La protezione dei santi Angeli custodi

«Dio manda dal cielo i suoi Angeli a nostra custodia e protezione, per sorreggerci in vita» (Preghiera di Colletta). In un’unica celebrazione la Chiesa venera i santi Angeli Custodi. La memoria liturgica è frutto di una devozione sviluppatasi nel Medioevo ed accolta nel Calendario Romano il 1608. Il nome “angelo” richiama non l’identità ma la missione: dal greco, infatti, significa “messaggero” ed indica un ruolo presente e specificato più volte nella Bibbia. Gli angeli sono inviati da Dio per parlare nel suo Nome e compiere meraviglie. Loro compito è stare alla testa degli uomini, proteggerli, custodirli nel cammino e guidarli all’ingresso del luogo preparato da Dio. A loro si deve rispetto, ascolto e sottomissione senza ribellarsi: ciò garantisce la presenza di Dio e la sua azione efficace contro i nemici. Il loro numero è vertiginoso: «mille migliaia e diecimila miriadi» (Dan 7,10). Fanno parte della gerarchia celeste e sono in una posizione intermedia tra Dio e gli uomini. Offrono a Dio le preghiere e i sacrifici dell’uomo mentre lo conducono sulla via del bene. Erano vicini a Gesù durante le tentazioni; uno di loro Lo confortò nella sua agonia. Dio affida ogni uomo ad un angelo che lo custodisce dalla nascita alla morte, cammina davanti a lui e lo protegge dal male, un «amico che noi non vediamo, ma che sentiamo» (Papa Francesco). La sua protezione è efficace perché in cielo egli vede sempre la faccia del Padre ed indica la strada per raggiungerLo. Noi lo invochiamo: «illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste». Tanti ne portiamo il nome: io anche il privilegio della missione di messaggero della Parola che salva. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica Domenica XVII del tempo ordinario

Sintesi liturgica. XXVIIª Domenica del Tempo Ordinario.

Un accorato appello a Dio invoca da Lui aiuto nella contingenza umana fatta di iniquità ed oppressione. La risposta è precisa: la visione ha una scadenza ed è vera; il disonesto soccombe mentre invece il giusto vive per la sua fede. Ne basta poca, quanto un granello di senape per comandare ad un gelso di spostarsi e piantarsi nel mare. Il servo sta alle direttive del padrone ed esegue gli ordini ricevuti. Secondo la logica di Cristo ciascuno, come chi ha fatto tutto quanto gli è stato ordinato, deve ritenersi servo inutile. Lo Spirito di Dio è forza, carità e prudenza. A chi ne è ripieno, conferisce coraggio anche nella sofferenza e nella custodia dei beni preziosi ricevuti in dono: la fede, la personale vocazione. Sono modelli imprescindibili gli insegnamenti accolti sulla base della fede e dell’amore di Cristo. P. Angelo Sardone

Santa Teresina e la “piccola via”

«Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto» (Gb 42,5). L’epilogo dell’interessante libro di Giobbe è costituito da una sorta di resa del saggio e paziente personaggio, ricompensato da Dio con la moltiplicazione di quanto aveva perduto, per un nuovo e più promettente avvenire. L’iniziale e superficiale conoscenza di Dio deve cedere il posto ad una più profonda che attui una dimensione purificatrice ed esprima una forma intelligente di accondiscendenza a Dio, in cerca non di cose grandi, superiori alle proprie forze, ma come un bimbo svezzato tra le braccia della madre (Sal 131,2). Tale è l’esperienza di vita e di santità di Teresina del Bambino Gesù (1873-1897) la giovanissima santa carmelitana scalza, dottore della Chiesa. Nata in una famiglia profondamente credente ed entrata a far parte del Carmelo di   Lisieux quando aveva appena 15 anni, ha aperto la strada della santità riconosciuta anche ai suoi genitori, Luigi e Maria Zelia, dichiarati santi il 2015, e ad altre tre sue sorelle, tutte Carmelitane, in particolare Celina, per la quale è in atto il processo di beatificazione. La sua caratteristica è la «piccola via o dell’infanzia spirituale», il cammino per la santità con tutte le imperfezioni, una sorta di ascensore per innalzarsi fino a Gesù, senza più bisogno di crescere, ma al contrario diventare sempre più piccola. Un’aggressiva tubercolosi la condusse alla morte ad appena 24 anni. Si vede anche e soprattutto con gli occhi dell’anima. Talora quelli del corpo sono insufficienti: scorgere la via della vita e cominciare a percorrerla è il mezzo più efficace per la buona riuscita in terra e l’itinerario di santificazione per il cielo. P. Angelo Sardone

