Il cammino dell’Esodo

La semina del mattino

231. «Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza» (Dt 30,19). Il cammino dell’Esodo non è semplicemente un itinerario stradale, ma anche e soprattutto una scuola di formazione alla vita e ad un serio e corretto rapporto con Dio. Il grande maestro è il Signore che ha liberato il popolo dal faraone di Egitto, ma affida a Mosé il compito di ammaestrarlo con la Parola che gli rivela. Per una corretta e libera scelta, Dio pone davanti all’uomo la vita e il bene, la morte ed il male e nel suo grande amore gli comanda di amarlo, di camminare nelle sue vie, di osservare i suoi comandi. Tutto questo è necessario per vivere, essere benedetto da Dio ed entrare nella Terra promessa. La libertà umana viene inglobata nella grandezza dell’amore divino che supera la conoscenza imperfetta e limitata che tante volte fa scegliere il male invece del bene. “Scegli la vita!” dice il Signore, fidati di Me che sono la vita, se vuoi avere una vita longeva. Voltarsi indietro, non ascoltarlo, prostrarsi dinanzi ad idoli falsi ed attraenti, è sinonimo di morte certa. Amore, obbedienza a Dio ed unità con Lui garantiscono la serietà del cammino e l’efficace qualità cristiana della vita per sé e per la propria discendenza. L’Alleanza stretta da Dio culmina nell’offerta sacrificale del Figlio sulla croce. L’uomo e la donna hanno sempre da imparare ed il loro cammino sarà più lesto e senza pericoli se vorranno e sapranno affidarsi a Dio che libera da ogni schiavitù, prende per mano e conduce verso la meta della salvezza.  P. Angelo Sardone.

Le sacre Ceneri

La semina del mattino

230. «Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti» (Gl 2,12). Il cammino della Quaresima in preparazione alla Pasqua, si apre con il rito austero della benedizione ed imposizione delle ceneri. Nel segno e nel gesto liturgico è ricordata la caducità della vita umana, la sua origine e la sua fine, la terra. Unita al segno, secondo l’insegnamento di Gesù, si ribadisce l’ingiunzione a convertirsi e credere al Vangelo in un itinerario di penitenza che segni il ritorno a Dio. Il capo dei fedeli viene cosparso di cenere ad indicare la condizione di fragilità umana e la fine riduttiva del corpo dopo la morte. Il gesto indica anche il pentimento e la ripresa del cammino con un cuore nuovo, purificato. Le ceneri, ricavate dalla combustione dei rami di ulivo adoperati nella Domenica delle Palme dell’anno precedente, hanno il valore simbolico della precarietà e richiamano il senso della penitenza e del ritorno a Dio. In questa circostanza la Chiesa richiede l’osservanza del digiuno e dell’astinenza dalle carni. Il Codice di Diritto Canonico, codice normativo della Chiesa cattolica di rito latino, nei canoni 1249 e 1253, prescrive il digiuno e l’astinenza dalle carni due volte l’anno, il Mercoledì delle Ceneri ed il Venerdì santo. L’obbligo del digiuno che comincia a 18 anni compiuti e termina ai 60 anni incominciati, obbliga a fare un solo pasto durante la giornata, riducendo per quantità e qualità, gli altri pasti. L’obbligo dell’astinenza inizia a 14 anni d’età compiuti. Perché il cristiano sia coinvolto nella totalità di anima e di corpo, il digiuno e l’astinenza devono essere associati alla preghiera, all’elemosina e alle altre opere di carità, parti integranti della prassi penitenziale. Ad essi deve aggiungersi il pentimento sincero delle proprie colpe dalle quali ci si libera con il Sacramento della Riconciliazione. Buon cammino di Quaresima. P. Angelo Sardone

