L’addio di Paolo ad Efeso

322. «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (At 23,11). Il viaggio missionario di Paolo ha Gerusalemme come tappa obbligata. È il centro del Giudaismo ed è diventato anche il centro del Cristianesimo. Qui la difficoltà maggiore è costituita dagli irriducibili Giudei che vedono in lui un sobillatore inosservante della legge di Mosé. Come è avvenuto altre volte, la folla sobillata dai facinorosi, grida, urla fino a costringere il comandante del tempio a prenderlo con forza per sottrarlo al linciaggio e condurlo nella fortezza di Gerusalemme. Sulla scalinata del tempio per la terza volta Paolo racconta la sua conversione. Parla in ebraico e tutti ascoltano con attenzione. Appellandosi direttamente al Signore giustifica la sua familiarità con i pagani, cosa che ha suscitato ovunque accuse contro di lui. Il carcere e la flagellazione sono la soluzione immediata del trambusto che si è creato. Ma proprio mentre sta per essere flagellato, il Centurione si rende conto che Paolo è un romano. L’indomani parla davanti al Sinedrio. Al termine la confusione prende piede tra gli ascoltatori: Sadducei e Farisei non si ritrovano perfettamente in linea con le loro accuse nei suoi riguardi. Nel silenzio della notte, mentre è in prigione con due catene gli appare il Signore e lo conforta annunciandogli il prossimo futuro di testimonianza direttamente a Roma. L’ultimo tratto del ministero nella sua terra è frastagliato da contraddizioni, odio. Ma lo spiraglio è Roma dove troverà la prigionia e la morte. P. Angelo Sardone

La tenerezza di San Paolo

  1. «Ora, ecco, io so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno» (At 20,25). Paolo è a Mileto. Prevedendo di andare a Gerusalemme senza sapere ciò che gli accadrà, avendo piena coscienza illuminata dallo Spirito che di città in città l’attendono tribolazioni e catene per amore del Signore, manda a chiamare i capi della Comunità cristiana di Efeso. Con loro intesse un intenso discorso di addio, uno degli elementi più toccanti dell’intera Scrittura, che evidenzia la straordinaria portata umana della identità paolina e del suo ministero. Dopo aver fatto memoria del suo apostolato e dei suoi comportamenti relazionali, sottolineando il lavoro fatto tra mille tribolazioni ed opposizioni da parte dei Giudei senza tirarsi mai indietro annunciando e proclamando la verità di Cristo ed il suo Vangelo, Egli dichiara la inutilità della sua vita pur di portare a compimento l’incarico ricevuto. La conclusione si colora di mestizia con l’annuncio che non vedranno più il suo volto. L’allusione è chiara: non ritornerà più in mezzo a loro perché portato altrove, presagendo anche la morte. È un tratto bellissimo, confidenziale, profondamente umano, a corredo di un ministero realizzato in mezzo a tante difficoltà ma con la fermezza del Vangelo ed il coraggio ardito della fede. Questa esperienza è tante volte la conclusione temporanea o perenne del ministero di tanti sacerdoti che per l’età, la malattia o l’impegno pastorale altrove, salutano le loro comunità e si lasciano andare in espressioni dense di tanta umanità, segno di un amore profondo. Quanta ammirazione dinanzi a tanta consapevolezza e quanta dolcezza in simili circostanze! P. Angelo Sardone