San Girolamo il grande traduttore della Bibbia

«Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre… Certo, tu lo sai …» (Gb 38,19-21). Il confronto di Giobbe con il Signore tocca toni accesi coi quali il Creatore intende dimostrare alla creatura la sua grandezza, la sua onnipotenza, pur riconoscendogli la capacità di intendere ed elaborare il suo pensiero. Ogni volta che ci si pone dinanzi a Dio, i toni vanno sempre abbassati e va ricercata invece la comprensione del suo dire e lo studio del suo essere. S. Girolamo (347-420) è l’esempio tipico del grande erudito, studioso, biblista, asceta, penitente, esegeta, focoso fustigatore di ipocrisie e vizi. Era conoscitore della lingua greca ed introdotto allo studio ed alla comprensione dell’ebraico, frutto della meditazione e della vita in solitudine. Si deve a lui la traduzione della Bibbia in latino, la cosiddetta Vulgata, testo ufficiale della Chiesa latina e numerosi straordinari commenti sui Profeti. Ciò avvenne nel silenzio di Betlemme, nella cella di un monastero, dove rimase fino alla morte, in un’intensa attività di traduzione, commento ed insegnamento. La preziosità del suo lavoro è universalmente riconosciuta, grazie ad un paziente lavoro di confronto con i testi originali dove «anche l’ordine delle parole è un mistero», e le diverse versioni. La sua testimonianza induce all’amore alla Sacra Scrittura ed alla conoscenza adeguata di Cristo. Infatti come egli stesso dice «Ignorare le Scritture è ignorare Cristo». Oggi questa possibilità non è relegata nelle biblioteche, nelle pergamene, negli incunaboli e destinata a soli esperti, ma a portata di tutti anche coi moderni mezzi di comunicazione sociale. Conosciuti ed adeguatamente adoperati essi permettono un approccio non solo letterario e culturale, ma anche di fede e di vita. P. Angelo Sardone

I santi Arcangeli

«Scoppiò una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago» (Ap 12,7). «Chi è come Dio? Fortezza di Dio, Medicina di Dio»: sono i termini che traducono i singolari nomi ebraici dei tre arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, la cui festa si celebra oggi. I loro nomi evocano la specifica missione di ciascuno: Michele si erge guerriero nel cielo, avversario e vincitore di Satana; Raffaele accompagna nel viaggio Tobia e guarisce col fiele del pesce suo padre; Gabriele annuncia a Daniele i segreti del piano di Dio, a Zaccaria la nascita di Giovanni Battista e a Maria di Nazaret il progetto divino e la nascita di Gesù. Il suffisso “arcangelo” li qualifica nella gerarchia celeste nel grado più elevato di dignità. Il loro culto è molto antico: il più rinomato è quello riservato a S. Michele che ebbe rapida diffusione nel mondo longobardo e nel celebre santuario sul Monte Gargano in Puglia, sorto a seguito di un’apparizione. Raffaele è medicina di Dio quando accompagna Tobia nel viaggio, libera Sara, sua moglie, dalla possessione diabolica e usa il fiele per guarire Tobi dalla sua cecità. Gabriele è un autentico messaggero, prima col profeta Daniele, poi con Zaccaria ed infine con Maria alla quale reca l’annunzio messianico. Accomunati in un’unica festa, essi manifestano lo splendore della gloria di Dio, accompagnano l’offerta eucaristica al trono della maestà di Dio, garantiscono ai fedeli la protezione divina, la custodia e, alla fine della vita, l’accompagnamento dell’anima in paradiso. La loro missione di stare sempre al cospetto del Signore, si manifesta con la potente difesa degli uomini dalle insidie del male e dal demonio. Auguri a tutti coloro che portano i loro nomi, perché rispecchino nella vita l’identità e la missione dei tre arcangeli. P. Angelo Sardone

