri. La credibilità della Chiesa (pastori e semplici fedeli) si misura a partire dalla loro coerenza o meno, legata a ciò che si dice e proclama ed a ciò che concretamente poi si fa. Anche se non sempre ci riusciamo, noi pastori siamo chiamati a predicare prima di ogni cosa con la coerenza della vita. P. Angelo Sardone
L’istituzione del diaconato
«Cercate sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza. Noi ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola» (At 6,3-4). L’istituzione del «diaconato» nella primitiva chiesa di Gerusalemme è determinata dalla necessità di provvedere alle mense ed alle vedove. Gli Apostoli non volevano essere distolti dal compito specifico della preghiera e del servizio della Parola che si esplicitava nella predicazione. La comunità cristiana che andava ingrandendosi giorno per giorno, con lo stile della comunione fraterna e della condivisione dei beni, necessitava di un’organizzazione che non fosse lasciata al caso ed alla promiscuità eclettica del servizio. Occorreva distinguere bene i vari ministeri lasciando liberi gli Apostoli di mettere in pratica il mandato ricevuto direttamente da Gesù, cioè andare ovunque, predicare, battezzare. All’interno della stessa Comunità, secondo esplicita richiesta degli Apostoli, furono indicati sette uomini che presentavano i requisiti di buona reputazione e di pienezza di Spirito e di sapienza. Furono scelti Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola. La preghiera e l’imposizione delle mani degli Apostoli sancì il loro riconoscimento e l’avvio del ministero. Questo gesto è divenuto proprio del sacramento dell’ordine nei suoi tre gradi: diaconale, sacerdotale, episcopale. Il compito dei successori degli Apostoli, i vescovi ed i sacerdoti in comunione con loro, continua ancora oggi col ministero della predicazione, indispensabile modalità di servizio della Parola e di sviluppo della fede. «La nostra missione, la prima è parlare, annunciare quel messaggio di Cristo, del quale siamo depositari e del cui insegnamento siamo maestri responsabili» (Paolo VI). P. Angelo Sardone
Santa Caterina da Siena
«Se camminiamo nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, ci purifica da ogni peccato» (1Gv 1,7). L’odierna festa di S. Caterina da Siena è corredata liturgicamente da un passo significativo della Prima Lettera di S. Giovanni, abitualmente proclamato nel periodo natalizio. Si tratta di uno degli elementi propri che l’evangelista collega al suo Vangelo nel segno della luce e della comunione fraterna fondata sul sangue di Cristo che purifica da ogni peccato. In questi princìpi si esplicita il mistero della Pasqua del Signore, sulla quale si fonda l’autentico cammino cristiano. Caterina Benincasa da Siena (1347-1380) è una delle più singolari espressioni di santità di terra italiana. La sua vita evidenzia molteplici elementi che la contraddistinguono tra i Santi: la sua identità di terziaria domenicana, filosofa, teologa e mistica. Attorno a lei si mossero artisti, persone dotte e religiosi. Dotata di particolari doni dall’alto, scriveva e parlava indistintamente a papi, cortigiani, popolani, detenuti. Un coraggio ardito e sorprendente la spinse fino ad Avignone in Francia dal papa Gregorio XI inducendolo a tornare a Roma. Nella città eterna morì ad appena 33 anni. Pio XII la dichiarò patrona d’Italia (1939) insieme con S. Francesco d’Assisi, S. Paolo VI la annoverò tra i «dottori» della Chiesa (1970) per la sua sapienza e dottrina e S. Giovanni Paolo II la volle compatrona d’Europa. La luce risplendente da Cristo Risorto genera la comunione con Dio e con il Prossimo e provoca, attraverso la grazia sacramentale, il perdono dei peccati e l’itinerario di santificazione. Auguri a tutte le Caterina, Catia e simili, perché rispecchino nella loro vita la ricchezza di sincerità e purezza espresse nel loro bel nome. P. Angelo Sardone
L’obbedienza che si deve a Dio
«Vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome. Ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento» (At 5,28). L’accoglienza della Parola di Dio a Gerusalemme, mentre nella nuova Comunità dei credenti è favorita dalla coraggiosa ed intraprendente predicazione degli Apostoli, viene osteggiata dalla pubblica autorità religiosa. Vi è il grande pericolo di sovvertire le tradizioni e la stessa Parola ancorata alla Legge, soprattutto per il fatto che Gesù si è fatto Figlio di Dio. Tutto è stato sconvolto dal mistero della risurrezione, cosa inaudita. Il coraggio fermo di Pietro mette a tacere le lagnanze che sono anche di ordine politico perché la gente comincia ad orientarsi diversamente ed a seguire i nuovi insegnamenti. La testimonianza più efficace e convincente è quella della Risurrezione alla quale non si può resistere. Gli Apostoli, battezzati nello Spirito, ne sono profondamente convinti, anzi è lo stesso Spirito che infonde nelle loro menti e nei loro cuori tanta tenacia e fortezza per affermare queste verità. L’obbedienza a Dio, al Padre che ha operato l’evento della risurrezione, è superiore a qualsiasi altra obbedienza all’uomo che contrasta con il volere di Dio. La forza degli apostoli è sostenuta dalla potenza dello Spirito che li ha chiamati ad essere autentici testimoni. Il frutto di questa novità è la conversione ed il perdono dei peccati. La fede e la retta coscienza illuminata e sorretta da Dio, continua ad orientare la Chiesa e la vita dei credenti che, soprattutto dinanzi a minacce e sovvertimenti della legge naturale e di costumi che non si addicono alla verità, obbediscono a Dio piuttosto che agli uomini. P. Angelo Sardone
