Il primo omicidio

La semina del mattino. «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» (Gen 4,10). Le conseguenze della colpa originale diventano immediatamente drammatiche: il primo omicidio della storia perpetrato da Caino nei confronti di suo fratello Abele lo dimostra ampiamente. Colui che era stato considerato da Eva un “acquisto da Dio” diviene strumento di morte per un innocente “generato”, a causa dell’invidia. La loro diversa identità, Caino coltivatore della terra ed Abele pastore di greggi, li pone in una situazione di disparità davanti agli occhi di Dio che gradisce Abele e la sua offerta e non Caino ed i frutti del suolo. Ciò rimane un mistero. L’invidia nei confronti del fratello acceca i suoi occhi di ira funesta fino ad indurlo all’omicidio. La voce del sangue dell’innocente si innalza potente fino al cielo e Dio chiede ragione al fratello omicida che cerca di defilarsi dalla sua colpa dichiarando di non essere custode di Abele. Tuona potente la voce di Dio “Che cosa hai fatto?” Caino ammette la sua colpa, la definisce così grande da non poter ottenere il perdono ed è consapevole di dover andare ramingo sulla terra col rischio di essere ucciso. Nel suo amore, paradossalmente Dio impone un segno a Caino per preservarlo da chiunque volesse ucciderlo per vendetta. Anche dinanzi al delitto più efferato, Dio manifesta la sua misericordia, mai discompagnata però dalla giustizia. A volte si vuole ridurre Dio ad un concentrato di pietà e misericordia eludendo la giustizia che è la prima forma dell’amore e del perdono autentico. P. Angelo Sardone

Sii purificato!

La semina del mattino

227. «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto» (Mc 1,44). La storia di ogni purificazione ha come riferimento solo ed esclusivamente Gesù, medico delle anime e dei corpi. Tante volte il Vangelo narra episodi di incontri particolari nei quali il Maestro ode il grido del malato o del peccatore, lo accoglie e lo sana dalle sue ferite esterne ed interiori. Il caso dei lebbrosi diviene emblematico perché si tratta di una categoria di malati messi al bando e da tutti scansati per via della malattia contagiosa e di una prescrizione legale. Spesso nella mentalità ebraica la lebbra era considerata una punizione di Dio. La guarigione operata da Gesù nei confronti di un lebbroso, viene detta purificazione proprio perché l’intervento non è solo esterno, non tocca cioè solo il corpo, ma guarisce l’anima, la purifica dai peccati. Segue una duplice ingiunzione fatta con tono severo: non dire niente a nessuno e va dal sacerdote. Ciò era determinato sia dal fatto che il lebbroso forse aveva infranto le regole di segregazione che esistevano anche allora, che per non generare facile entusiasmo tra la gente. Il sacerdote era deputato alla verifica della guarigione ed alla dichiarazione della perfetta guarigione, come prescritto da Mosè (Lv 14,2-32). La lebbra più terribile è il peccato: l’intervento purificatore di Gesù, concreto ed efficace, per suo volere viene mediato dal ministero della Chiesa e dal sacerdote col sacramento della Riconciliazione. In esso il sacerdote è coinvolto nel rito espiatorio davanti al Signore per colui viene purificato e perdonato. P. Angelo Sardone

