Eucaristia e preghiera per le vocazioni

«Chi mangia di Me, vivrà per Me» (Gv 6,57). Mi ha sempre affascinato questo detto di Gesù contenuto nel lungo discorso del pane che l’evangelista Giovanni riporta nel quarto vangelo eludendo il racconto dell’istituzione della Eucaristia. A Cafarnao il Maestro dà istruzioni ben precise offrendo coordinate adatte per comprendere il grande mistero del cibo eucaristico come nutrimento di vita e la maniera per restare perennemente in mezzo al suo popolo, sia con la celebrazione della S. Messa, che con l’adorazione e la presenza dei sacerdoti unici deputati a questo servizio. Mangiare le carni immacolate di Gesù e bere il suo sangue significa entrare nella piena comunione con Lui: ciò fa scattare l’unità anche con i fratelli. Entrare nell’intimità del Cuore di Cristo significa entrare a far parte delle sue gioie e delle sue pene che S. Annibale M. Di Francia chiama “intime”, perché riferite alla scarsezza degli operai del Vangelo, soprattutto i sacerdoti e i ministri ordinati. Io che in quasi tutta la mia esistenza religiosa e sacerdotale ho svolto il compito di animatore di pastorale giovanile e di promozione delle vocazioni sacerdotali e religiose so bene cosa significhi tutto questo. Lo sbocciare di una vocazione di speciale consacrazione è frutto di una intimità di amore con Gesù, dal quale si apprende la necessità della salvezza delle anime e la cura di esse. Aderire al Signore mediante il sacramento eucaristico mette nella condizione di entrare nell’urgenza e nella necessità di vivere per Cristo. Ed uno dei modi più concreti è quello di seguirlo per la via stretta della perfezione evangelica. Eucaristia e preghiera per le vocazioni diventano quindi un tutt’uno nella comprensione e nell’esplicitazione del carisma rogazionista che purtroppo rimane ancora non molto conosciuto. P. Angelo Sardone

Il gusto del nostro pane: dalla tavola di casa all’Eucaristia

«Il gusto buono del nostro pane». Sono nato e cresciuto fino a 11 anni nella città di Altamura che, insieme con Matera, si contende la qualità e la bontà del pane di grano duro, noto un po’ ovunque. Ricordo con profonda nostalgia la liturgia domestica nella quale mia madre, autentica sacerdotessa, sin dalle prime ore del mattino a forza di braccia e con sapiente dosaggio di farina, lievito madre, acqua e sale, confezionava la massa di pasta. Dopo il riposo e la crescita con la fermentazione, posata sul letto ed avvolta in coperte con tanto di rito religioso corredato da segni di croce e preghiere, si trasformava in molteplici pani occorrenti per il fabbisogno della famiglia e soprattutto per chi, come mio padre, lo portava con sé in campagna. La liturgia continuava poi al forno dove l’esperto fornaio dava il tocco finale all’impasto, modellando la caratteristica forma alta, contrassegnando ogni pezzo con il marchio in ferro che riproduceva le iniziali del proprietario. Dopo circa due ore e mezza di cottura, il pane era sfornato e consegnato dal fornaio addetto, alle rispettive famiglie lasciando nell’aria un  profumo intenso che invitava a mangiarne subito un pezzo. La sua fragranza ed il suo sapore erano eccezionali: è difficile descriverne la bontà. Il gusto rimaneva tale anche per molti giorni: era l’alimento fondamentale e multiuso. Questa esperienza la viviamo nel ministero sacerdotale col quale, ogni giorno “confezioniamo l’Eucaristia”, pane del cammino, sostegno della vita, nutrimento efficace di salvezza. Tutto questo viene messo in evidenza in questi giorni santi del Congresso Eucaristico. P. Angelo Sardone