Dio, il totalmente altro

«Se uno volesse disputare con Dio, non sarebbe in grado di rispondere una volta su mille» (Gb 9,3). Nel primo ciclo di discorsi che Giobbe fa coi suoi tre amici giunti da lui per consolarlo, dopo aver sostato in silenzio per sette giorni e sette notti, si affrontano problematiche di alto valore morale. Una di queste fa riferimento alla giustizia divina che è superiore allo stesso diritto. Dinanzi a Dio tutte le ragioni umane hanno un limite e la richiesta di chiarimenti non sempre è appagata perché con Lui ci si pone in atteggiamento di ascolto e non in contrappunto dialogico ed apologetico. Dio detiene ogni potere e con esso guida l’intero universo. Con Dio il rapporto non è come tra simili: ogni tentativo di uguaglianza è assolutamente impari. Questo tono accusatorio da parte di Giobbe non è altro che la manifestazione a voce alta del desiderio non solo di un confronto, ma anche e soprattutto della ricerca di una ragione plausibile che spieghi il suo comportamento, gli eventi e le situazioni umane a volte molto ingarbugliate. In fondo ciò non è altro che il desiderio di aprirsi ad un dialogo, ma dal momento che la distanza è infinita rischia di falsare un atteggiamento che da remissivo si traduce in alterato. Ma non è così perché il tono quasi accusatorio, si rivela una richiesta di comprensione e di aiuto, quasi una preghiera. Occorre comunque passare da un atteggiamento provocante alla ricerca di una logica, ad uno di ascolto ed accoglienza del suo mistero che rimane comunque incomprensibile. Una fede autentica tante volte deve andare oltre una logica propriamente umana fatta di conseguenze ed accogliere in fondo un Dio che ama ma che, come affermava il teologo svizzero protestante Karl Barth è «il totalmente altro». P. Angelo Sardone

Vincenzo de’ Paoli, il santo dei poveri

«Mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4, 18). Il detto profetico di Isaia, fatto proprio da Gesù nella sinagoga di Nazaret, nel corso della storia della Chiesa è stato messo in pratica da tanti Santi operatori della carità. Sull’esempio del Maestro che manifestò un’attenzione singolare per i poveri di ogni ordine e grado, precisando che la loro presenza sarebbe stata costante nella società, essi hanno realizzato la carità come misura alta di attenzione a tutti e servizio specifico ai bisognosi. La liturgia ricorda oggi la memoria e le gesta del francese S. Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), uno dei maggiori esponenti dei cosiddetti “santi sociali” tanto cari agli ultimi nostri papi. Sacerdote ad appena 19 anni divenne parroco nel circondario di Parigi promuovendo l’evangelizzazione con forme semplici e popolari, traendo dietro a sé alcuni uomini che divennero i Preti della Missione (Lazzaristi) e insieme a santa Luisa de Marillac, istituì le suore Figlie della Carità. Fu coraggioso e sapientemente influente anche presso la corte di Francia fino al punto che la regina istituì ed a lui affidò il Ministero della carità. Secondo i suoi insegnamenti, ad imitazione di Gesù, i poveri devono essere curati, consolati, soccorsi, raccomandati. Ciò deve determinare la loro difesa, la partecipazione alle loro sofferenze, la immediatezza nell’azione, la preferenza su tutto, intendendo la carità superiora a qualsiasi altra regola. Tanti religiosi, sacerdoti e laici hanno usufruito della sua formazione ed hanno collocato tasselli diversi nella composizione dello stesso mosaico della carità con passione evangelica ed istituzioni analoghe. Tra questi c’è S. Annibale M. Di Francia che dal suo amico S. Luigi Orione il 1935 era definito “il san Vincenzo de’ Paoli del Sud”. P. Angelo Sardone