La cacciata dal Paradiso terrestre

La semina del mattino

226. «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (Gen 3,23). La storia gioiosa dell’uomo e della donna nel Paradiso terrestre viene infranta dalla tragedia della colpa originale. Chiamati a condividere la gioia e la prosperità del giardino ricco di frutti di sapienza e di grazia, i nostri progenitori, avendo aderito all’ingannevole invito del serpente, hanno violato la fiducia e la libertà amorevole che il Signore aveva loro dato. La seduzione diabolica, a cominciare dalla donna, ha disorientato il progetto di amore e di bene che il Signore aveva fatto coinvolgendo nella responsabilità le sue più elette creature. Le conseguenze sono gravi: la nudità esterna è la manifestazione della povertà spaventosa che si è generata per aver rifiutato l’obbedienza a Dio. Le dure parole indirizzate dal Creatore all’uomo ed alla donna manifestano la loro nuova situazione di vita compromessa dal peccato originale: il sudore della fronte per procacciarsi il pane per vivere, le gravidanze moltiplicate per la donna e i dolori del parto uniti al dominio subito dall’uomo, sono in sintesi il bagaglio che Adamo ed Eva si ritrovano addosso e che consegneranno all’intera umanità attraverso la trasmissione della vita. La drammatica conclusione è la cacciata dal paradiso e l’assunzione della loro responsabilità in un mondo che d’ora in poi sarà travagliato e nel quale tutto dovrà essere cercato e realizzato a forza di lavoro, impegno e preoccupazioni. Dio comunque non abbandonerà mai le creature umane orientate alla salvezza operata da Cristo. P. Angelo Sardone

L’uomo scacciato dal Paradiso terrestre

La semina del mattino

226. «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (Gen 3,23). La storia gioiosa dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre viene infranta dalla tragedia della colpa originale. Chiamati a condividere la gioia e la prosperità del giardino ricco di frutti di sapienza e di grazia i progenitori avendo aderito all’ingannevole invito del serpente hanno violato la fiducia e la libertà amorevole che il Signore aveva loro dato. La seduzione diabolica, a cominciare dalla donna, ha disorientato il progetto di amore e di bene che il Signore aveva fatto coinvolgendo nella responsabilità le sue più elette catture. Le conseguenze sono gravi: la nudità esterna è la manifestazione della povertà che si è generata per aver rifiutato Dio. Le ingiunzioni pronunziate da Dio sull’uomo e sulla donna manifestano la nuova situazione vitale compromessa dal peccato: il sudore della fronte per procacciarsi il pane, le gravidanze moltiplicate alla donna e i dolori del parto unito al dominio subito dall’uomo, sono in sintesi il bagaglio che l’uomo e la donna si ritrovano addosso e che consegneranno all’intera umanità attraverso la trasmissione della vita. La conclusione è la cacciata dal paradiso e l’assunzione della responsabilità in un mondo che diverrà travagliato e nel quale tutto dovrà essere cercato a forza di lavoro, di impegno e preoccupazioni. P. Angelo Sardone

Gloria di Dio è l’uomo vivente

La semina del mattino

223. «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Il racconto della creazione si fa sublime quando Dio dal suolo trae l’uomo e lo rende vivente.

All’inizio del secondo capitolo della Genesi secondo la fonte cosiddetta Jhavista, (da Jahwè, Signore, il nome che qui viene adoperato), l’autore sacro torna sulla creazione dell’uomo con sfumature più intense. Tutta la realtà creata culmina nell’arrivo dell’uomo del quale si dice originato dalla terra, creatura di terra, e nel quale, cosa unica, Dio soffia l’alito di vita, rendendolo vivente. Dio gli dona l’anima umana, la coscienza, la libertà, doni riservati solo all’uomo che somiglia a Dio, e lo differenzia da tutti gli altri esseri rendendolo superiore col potere di conferire il nome alle cose create. L’uomo, creato ad immagine di Dio, occupa un posto unico nella creazione; è un essere composto da corpo e spirito, non è qualcosa, ma qualcuno. È dotato di un corpo che lo rende partecipe della dignità di immagine di Dio, e di un’anima, cioè di un principio spirituale: per questo è destinato a diventare il tempio dello Spirito Santo. È la più grande figura vivente, “più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione” (S. Giovanni Crisostomo). Il genere umano in forza dell’origine comune forma una unità: Dio “creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini” (At 17,26). Nell’unità di corpo ed anima l’uomo è dunque la sintesi degli elementi materiali che in lui prendono corpo, per lodare il Creatore e tendere a Lui. P. Angelo Sardone