XXVII Congresso Eucaristico Nazionale

«Torniamo al gusto del pane!». Comincia oggi qui a Matera il XXVII Congresso Eucaristico Nazionale, «parte integrante del cammino sinodale delle Chiese in Italia, manifestazione di una Chiesa che trae dall’Eucaristia il proprio paradigma sinodale». L’evento si inquadra nel corso del Sinodo e sottolinea come Chiesa e Sinodo hanno nell’Eucaristia la fonte di comunione, il principio della missione e sono il sostegno per il cammino pastorale. Nella partecipazione alla mensa di Cristo con la celebrazione dell’Eucaristia, «fatti membra del suo corpo, siamo trasformati in colui che abbiamo ricevuto» (S. Agostino). L’idea di realizzare i Congressi Eucaristici fu della francese Maria Marta Emilia Tamisier (1844-1910) che, formatasi alla scuola di S. Pietro Giuliano Eymard, si adoperò nel promuovere con tutte le forze la salvezza della società per mezzo della Eucarestia. Sull’esempio dei pellegrinaggi mariani pensò che si dovevano organizzare pellegrinaggi ai santuari a ricordo di miracoli del Santissimo Sacramento. Il primo Congresso Eucaristico Internazionale fu celebrato a Lilla, in Francia, nel 1881. In Italia, quello nazionale, a Napoli il 1891. La Tradizione Rogazionista è stata sempre molto attenta a queste esperienze ecclesiali, sottolineando in esse l’importanza carismatica della preghiera per le vocazioni. «Quanto sarebbe bello se nei congressi non mancasse la preghiera del Rogate e si propagasse in mezzo ai fedeli, se ne facesse conoscere la necessità e si mettesse in rilievo il gran fatto che l’estensione del culto eucaristico dipende dal numero dei santi e zelanti sacerdoti, che deve mandare il Signore», diceva S. Annibale M. Di Francia. Sicuramente non mancheranno in questi giorni stimoli adeguati e risposte pertinenti a questo desiderio. P. Angelo Sardone

La chiamata di Matteo dal telonio

«A ciascuno di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo» (Ef 4,7). Dio distribuisce con larghezza di cuore e di amore la sua grazia apportatrice di salvezza. La misura del dono è sempre pienamente frutto di un amore di predilezione che supera i confini del peccato e del pregiudizio ed infonde vigore necessario per la realizzazione del piano di Dio. La chiamata di Matteo dal telonio è l’icona della liturgia odierna che celebra la festa del primo degli apostoli evangelisti. Il racconto fatto personalmente dall’interessato, che gli evangelisti Marco e Luca chiamano Levi, scaccia ogni dubbio sulla verità di una chiamata sorprendente che mette in crisi i pregiudizi riguardo a chi è o non è degno di seguire Gesù. Il suo vangelo, il più lungo dei quattro, di ben 28 capitoli, fu scritto nella lingua aramaica quella parlata dalla gente ed è diretto ai cristiani di origine ebraica. Lo testimonia anche il ricorso frequente a citazioni bibliche. Matteo è identificato come “pubblicano”, un appellativo negativo dato anche per il suo compito di esattore delle tasse a Cafarnao, dove agiva per conto dei Romani. Per questo veniva guardato e giudicato come un collaborazionista dal quale guardarsi e tenersi lontano. Gesù passando lo vede e gli dice solo «Seguimi!». S. Beda commenterà: «Seguimi, significa imitami!». Dinanzi alla chiamata, frutto esclusivo di amore, cadono tutti i pregiudizi che tante volte anche oggi limitano vistosamente l’accoglienza di chi notoriamente è un moderno pubblicano, avvezzo non solo a collaborazione disonesta, ma anche a vita dubbia e peccaminosa. Quando il Signore chiama, trasforma! L’importante è alzarsi dalla propria situazione di vita, dal peccato, dal disordine e seguire Gesù. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Matteo che significa “uomo di Dio”. P. Angelo Sardone

I santi martiri Coreani

«Praticare la giustizia e l’equità per il Signore vale più di un sacrificio» (Pr 21,3). Uno dei testi significativi della letteratura didattico-sapienziale ed insieme il più antico, è il Libro dei Proverbi (31 capitoli), un insieme di almeno sette raccolte più antiche. Anche se viene indicato Salomone come autore, non può essere lui; è più probabile che alcune raccolte siano state effettuate durante il suo regno (961-922 a.C.). Uno dei tanti elementi che si ritrova in tutto l’Antico Testamento come insistenza sulla rettitudine di cuore, è la pratica della giustizia dal valore superiore a qualsiasi altro sacrificio. Una simile azione si trova realizzata nella vita e nell’opera di un gruppo di 103 coreani, a cominciare dal sacerdote Andrea Kim Taegon (1821-1846) e dal laico Paolo Chong Hasang (1795-1839), martiri nel corso delle persecuzioni dal 1839 al 1867. A nulla valsero i tentativi di farli apostatare e le atroci torture fino alla decapitazione. Il numero globale dei martiri coreani calcolato è di circa diecimila, sacerdoti e laici, dal più giovane di 13 anni al più anziano di 79. Il primo contatto con la fede cristiana era avvenuto in Cina e col libro del missionario gesuita padre Matteo Ricci. La prima comunità cristiana sin dagli inizi fu vittima di una persecuzione crudele con la morte dell’unico prete presente nel Paese. Pur senza guida spirituale i fedeli chiedevano sacerdoti che arrivarono solo il 1837. Il loro sacrificio si è concretizzato nella pratica della giustizia. Quanto abbiamo da imparare oggi anche noi, praticando e testimoniando la nostra fede. P. Angelo Sardone