Il primo omicidio

La semina del mattino. «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» (Gen 4,10). Le conseguenze della colpa originale diventano immediatamente drammatiche: il primo omicidio della storia perpetrato da Caino nei confronti di suo fratello Abele lo dimostra ampiamente. Colui che era stato considerato da Eva un “acquisto da Dio” diviene strumento di morte per un innocente “generato”, a causa dell’invidia. La loro diversa identità, Caino coltivatore della terra ed Abele pastore di greggi, li pone in una situazione di disparità davanti agli occhi di Dio che gradisce Abele e la sua offerta e non Caino ed i frutti del suolo. Ciò rimane un mistero. L’invidia nei confronti del fratello acceca i suoi occhi di ira funesta fino ad indurlo all’omicidio. La voce del sangue dell’innocente si innalza potente fino al cielo e Dio chiede ragione al fratello omicida che cerca di defilarsi dalla sua colpa dichiarando di non essere custode di Abele. Tuona potente la voce di Dio “Che cosa hai fatto?” Caino ammette la sua colpa, la definisce così grande da non poter ottenere il perdono ed è consapevole di dover andare ramingo sulla terra col rischio di essere ucciso. Nel suo amore, paradossalmente Dio impone un segno a Caino per preservarlo da chiunque volesse ucciderlo per vendetta. Anche dinanzi al delitto più efferato, Dio manifesta la sua misericordia, mai discompagnata però dalla giustizia. A volte si vuole ridurre Dio ad un concentrato di pietà e misericordia eludendo la giustizia che è la prima forma dell’amore e del perdono autentico. P. Angelo Sardone

Sii purificato!

La semina del mattino

227. «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto» (Mc 1,44). La storia di ogni purificazione ha come riferimento solo ed esclusivamente Gesù, medico delle anime e dei corpi. Tante volte il Vangelo narra episodi di incontri particolari nei quali il Maestro ode il grido del malato o del peccatore, lo accoglie e lo sana dalle sue ferite esterne ed interiori. Il caso dei lebbrosi diviene emblematico perché si tratta di una categoria di malati messi al bando e da tutti scansati per via della malattia contagiosa e di una prescrizione legale. Spesso nella mentalità ebraica la lebbra era considerata una punizione di Dio. La guarigione operata da Gesù nei confronti di un lebbroso, viene detta purificazione proprio perché l’intervento non è solo esterno, non tocca cioè solo il corpo, ma guarisce l’anima, la purifica dai peccati. Segue una duplice ingiunzione fatta con tono severo: non dire niente a nessuno e va dal sacerdote. Ciò era determinato sia dal fatto che il lebbroso forse aveva infranto le regole di segregazione che esistevano anche allora, che per non generare facile entusiasmo tra la gente. Il sacerdote era deputato alla verifica della guarigione ed alla dichiarazione della perfetta guarigione, come prescritto da Mosè (Lv 14,2-32). La lebbra più terribile è il peccato: l’intervento purificatore di Gesù, concreto ed efficace, per suo volere viene mediato dal ministero della Chiesa e dal sacerdote col sacramento della Riconciliazione. In esso il sacerdote è coinvolto nel rito espiatorio davanti al Signore per colui viene purificato e perdonato. P. Angelo Sardone

La cacciata dal Paradiso terrestre

La semina del mattino

226. «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (Gen 3,23). La storia gioiosa dell’uomo e della donna nel Paradiso terrestre viene infranta dalla tragedia della colpa originale. Chiamati a condividere la gioia e la prosperità del giardino ricco di frutti di sapienza e di grazia, i nostri progenitori, avendo aderito all’ingannevole invito del serpente, hanno violato la fiducia e la libertà amorevole che il Signore aveva loro dato. La seduzione diabolica, a cominciare dalla donna, ha disorientato il progetto di amore e di bene che il Signore aveva fatto coinvolgendo nella responsabilità le sue più elette creature. Le conseguenze sono gravi: la nudità esterna è la manifestazione della povertà spaventosa che si è generata per aver rifiutato l’obbedienza a Dio. Le dure parole indirizzate dal Creatore all’uomo ed alla donna manifestano la loro nuova situazione di vita compromessa dal peccato originale: il sudore della fronte per procacciarsi il pane per vivere, le gravidanze moltiplicate per la donna e i dolori del parto uniti al dominio subito dall’uomo, sono in sintesi il bagaglio che Adamo ed Eva si ritrovano addosso e che consegneranno all’intera umanità attraverso la trasmissione della vita. La drammatica conclusione è la cacciata dal paradiso e l’assunzione della loro responsabilità in un mondo che d’ora in poi sarà travagliato e nel quale tutto dovrà essere cercato e realizzato a forza di lavoro, impegno e preoccupazioni. Dio comunque non abbandonerà mai le creature umane orientate alla salvezza operata da Cristo. P. Angelo Sardone

