Il Signore non abbandona mai!

258. «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato» (Is 49, 14).

Un ritornello ricorrente presso il popolo di Israele, accorato e sfiduciato, accusava Dio di averlo dimenticato e lasciato alla mercé del suo destino. Già dall’uscita dall’Egitto questo pensiero era dominante nella mente degli Ebrei che si rivoltavano contro Dio e contro Mosé. Le esperienze drammatiche dell’esilio, le deportazioni nel corso dei secoli confermeranno questo disappunto. I profeti, cultori della fede pura in Jahwé, tentano in ogni modo di orientare il popolo a riconoscere che Dio è paziente, generoso, provvidente e soprattutto vicino a ciascuno. Nonostante ciò la delusione e l’amarezza della contraddizione porta il popolo a convincersi e ad affermare che il Signore lo ha veramente abbandonato e dimenticato. È una accusa impropria e disincarnata dalla realtà. Il Signore risponde prontamente non per scusarsi ma per affermare la realtà dei fatti agganciandosi ad un esempio, il più naturale e toccante nelle relazioni umane. Una donna può dimenticarsi del suo bambino, può non commuoversi per il figlio che ha generato dalle sue viscere? Anche se ciò, per quanto disumano possa essere, dovesse succedere, il Signore protesta e afferma in maniera categorica e determinata: «Io, invece, non ti dimenticherò mai». L’esperienza umana e cristiana porta spesso a trovarsi in analoghe condizioni ed a fare le stesse affermazioni quando il dubbio, la solitudine, la necessità, la malattia, la precarietà, la morte, la fanno da padroni. Dio continua a dire: «Io non ti dimenticherò mai». P. Angelo Sardone

Le fonti vere dell’acqua viva

La semina del mattino

257. «Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà» (Ez 47,9). Quando il Signore abita nuovamente in mezzo al suo popolo, tutto diventa benedizione. Nell’ultima parte del suo libro, il profeta Ezechiele, deportato a Babilonia il 597, racconta in visione il piano dettagliato, operato da Dio, della ricostruzione sociale e politica della città santa di Gerusalemme e del suo popolo. In particolare dal Tempio scaturisce una potenza di vita che il profeta descrive come un fiume di acqua corrente che scorre fuori dal tempio e si dirige verso sud fino al Mar Morto. Qui, particolarmente l’acqua viva e dolce risana le acque salate e salmastre rendendole ricche di pesci con una folta vegetazione sulle rive. Sembra di rivedere i fiumi che irrigavano il giardino dell’Eden nel paradiso terrestre. La vita dà fertilità e potenza agli esuli che torneranno nella Terra promessa. La vita è assicurata a chiunque si muove dentro queste acque e si lascia invadere da esse. L’abbondanza di cibo e di ogni sorta di alberi con foglie che non appassiscono e carichi di frutti maturi ogni mese, è il segno più evidente della gratuità di Dio e della potenza della sua rinnovata creazione. I frutti sono cibo e le foglie medicina. Tutta la potenza è determinata dalle acque che scaturiscono dal santuario: la natura dell’acqua ed il luogo da cui sgorgano simboleggiano la purificazione e la vita. Analoga visione descriverà S. Giovanni nell’Apocalisse, a conferma di quanto il profeta aveva narrato. La Tradizione della Chiesa ha visto in quest’acqua il sacramento del Battesimo ed il dono dello Spirito Santo. In esse siamo rinati, da esse siamo abbeverati e rinnovati nella Grazia. In esse si compirà il mistero dell’ultima nascita alla vita eterna. P. Angelo Sardone