La Madonna della Salette

«Queste sono le due cose che tanto appesantiscono il braccio di mio Figlio» (Maria SS.ma a La Salette). Erano circa le 14 pomeridiane di sabato 19 settembre 1846 quando sul monte de La Salette, nel dipartimento dell’Isère, in Francia, la Madonna apparve a due pastorelli, Melania Calvat e Massimino Giraud, rispettivamente di 15 e 11 anni. Mentre le vacche erano al pascolo furono attratti da una luce splendente che faceva da alone ad una donna seduta sopra i sassi col volto tra le mani e le lagrime che le scendevano abbondanti dagli occhi. Si avvicinarono e, vinta la paura alle dolci parole della donna vestita di luce, si resero conto che si trattava di qualcosa fuori del normale. La “bella Signora” indossava gli abiti di una contadina ed aveva sul petto una tenaglia, un martello, un crocifisso e le rose ai piedi. Parlò loro nel dialetto di Corps loro paese natale. La «grande notizia» conteneva constatazioni ed avvertimenti, a partire dalla sua sofferenza per l’umanità, al braccio pesante del Figlio divenuto ormai insostenibile, ai raccolti guasti dei campi, alla carestia, alla pena della Madre verso i suoi figli. Il peso del braccio del Figlio era determinato dal mancato riposo festivo della domenica e dalla bestemmia continua contro il nome di Gesù. A rimedio di ciò Ella indicava la preghiera e la conversione. A ciascuno dei veggenti la Vergine, Riconciliatrice dei peccatori, rivelava poi un segreto, ingiungendo particolarmente a Melania di comunicarlo solo dodici anni dopo. Mentre si muoveva per il commiato, per ben due volte ripetè: «Ebbene, figli miei, voi lo farete conoscere a tutto il mio popolo». Questo è il cuore del messaggio della Salette. Nel 1851 con alcuni sacerdoti diocesani nacque la Congregazione dei Salettini. Massimino morì il 1875; il suo cuore riposa nella basilica de La Salette. Melania concluse la sua vita travagliata il 15 dicembre 1904, ad Altamura (Bari), dove è sepolta nella chiesa delle Figlie del Divino Zelo la cui Casa religiosa S. Annibale M. Di Francia volle intitolare alla Madonna della Salette. P. Angelo Sardone

Amos e la questione sociale

«Certo, non dimenticherò mai tutte le loro opere» (Am 8,7). Sono molto interessanti la storia e le profezie di Amos, il pecoraio di Tekoa, direttamente preso dal Signore da dietro il suo gregge ed inviato a profetare al santuario scismatico di Bethel. Egli condannava la vita corrotta delle città e le ingiustizie sociali, la falsa sicurezza posta nei riti celebrati ed un po’ meno nell’impegno morale. La terza parte del suo minuscolo libro (appena 9 capitoli), comprende alcune visioni e l’annunzio della fine, detto generalmente il giorno del Signore. Alcune invettive decise e ferme sono rivolte a coloro che calpestano il povero e sterminano gli umili, contro gli speculatori e gli approfittatori, ai danni di coloro che non possiedono nulla e si lasciano comprare per un paio di sandali. La determinazione del Signore è precisa: non dimentica le opere dei malvagi, soprattutto quelle contro ogni forma di povertà ed il castigo è individuato nel terremoto che fa sobbalzare la terra come le acque del Nilo mettendo in lutto gli abitanti. L’intera catastrofica situazione cederà però il passo a prospettive di restaurazione e di fecondità simile a quella del Paradiso. Il Signore guarda dal cielo e si affaccia dalla sua finestra per osservare la terra ed i suoi abitanti, scorgendo tanto bene, accanto però anche a tanto male. Egli vede, osserva e quando interviene duramente lo fa per la correzione. Tutto è davanti ai suoi occhi, sempre. Non dimentica il bene per potenziarlo, non dimentica il male per correggerlo in maniera adeguata. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica della XXV domenica del Tempo Ordinario