L’uomo scacciato dal Paradiso terrestre

La semina del mattino

226. «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (Gen 3,23). La storia gioiosa dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre viene infranta dalla tragedia della colpa originale. Chiamati a condividere la gioia e la prosperità del giardino ricco di frutti di sapienza e di grazia i progenitori avendo aderito all’ingannevole invito del serpente hanno violato la fiducia e la libertà amorevole che il Signore aveva loro dato. La seduzione diabolica, a cominciare dalla donna, ha disorientato il progetto di amore e di bene che il Signore aveva fatto coinvolgendo nella responsabilità le sue più elette catture. Le conseguenze sono gravi: la nudità esterna è la manifestazione della povertà che si è generata per aver rifiutato Dio. Le ingiunzioni pronunziate da Dio sull’uomo e sulla donna manifestano la nuova situazione vitale compromessa dal peccato: il sudore della fronte per procacciarsi il pane, le gravidanze moltiplicate alla donna e i dolori del parto unito al dominio subito dall’uomo, sono in sintesi il bagaglio che l’uomo e la donna si ritrovano addosso e che consegneranno all’intera umanità attraverso la trasmissione della vita. La conclusione è la cacciata dal paradiso e l’assunzione della responsabilità in un mondo che diverrà travagliato e nel quale tutto dovrà essere cercato a forza di lavoro, di impegno e preoccupazioni. P. Angelo Sardone

Gloria di Dio è l’uomo vivente

La semina del mattino

223. «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Il racconto della creazione si fa sublime quando Dio dal suolo trae l’uomo e lo rende vivente.

All’inizio del secondo capitolo della Genesi secondo la fonte cosiddetta Jhavista, (da Jahwè, Signore, il nome che qui viene adoperato), l’autore sacro torna sulla creazione dell’uomo con sfumature più intense. Tutta la realtà creata culmina nell’arrivo dell’uomo del quale si dice originato dalla terra, creatura di terra, e nel quale, cosa unica, Dio soffia l’alito di vita, rendendolo vivente. Dio gli dona l’anima umana, la coscienza, la libertà, doni riservati solo all’uomo che somiglia a Dio, e lo differenzia da tutti gli altri esseri rendendolo superiore col potere di conferire il nome alle cose create. L’uomo, creato ad immagine di Dio, occupa un posto unico nella creazione; è un essere composto da corpo e spirito, non è qualcosa, ma qualcuno. È dotato di un corpo che lo rende partecipe della dignità di immagine di Dio, e di un’anima, cioè di un principio spirituale: per questo è destinato a diventare il tempio dello Spirito Santo. È la più grande figura vivente, “più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione” (S. Giovanni Crisostomo). Il genere umano in forza dell’origine comune forma una unità: Dio “creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini” (At 17,26). Nell’unità di corpo ed anima l’uomo è dunque la sintesi degli elementi materiali che in lui prendono corpo, per lodare il Creatore e tendere a Lui. P. Angelo Sardone