Dio buono e misericoordioso

256. «Non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente» (Is 65,17). La terribile esperienza dell’infedeltà del Popolo di Israele e della sua deportazione a Babilonia, vera e profonda purificazione, è sottolineata dai profeti come elemento di debolezza dell’uomo e di infinita grandezza e misericordia di Dio. La punizione redentiva porta i suoi frutti nella misura in cui il popolo si affida al Signore, ascolta la sua Parola, compie gesti concreti di penitenza. Dio rivela così ancora di più il tratto infinito ed essenziale del suo essere “benigno e misericordioso”. La sua azione di grazia vuole cancellare il peccato anche dalla mente di chi l’ha compiuto, prospettando cieli nuovi e terra nuova, dove tutto è rinnovato dal sacrificio di Gesù sulla croce, offerta oblativa che sana le ferite e perdona il peccato. La novità sempre presente dell’amore di Dio fa sì che non ci si ricordi più del passato, non viene più in mente, perché è ormai affidato unicamente alla bontà misericordiosa di Dio. L’uomo è in un certo senso perseguitato dal ricordo del passato e delle sue colpe. Il peccato, come scrisse Davide, gli sta sempre dinanzi. Ma la potenza dell’amore di Dio ha la capacità di sradicare dal profondo la colpa ed il peccato e di cancellarlo, e l’uomo garantisce il pentimento sincero ed il proposito fermo di non tornare a peccare. La Quaresima è tempo propizio per rivedere la propria vita, esaminare seriamente la propria coscienza e decidersi con ferma volontà a finirla con i propri peccati e con una vita che può risultare insulsa quando con facilità si lasciano convivere mistiche esaltazioni spirituali e bassezze morali e comportamentali. P. Angelo Sardone

Un amore forte e non evanescente

254. «Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce» (Os 6,4). La constatazione della grandezza dell’amore di Dio inebria la vita dell’uomo e la esalta per la sua profondità, l’estensione e la durata. Non sempre a questa intensità e generosità di amore corrisponde quello dell’uomo, soprattutto quando, fiaccato dalla colpa e dal peccato, non sa riconoscerne la ricchezza e la necessità. L’identità di Dio è precisa: Dio è amore. I suoi connotati ed attributi noti e sparsi nell’intera Bibbia, sono un incalzare di grandiose verità che nobilitano l’uomo e lo innalzano nella contemplazione e al gusto delle cose di Dio. Il dolce rimprovero che talora Dio riserva all’uomo per la risposta limitata del suo amore, vuole essere un incentivo a comprenderne in profondità il significato e ad applicarsi per realizzarlo fino in fondo, ogni giorno, dal mattino alla sera. L’immagine adoperata dal profeta Osea, la nube del mattino che scompare e la rugiada dell’alba che svanisce, stigmatizza la realtà passeggera ed evanescente dell’amore dell’uomo tante volte utilitaristico, egoistico, emozionale, legato all’opportunità, non sempre consistente. Le vicissitudini della vita tra tribolazioni, preoccupazioni, malattie, stanchezza, sofferenze, rendono l’amore umano spesso opaco ed incapace di esprimere una consistenza duratura. Il Crocifisso è la risposta più autentica, duratura e solida dell’amore di Cristo, un amore senza limiti, più lucente e più caldo del sole. P. Angelo Sardone

Alleanza, fedeltà ed amore

253. «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente» (Os 14, 5). Il tema dominante nella predicazione del profeta Osea è quello della fedeltà, “hesed” nel linguaggio biblico, in un tempo di disordini e corruzione morale e religiosa. La sua è una religione del cuore, profondamente ispirata all’amore di Dio. I rapporti tra Jahwé ed il suo popolo sono espressi con i termini propri del matrimonio e l’elemento portante della fedeltà, che sembra misconosciuto al popolo stesso. Essa significa anche grazia e amore, che sono la sua base sia in campo morale che giuridico. Si specifica all’interno dell’alleanza che Dio ha concluso con Israele, dono e grazia, ma anche suo preciso dovere nel rispettarla. L’amore di Dio, un impegno obbligante vero e proprio, si manifesta come amore che dona e si dona, tenerezza e volontà più potente del tradimento, grazia più forte del peccato. La malattia tipica del popolo d’Israele non solo nell’esodo ma anche nelle vicissitudini storiche interne alla sua monarchia, è proprio l’infedeltà a Dio. Il facile riconoscimento ad altri dei della potenza, fertilità, e addirittura attribuire a Jahwé il titolo di Baal, fa infuriare i profeti. Dio come medico efficace interviene per guarirla attraverso la medicina del suo profondo amore. Questa realtà si riproduce e ripercuote facilmente in ogni tempo nel nuovo popolo d’Israele. Diviene fin troppo facile e apparentemente conveniente cedere alle lusinghe degli idoli antichi e nuovi, più appaganti e gratificanti, anziché sottostare alle clausole dell’alleanza che sono scritte nel cuore ed hanno nel Crocifisso l’attestazione più grande e concreta. P. Angelo Sardone