Sintesi liturgica. XXVª Domenica del Tempo Ordinario. A coloro che calpestano il povero, sterminano gli umili del paese ed attendono il momento giusto per smerciare in maniera fraudolenta il frumento, il Signore assicura che non dimentica mai le loro opere. L’amministratore scaltro, ma disonesto, sa trovare sempre il modo come venire fuori dalle situazioni più gravi della sua gestione: condonare proporzionalmente all’olio ed al grano, il debito dovuto al suo padrone da alcuni suoi servi. Questo comportamento viene lodato dal Signore non per la disonestà, ma per la scaltrezza, onde esortare a guadagnare il Regno ed avere la certezza di non rimanere per strada. La fedeltà o la disonestà nel poco si riverbera nel molto. La garanzia di una vita calma e tranquilla, apportatrice di salvezza e conoscenza della verità, è assicurata dalla preghiera nei suoi molteplici aspetti: domanda, supplica, ringraziamento, con mani pure, senza collera e contese, mediata da Gesù Cristo. P. Angelo Sardone

La storia del seme che muore e dà vita

«Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore» (1Cor 15,36). La legge della natura, evocata dallo stesso Gesù Cristo, prevede che il seme gettato nel terreno non prende vita se non dopo la sua morte ed il suo disfacimento. E’ questo l’appiglio al quale si rifà S. Paolo presentando la spinosa questione della risurrezione dai morti ad una società ostica come quella greca che era assolutamente riluttante a qualsiasi riferimento alla risurrezione dei corpi. L’aveva sperimentato con grande delusione proprio ad Atene. La chiarezza espositiva dell’Apostolo è sorprendente: il corpo seminato nella corruzione, risorge nell’incorruttibilità; quello seminato nella miseria, risorge nella gloria; il corpo seminato nella debolezza, risorge nella potenza; seminato come corpo animale, risorge corpo spirituale. Questo intervento è sollecitato da una diffusa forma di antropologia nella mentalità greca che attribuiva al corpo una funzione negativa nella espressione della persona e di conseguenza offuscava la spiritualità e la stessa immortalità. Paolo dà dimostrazione chiara di preparazione ricorrendo ad analogie tratte dal mondo della natura. Il cardine di tutto rimane l’onnipotenza creatrice di Dio le cui risorse sono inesauribili. Nella vita di ogni giorno vale lo stesso principio: per vivere bisogna morire. Quante idee, testimonianze, azioni, per essere efficaci o essere ritenute tali devono passare attraverso il processo dell’umiliazione e della morte prima di assurgere a valori incontrastati e credibili. Purtroppo facilmente ci si scoraggia o a tutti i costi si tenta di far valere le proprie posizioni. Nell’uno e nell’altro caso, occorre essere prudenti e saggi sapendo attendere, e pazientare, come fa il contadino. P. Angelo Sardone

I santi Cornelio e Cipriano per l’unità della Chiesa

«Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20). La certezza delle fede cristiana è data dal fatto che Gesù Cristo, dopo tre giorni dalla morte è risorto. Se non fosse così la predicazione sarebbe vuota e vana è la fede. La risurrezione di Cristo è la garanzia della nostra risurrezione. Quelli che muoiono in Cristo e per Cristo non sono perduti. In questo senso si muove la memoria liturgica di oggi che vede accomunati nel martirio ed in idealità condivise, due grandi Santi del III secolo, i cui nomi sono riportati nel Canone Romano: papa Cornelio (210-253), pastore di animo grande e Cipriano (210-258) vescovo di Cartagine. Cornelio fece fronte ad uno dei primi scismi provocato dal prete Novaziano, che diede vita ad una comunità dissidente, e difese l’unità della Chiesa, confortato dalla solidarietà e dal vigoroso sostegno di Cipriano uno dei massimi esponenti del cristianesimo latino. Egli aveva dato un notevole contributo alla dottrina sull’unità della Chiesa raccolta intorno all’Eucaristia sotto la guida dei vescovi e di questi in comunione con la sede principale di Roma, fondata su Pietro il capo degli Apostoli. La storia dei primi secoli del Cristianesimo ha consolidato dal punto di vista organizzativo, teologico e giuridico tanti presupposti che Santi eminenti come loro hanno affermato e difeso. Una conoscenza più adeguata ed uno studio più approfondito permette di scoprire la grandezza di questi passi, il coraggio, la santità e l’eroismo di questi grandi uomini, cui si deve tanta gratitudine ed ammirazione. Auguri a tutti coloro che portano i loro nomi, forse non molto comuni nella odierna società e nella moderna mentalità. P. Angelo Sardone