Tutto è buono ciò che viene da Dio

La semina del mattino

221. «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,3.12.18). È questo il ritornello che accompagna i sei giorni della creazione e col quale Dio Padre chiude con compiacenza giorno per giorno la sua opera. L’autore sacro narra l’evento della creazione dell’universo e la riveste di una coloratura antropomorfica. Adopera questa sottolineatura come insegnamento rivelato, con uno stile colorito e vivace ed una singolare ricchezza narrativa. L’espressione contiene il valore e l’apprezzamento del Creatore dinanzi ad un progetto perfetto che sta realizzando a cadenza giornaliera, dove ciascuna cosa ha una posizione fissa, uno scopo e una funzione per sempre, secondo la legge di natura da Lui impressa. Si tratta di forma perfetta con una struttura di autorità divina che imprime una forma destinata a rimanere per sempre. Solo Dio, essere perfettissimo, poteva esprimere fuori di sé una creazione perfetta che lascia a bocca aperta mentre si scoprono le leggi impresse e la loro assoluta bellezza. Al termine dell’esamerone (i sei giorni), dopo aver creato l’uomo e la donna, l’originaria espressione si colora ulteriormente di un aggettivo migliorativo ed accrescitivo: “vide che era cosa molto buona” (Gen 1,31). Se la natura vegetale ed animale, sulla terra, nei cieli e nei mari era buona, a maggior ragione lo era quella umana, come espressione di una persona creata a sua immagine e somiglianza, che partecipa alla natura divina attraverso la grazia. Alle creature umane Dio ha dato in possesso e dominio la natura e l’universo perché tragga alimento per vivere e motivo per esaltare la gloria del Creatore. P. Angelo Sardone.

Fare tutto per il Vangelo

La semina del mattino

220. «Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,23). L’annuncio del Vangelo è stato il primo compito assolto da Gesù nel suo itinerario terreno, essendo Lui stesso la Parola. Coinvolti in questa responsabilità i discepoli divennero messaggeri della Parola che salva ed inviati (di qui il nome “Apostoli”), facendo ruotare l’intera loro vita nel e per il Vangelo. La loro vocazione fu proprio in funzione di una collaborazione efficace come “servi della Parola”. L’ascolto e l’assimilazione degli insegnamenti di Gesù li resero trasmettitori fedeli mentre la fede si diffondeva attraverso l’ascolto. L’apostolo Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi, afferrato da Cristo è divenuto il comunicatore più profondo di quanto ha ascoltato ed ha sottomesso tutto il suo essere ed il suo agire al ministero consegnatogli da Cristo. La predicazione del Vangelo esige prima di tutto una personalizzazione esistenziale determinata dal primo interlocutore, Gesù Cristo, e dalla potenza e grandezza del messaggio da comunicare. Tutto il contenuto evangelico si deve esprimere come vincolo di intima comunione con Dio e con i fratelli. Ciò crea ancora oggi nei cristiani un rapporto anche affettivo e di grande responsabilità nei confronti di un dono che è stato elargito perché sia diffuso e coinvolga il maggior numero di ascoltatori. Implica inoltre per chi lo comunica, una sorta di assimilazione con gli altri, facendosi tutto a tutti nel tentativo di salvare ad ogni costo qualcuno. Chi diffonde il Vangelo con la sua vita diviene necessariamente parte di esso e sua concreta testimonianza. P. Angelo Sardone

5ª domenica del Tempo Ordinario

Le considerazioni del paziente Giobbe sono realistiche pur manifestando un tono di cupo pessimismo. Illusione, affanno, insonnia, soffio repentino, incertezze, sono espresse come elementi senza speranza. La presenza e gli interventi terapeutici di Gesù sono efficaci non solo per la suocera di Pietro vittima della febbre, ma anche per tutti gli ammalati, gli indemoniati, gli affetti da varie malattie. Tutta la città è presente. La sua forza nasce dalla unità orante col Padre nella costante preghiera e mosso dalla necessità di andare altrove a predicare il Vangelo ed a scacciare i demoni. L’annunzio del Vangelo per l’Apostolo Paolo è una necessità non un vanto, un incarico affidato per guadagnare a Cristo il maggior numero di persone: debole con i deboli, tutto a tutti. Fare tutto per il Vangelo rende partecipi di esso. P. Angelo Sardone.