I comandamenti, strada di luce

252. «Camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici» (Ger 7,23). Nella sezione dei suoi oracoli in relazione al vero culto di Dio il profeta Geremia sottolinea la contraddizione del culto senza fedeltà, quando cioè si dà troppa importanza all’esteriorità anche nelle cose di fede, e poco invece all’ascolto della voce di Dio. In effetti nel Decalogo non vi sono prescrizioni rituali ma un richiamo preciso alle norme stabilite che presentano Dio come il vero Dio ed il popolo d’Israele come “il popolo di Dio”. L’invito del Signore è di camminare sempre sulla strada da Lui fissata per avere la garanzia della vera felicità. La strada è tracciata da una serie di indicazioni che sia applicano alla vita, alle relazioni con Dio e con gli altri, alla gestione della natura, alla salvaguardia del creato. La strada prescritta da Jahwé è quella dei comandamenti, strada di luce, che insegna la vera umanità dell’uomo, i precetti della legge naturale radicati nel suo cuore. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, essi sono incisi nel cuore umano, sono obbligazioni gravi, immutabili, ed obbligano sempre e dappertutto: nessuno è dispensato. Eludere questi precetti, non prestarvi ascolto, voltare le spalle invece di dirigere il volto verso Dio, agire secondo l’ostinazione del proprio cuore, significa diventare inesorabilmente schiavi di se stessi, bandire la fedeltà, vivere nel buio. È molto importante capire queste cose, approfondirle per sforzarsi poi, nonostante la limitatezza umana e la presenza del peccato, viverle fino in fondo e godere una felicità piena e duratura. P. Angelo Sardone

Il cammino dell’Esodo e la memoria dei prodigi

251. «Bada a te e guàrdati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita» (Dt 4,9). Il cammino del popolo d’Israele verso la Terra promessa è una grande scuola di vita. Tra i libri del Pentateuco quello dell’Esodo è “l’abbozzo della nostra redenzione” in quanto, secondo la sua etimologia, significa partenza, inizio del grande atto salvifico di Jahwé. L’esperienza quarantennale del suo cammino, ha portato il popolo eletto a percorrere non la via dei Filistei, la strada principale che collegava l’Egitto con la terra di Canaan, protetta da grandi fortezze egiziane, ma ad evitarla. Ciò determinò anche il lungo viaggio e tutte le conseguenze. Nell’esodo il popolo vedeva la radice del suo essere nazione, della sua fede nel Dio vero e nella Sua volontà di salvezza. Questo è il motivo per il quale, soprattutto i profeti, vedevano il contrasto tra le gesta di Dio a favore del popolo e la sua costante infedeltà. Le cose viste e sperimentate erano davvero tante, a cominciare dalle dieci piaghe inflitte da Dio all’Egitto, alla celebrazione della Pasqua, dallo strepitoso passaggio del Mar Rosso, al cammino nel deserto, dal dono dei Comandamenti alla privazione del pane, della carne e dell’acqua, dalla fedeltà di Dio, alla stanchezza di fede. Ripetutamente il Signore attraverso Mosè ricorda al popolo la fedeltà all’alleanza e la memoria puntuale di tutto ciò che gli è capitato, tenendolo a mente per tutto il tempo della vita. L’insegnamento storico si applica al nuovo popolo d’Israele, la Chiesa, che spesso, infedele, non ricorda adeguatamente e quindi a non orienta i propri passi sulla strada del suo esodo che conduce alla salvezza eterna. P. Angelo Sardone