Tutto è buono ciò che viene da Dio

La semina del mattino

221. «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,3.12.18). È questo il ritornello che accompagna i sei giorni della creazione e col quale Dio Padre chiude con compiacenza giorno per giorno la sua opera. L’autore sacro narra l’evento della creazione dell’universo e la riveste di una coloratura antropomorfica. Adopera questa sottolineatura come insegnamento rivelato, con uno stile colorito e vivace ed una singolare ricchezza narrativa. L’espressione contiene il valore e l’apprezzamento del Creatore dinanzi ad un progetto perfetto che sta realizzando a cadenza giornaliera, dove ciascuna cosa ha una posizione fissa, uno scopo e una funzione per sempre, secondo la legge di natura da Lui impressa. Si tratta di forma perfetta con una struttura di autorità divina che imprime una forma destinata a rimanere per sempre. Solo Dio, essere perfettissimo, poteva esprimere fuori di sé una creazione perfetta che lascia a bocca aperta mentre si scoprono le leggi impresse e la loro assoluta bellezza. Al termine dell’esamerone (i sei giorni), dopo aver creato l’uomo e la donna, l’originaria espressione si colora ulteriormente di un aggettivo migliorativo ed accrescitivo: “vide che era cosa molto buona” (Gen 1,31). Se la natura vegetale ed animale, sulla terra, nei cieli e nei mari era buona, a maggior ragione lo era quella umana, come espressione di una persona creata a sua immagine e somiglianza, che partecipa alla natura divina attraverso la grazia. Alle creature umane Dio ha dato in possesso e dominio la natura e l’universo perché tragga alimento per vivere e motivo per esaltare la gloria del Creatore. P. Angelo Sardone.

Fare tutto per il Vangelo

La semina del mattino

220. «Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,23). L’annuncio del Vangelo è stato il primo compito assolto da Gesù nel suo itinerario terreno, essendo Lui stesso la Parola. Coinvolti in questa responsabilità i discepoli divennero messaggeri della Parola che salva ed inviati (di qui il nome “Apostoli”), facendo ruotare l’intera loro vita nel e per il Vangelo. La loro vocazione fu proprio in funzione di una collaborazione efficace come “servi della Parola”. L’ascolto e l’assimilazione degli insegnamenti di Gesù li resero trasmettitori fedeli mentre la fede si diffondeva attraverso l’ascolto. L’apostolo Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi, afferrato da Cristo è divenuto il comunicatore più profondo di quanto ha ascoltato ed ha sottomesso tutto il suo essere ed il suo agire al ministero consegnatogli da Cristo. La predicazione del Vangelo esige prima di tutto una personalizzazione esistenziale determinata dal primo interlocutore, Gesù Cristo, e dalla potenza e grandezza del messaggio da comunicare. Tutto il contenuto evangelico si deve esprimere come vincolo di intima comunione con Dio e con i fratelli. Ciò crea ancora oggi nei cristiani un rapporto anche affettivo e di grande responsabilità nei confronti di un dono che è stato elargito perché sia diffuso e coinvolga il maggior numero di ascoltatori. Implica inoltre per chi lo comunica, una sorta di assimilazione con gli altri, facendosi tutto a tutti nel tentativo di salvare ad ogni costo qualcuno. Chi diffonde il Vangelo con la sua vita diviene necessariamente parte di esso e sua concreta testimonianza. P. Angelo Sardone

5ª domenica del Tempo Ordinario

Le considerazioni del paziente Giobbe sono realistiche pur manifestando un tono di cupo pessimismo. Illusione, affanno, insonnia, soffio repentino, incertezze, sono espresse come elementi senza speranza. La presenza e gli interventi terapeutici di Gesù sono efficaci non solo per la suocera di Pietro vittima della febbre, ma anche per tutti gli ammalati, gli indemoniati, gli affetti da varie malattie. Tutta la città è presente. La sua forza nasce dalla unità orante col Padre nella costante preghiera e mosso dalla necessità di andare altrove a predicare il Vangelo ed a scacciare i demoni. L’annunzio del Vangelo per l’Apostolo Paolo è una necessità non un vanto, un incarico affidato per guadagnare a Cristo il maggior numero di persone: debole con i deboli, tutto a tutti. Fare tutto per il Vangelo rende partecipi di esso. P. Angelo Sardone.