I santi Medici Cosma e Damiano

«Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia benedetto il nome del Signore!» (Gb 1,21). Oggi la liturgia eucaristica riporta l’inizio del libro di Giobbe, capolavoro della corrente letteraria didattico-sapienziale, testo da mettere «sotto il cuscino per essere certo di non aver dimenticato la lezione quando ci si sveglia al mattino» (Søren Kierkegaard). La vicenda umana di questo personaggio biblico è contrassegnata nelle prime battute dalla tragedia familiare della perdita dei figli e delle sue enormi ricchezze. Dinanzi ad una situazione assolutamente disperata il grande paziente saggio rimette tutto nelle mani di Dio ed invece di maledire lo benedice. In questo quadro di accoglienza straordinaria della volontà di Dio si inserisce la vicenda agiografica e la testimonianza dei santi Medici Cosma e Damiano la cui popolarità, a partire dal V secolo, è universale. La Tradizione li vuole gemelli e fratelli maggiori degli altri santi Antimo, Leonzio ed Euprepio. Arabi di origine, esercitavano l’arte medica in Siria in maniera tutta singolare: non si facevano pagare. Erano perciò soprannominati «anàrgiri», cioè gratuiti, senza prendere compenso. Questo modo di fare era un modo efficace di apostolato e di carità verso i poveri. Le fonti talora leggendarie li vogliono martiri con la decapitazione dopo aver subito diversi altri supplizi. La grande omonima basilica eretta a Roma il 526, testimonia il loro culto, in contrapposizione ai gemelli pagani Dioscuri, Castore e Polluce. Questi, come altri Santi sono gli intercessori più efficaci e gli amici più fidati di noi pellegrini sulla terra, perché conoscono bene gli affanni, i dolori e le sofferenze dei fratelli e sorelle e li accompagnano con la preghiera e il loro patrocinio. Auguri a tutti coloro che portano i loro nomi. P. Angelo Sardone.

Il Papa a Matera a concludere il Congresso Eucaristico

«Benedetto Colui che viene nel nome del Signore!» (Sal 118,26). Dopo giorni intensi di preghiera, riflessione e celebrazioni, il Congresso eucaristico nazionale si chiude questa mattina con la visita pastorale di Papa Francesco e la sua celebrazione eucaristica. Sono passati 30 anni da quando S. Giovanni Paolo II, in visita alla Basilicata, sostò a Matera. C’è tanto fermento e tanta attesa per questo evento che segna la vita non solo della diocesi di Matera-Irsina che ha avuto il privilegio della scelta strategica, ma anche per l’intera Italia in questo delicato momento di travaglio, preoccupazione e responsabilità nelle scelte. Il Vicario di Cristo, secondo l’investitura fatta direttamente da Cristo all’apostolo Pietro, viene a confermare i fratelli nella fede, a partire dall’Eucaristia, autentico nutrimento del cammino dell’uomo, segnato da vicissitudini, contraddizioni e desiderio di bene. L’accoglienza del papa viene fatta nello spirito carismatico di S. Annibale M. Di Francia il quale nutriva per lui «il più grande rispetto, la più illimitata soggezione e subordinazione» considerandolo «come la persona stessa di Gesù Cristo e con lo stesso amore lo amerò e gli obbedirò». In un tempo come il nostro, pieno di facili e gratuite contestazioni nei confronti del Santo Padre anche da parte dei fedeli e talora anche di membri della gerarchia, un monito di questo genere, suona come incentivo efficace ad accogliere la sua persona ed i suoi illuminati insegnamenti. La presenza del papa oggi è senz’altro foriera di interessanti stimolazioni a vivere il mistero dell’Eucaristia che non può essere concepita senza il sacerdozio ed i sacerdoti. P. Angelo Sardone