La verità fa liberi
«Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita» (5,20). La gelosia, in qualunque settore della vita e della società si esprima, è sempre perniciosa e fa danni incalcolabili. Quando poi si sposa con l’invidia, le conseguenze sono dolorose. La risurrezione di Cristo ha scombussolato le categorie egemoniche dei capi religiosi di Gerusalemme e particolarmente la setta dei Sadducei che rifiutavano tassativamente qualunque evento che avesse a che fare con il ritorno in vita. Le autorità, dunque, non sopportano affatto che gli Apostoli, uomini semplici ed illetterati, parlino in maniera persuasiva e compiano azioni strepitose. Le conseguenze inevitabili sono la segregazione ed il carcere. Ma la Parola di Dio non può essere incatenata. Nella notte avviene l’irreparabile: la potenza di Dio scioglie i ceppi e le catene ed apre le porte sbarrate, ingiungendo agli Apostoli di recarsi nel Tempio a predicare le parole di vita. Il luogo indicato dal Signore non è casuale: si tratta del centro della fede del popolo di Israele che ora deve diventare il luogo aperto e pubblico di espansione di una parola nuova, convincente, che libera il cuore e dona serenità alle menti ottenebrate dal peccato. Grande è la confusione tra i capi e gli ignari carcerieri. La reazione ultima, quasi una resa, è quella di “condurli via” ma senza far loro alcun male, per paura di essere presi a sassate dalla gente. La verità di Dio proclamata con franchezza, genera sempre questi comportamenti. Sono i vili che, non potendo far fronte alla ricchezza ed alla forza della parola e dei Testimoni, si limita a “condurre via”. P. Angelo Sardone
La concordia e l’unanimità dei primi cristiani
«La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (At 4,32). La prima comunità cristiana di Gerusalemme nata sulle rovine della morte di Gesù e sul suo mistero di risurrezione, presenta caratteristiche molto particolari, che l’evangelista Luca evidenzia più volte. La prima è l’unanimità, l’avere cioè un cuor solo ed un’anima sola. A questa se ne aggiungono altre di grande valore che costituiscono le basi ed il modello di ogni comunità cristiana: la condivisione e la comunanza dei beni che supera l’appartenenza personalistica della singola proprietà. Gli adepti alla fede pasquale e i nuovi seguaci del Nazareno, godono di grande favore ovunque, sostenuti dalla coraggiosa ed efficace predicazione degli Apostoli, testimoni della risurrezione. I bisogni più elementari sono condivisi ed eliminati dalla sorprendente generosità di quelli che avevano possessi materiali diversi, che vendevano, depositando il ricavato ai piedi degli Apostoli perchè ne disponessero secondo le necessità comuni e quelle particolari. Il caso di Giuseppe soprannominato Barnaba è citato a modo esemplificativo perchè si sapesse l’identità di chi operava in tal modo un nuovo modo di vivere ed essere carità per gli altri. Questi straordinari esempi non sono solamente storici e documentali, ma anche e soprattutto teologici e spirituali perché testimoniano il l’humus spirituale e comportamentale che i cristiani assumono in nome del Risorto. Essi continuano nell’oggi della Chiesa, sostenuti da una dottrina sociale che la Chiesa stessa ha elaborato nel corso dei secoli, per tutelare i bisogni e guardare al bene supremo della persona e della sua dignità di essere umano e figlio di Dio. P. Angelo Sardone
Festa di San Marco
«Questa è la vera grazia di Dio. In essa state saldi! Vi saluta la comunità che vive in Babilonia, e anche Marco, figlio mio» (1Pt 5,14). La prima lettera di S. Pietro si chiude con due annotazioni: una confessione ed i saluti di rito. Dopo aver esortato i primi cristiani a rivestirsi di umiltà, umiliandosi davanti a Dio e riversando in Lui ogni preoccupazione come già il salmo suggeriva, a resistere al demonio che circuisce come un leone ruggente, in modo da metterlo in fuga, l’Apostolo conferma che quanto ha scritto è la vera grazia di Dio. Se è sottolineata la qualità della verità è perché ci potrebbe essere una grazia non vera, quella dipendente da false o ingannevoli credenze che molte volte fanno illudere di stare a fare chissà quale cammino e ritrovarsi sempre al medesimo punto. Infine, secondo lo stile epistolare, i saluti, prima di tutto da parte della Comunità cristiana presso la quale si trovava a Roma, che al dire degli studiosi è qui indicata con lo pseudonimo di Babilonia, la capitale dell’impero di Nabucodonosor che come i Romani ora contro i cristiani, aveva perseguitato gli Ebrei e distrutto Gerusalemme. Poi i saluti di Marco, suo segretario e discepolo, definito «figlio mio». Si tratta di Marco nipote di Barnaba, suo compagno di missione e familiare anche di Paolo. Autore del secondo vangelo, morì martire ad Alessandria di Egitto trascinato con funi al collo. La tradizione vorrebbe che le sue reliquie sottratte alle fiamme, fossero trasportate l’828 da alcuni mercanti a Venezia di cui è diventato protettore. Il segno iconografico che lo rappresenta è il leone, di cui si fregia la famosa ed artistica città lagunare. Auguri a tutti coloro che ne portano il nome. P. Angelo Sardone