La grande misericordia di Dio

250. «Fa’ con noi secondo la tua clemenza, secondo la tua grande misericordia» (Dn 3,43). La Liturgia richiama con insistenza il grande dono divino della misericordia. Essa è collegata all’abituale disponibilità di Dio al perdono e alla clemenza, ossia il modo benevolo e moderato nel riprendere e nel punire. Nei testi profetici e poetici della Bibbia è un dato ricorrente che emerge sia dalle stesse Parole di Dio che dalle invocazioni e richieste di perdono a Lui rivolte in conformità all’amore promesso e manifestato al popolo d’Israele. L’umiliazione subita, la mancanza di persone adatte a governare, di punti di riferimento sociali e religiosi, validi e sicuri, mentre determina confusione e delusione, predispone un cuore contrito ed uno spirito umiliato, che si offre come sacrificio. Si paga sempre e caro quando ci si allontana dalla verità, da quanto la legge naturale e positiva richiede e si brancola nel buio più fitto dell’incomprensione propria ed altrui. Non si sa più distinguere il bene dal male, anzi talora si confonde platealmente il bene col male, trincerandosi dietro una stupida ingenuità che maschera una coscienza altalenante ed una dubbia moralità nel pensare e nell’agire. Questo è un rischio che spesso coinvolge i credenti e rende la vita trascinata e non vissuta, monotona ed assuefatta al piacere momentaneo ed illusorio, al “tutto e subito”. La scaltrezza del demonio può e deve essere bloccata da una coerenza sincera e dal proposito fermo di seguire il Signore con tutto il cuore, di temerLo e di cercare sempre il suo volto. Solo allora si gusta la sua clemenza e la grandezza della misericordia di Cristo che “non vuole condannare nessuno ma assolvere tutti” (S. Ambrogio). P. Angelo Sardone

La donna figlia, moglie e madre

249. «La si chiamerà donna perché dall’uomo è stata tolta» (Gen 2,23).

L’indicazione biblica non è semplicemente l’atto di nascita ma anche la conferma dell’identità specifica della donna, la creatura messa da Dio accanto all’uomo, che racchiude in sé le peculiarità di dolcezza, fortezza, bellezza, eroismo, sacrificio, spiritualità. Dire donna significa dire “dono”. Nonostante che nell’antichità essa godeva di una condizione sociale bassa, destinata all’unica responsabilità della procreazione e dell’educazione dei figli, era sinonimo di fonte di vita ed era esaltato il suo ruolo di moglie e di madre. La Sacra Scrittura definisce la donna “aiuto simile all’uomo”: per questo egli lascia i suoi genitori per vivere con lei. La soggezione e dipendenza della donna dall’uomo erano concepite come maledizione. Una certa proclamata inferiorità era un deterioramento della condizione primitiva e genuina dell’umanità. Nella Bibbia un gruppo interessante di donne sono esaltate per la loro intelligenza, devozione, eroismo. Gesù ha nei loro confronti una posizione nuova, rivoluzionaria, con princìpi che si oppongono all’umiliazione sociale e giuridica propria dell’Oriente, ed all’eccessiva emancipazione a Roma. Conosceva la loro vita, le fatiche di ogni giorno, la loro premura. Alcune di esse lo accompagnarono fin sotto la croce: ad una apparve per prima dopo la sua risurrezione. Identità e ruolo della donna, figlia, sposa, madre, consacrata, sono oggi considerati in maniera diversa da un nuovo modo di vedere la creatura, la cui dignità è esaltante. “Dove non c’è donna, l’uomo geme randagio” (Sir 36,27). Auguri, donna, oggi e sempre. P. Angelo Sardone