La confessione della fede

La semina del mattino

219. «Per mezzo di Gesù offriamo a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (Eb 13, 15). La proclamazione o confessione della fede è un elemento primordiale di risposta al dono di Dio per la crescita personale e per la salvezza. «Se confesserai che Gesù è il Signore tu sarai salvo» (Rom 10,9), scrive S. Paolo. L’offerta più completa del sacrificio è stata fatta da Cristo sull’altare della croce dove ha mirabilmente unito la Parola insegnata fino all’ultimo momento col perdono ai crocifissori, con l’abbandono nelle mani del Padre con il corpo donato ed il sangue versato. Le labbra del cristiano confessano il nome di Dio, cioè riconoscono la grandezza del Creatore e proclamano la sua lode anche a costo di persecuzioni. L’esperienza dei martiri, autentici confessori della fede, testimonia l’adesione convinta all’annuncio di Cristo, imitandolo fino in fondo. Il terribile supplizio della croce toccò al gruppo di circa una trentina tra giapponesi che dopo la predicazione di S. Francesco Saverio avevano abbracciato la fede cristiana e missionari. Erano gesuiti e francescani, religiosi e laici Terziari. Tra questi S. Paolo Miki, primo religioso cattolico giapponese e gesuita che aveva abbracciato la fede cristiana a 22 anni ed era diventato valente predicatore in tutto il paese. Il racconto del loro martirio a Nagasaki, che il 9 agosto 1945 sarà distrutta dalla bomba atomica, ripropone crudamente il Vangelo della croce, ma anche e soprattutto la forza della verità derivante da Cristo, unica via di salvezza che insegna a perdonare ai nemici e ad istruirsi sul dono della fede. È una testimonianza eloquente di grande attualità. P. Angelo Sardone

S. Agata eroina di virtù

La semina del mattino

218. «Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo?» (Eb 13,6). La Lettera agli Ebrei è ricca di citazioni bibliche che diventano fondamento nella trattazione delle problematiche e suggellano la verità enunziata. È il caso del Salmo 118,6 del quale riporta l’interrogativo. L’articolata omelia del grande dottore di Gerusalemme ingloba anche indicazioni pratiche valide per ogni tempo: l’amore fraterno che deve rimanere saldo; l’ospitalità che deve essere praticata; la condotta votata alla generosità ed alle opere di misericordia corporali, il matrimonio e la sua grandezza. Quest’ultimo deve essere salvaguardato dalle frodi e dalle cupidigie dei fornicatori e degli adulteri. In ogni situazione Dio non lascia soli e non abbandona! Tale esperienza è stata vissuta dalla ricca, giovane e nobile S. Agata, eroina di Catania vissuta e martirizzata nel III secolo. Il suo nome, dal greco significa “buona”. La tradizione la vuole consacrata a Dio col velo rosso, tipico delle vergini votate a Cristo. Non valsero a distoglierla dal proposito i ripetuti tentativi di seduzione di un Proconsole romano invaghito di lei, né le vessazioni immorali di ogni specie, né il processo, né le torture cui fu sottoposta. Le furono strappati i seni con le grosse tenaglie; fu gettata nel fuoco ma un terremoto evitò l’esecuzione. Gettata agonizzante in cella, morì. Non ebbe paura di nulla, consapevole di essere diventata la schiava di Gesù ed incurante di quanto gli uomini potessero farle! L’eroicità del gesto è proporzionata all’eroicità della virtù! È un esempio ed uno stimolo per chi si vende per poco, si lascia ammaliare dalle lusinghe o impaurire da minacce. P. Angelo Sardone