L’ignoranza dello Spirito Santio

319. «Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo» (At 19,2). Nella sosta di Paolo ad Efeso, a contatto con alcuni discepoli, circa dodici, dinanzi ad una domanda ben precisa dell’Apostolo, emerge da loro l’ignoranza assoluta dello Spirito. Il battesimo di Giovanni da loro ricevuto era l’unico appannaggio di fede e la situazione iniziale della risposta alla nuova via. Con pazienza Paolo li evangelizza a dovere facendo loro comprendere che quel battesimo era solo l’inizio di un processo di conversione per farli approdare alla fede in Cristo di cui Giovanni era precursore. Ascoltato questo, gli interlocutori si fanno battezzare nel nome di Gesù. Subito dopo lo Spirito scende su di loro e si evidenzia facendo loro parlare lingue diverse e profetare. La lezione storica degli Atti evidenzia un fatto che si ripete anche oggi: ad un principio di adesione alla fede non sempre segue una conoscenza adeguata del suo mistero e dell’opera santificatrice dello Spirito, agente fondamentale della vita di grazia e di adesione a Cristo. Il sacramento del Battesimo ha conferito il dono dello Spirito la cui presenza ed azione sarà confermata nella Cresima, ma a volte persiste una grave ignoranza circa la sua identità ed azione. Tanto dipende da una accurata evangelizzazione che spesso, soprattutto per la Cresima, potrebbe ridursi ad una serie di incontri magari anche in età non perfettamente matura per comprenderne la portata. Tante altre volte una conclamata maturità di fede derivante dallo Spirito è congelata nella vita dalle numerose altre preoccupazioni che fanno parlare lingue totalmente diverse e distanti da quelle dello Spirito. P. Angelo Sardone

Annibale Maria Di Francia, santo

«In onore della santa ed indivisibile Trinità, riteniamo e definiamo che il beato Annibale Maria Di Francia è Santo e lo inseriamo nell’elenco dei Santi riconosciuti da dover essere onorati con religiosa devozione, tra i Santi, nella Chiesa universale» (S. Giovanni Paolo II, 16 maggio 2004). Fu un giorno straordinario la domenica 16 maggio 2004. Sin dalle prime ore del giorno fedeli e devoti provenienti da tutte le parti del mondo gremivano Piazza S. Pietro a Roma. Giovanni Paolo II curvo sotto il peso della malattia e dell’età, teneva la sua ultima canonizzazione: sei beati, tra cui Annibale Maria Di Francia, Fondatore delle Figlie del Divino Zelo, dei Rogazionisti del Cuore di Gesù e degli Orfanotrofi antoniani. Le due moderne Congregazioni religiose devono il loro nome e la loro missione al comando evangelico del Rogate, la pericope degli evangelisti Matteo (9, 35-38) e Luca (10, 2): «La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Signore della messe perché mandi gli operai nella sua messe». La Chiesa riconosceva, dichiarava in maniera definitiva ed additava al mondo intero la santità del sacerdote «Padre degli orfani e dei poveri», «Apostolo della preghiera per le vocazioni» che già dopo la sua morte, il suo amico e compagno di canonizzazione S. Luigi Orione aveva definito «il San Vincenzo de’ Paoli del sud». Era così confermato quanto già il 1° giugno 1927 nella città e nelle contrade di Messina tanti avevano affermato: «E’ morto un santo», «Si è chiusa la bocca che non disse mai no!», il canonico del “pezzo di terra maledetta” del Quartiere Avignone. Egli aveva speso quasi cinquant’anni della sua vita e del suo sacerdozio a servizio degli orfani e dei poveri, promuovendo e diffondendo con tutti i mezzi nella Chiesa e nel mondo il divino comando di Gesù per chiedere gli «operai del vangelo», ossia la preghiera per le vocazioni. «Il mio cuore esulta nel Signore la mia fronte si innalza grazie al mio Dio!» (1Sam 2,1). P. Angelo Sardone

S. Mattia, il sostituto

316. «Il suo incarico lo prenda un altro» (At 1,20). A seguito del tradimento e della morte tragica di Giuda Iscariota, era necessario sostituirlo nel Collegio apostolico dei 12 scelti da Gesù per la missione evangelizzatrice. Si tratta esplicitamente della volontà di Dio già manifestata nella Sacra Scrittura negli scritti profetici di Davide che in due salmi distinti aveva previsto l’evento. Nella Chiesa di Gerusalemme prende l’iniziativa Pietro il primo degli Apostoli, che alle 120 persone radunate fa nota questa urgenza. Nel piano divino della salvezza, anche se misteriosamente, era necessaria la defezione di Giuda. Ora, secondo il volere dello Spirito Santo, un altro deve prendere il suo posto. Non può trattarsi di una persona qualsiasi, ma di uno che sia testimone della risurrezione ed abbia frequentato il gruppo dal battesimo di Giovanni fino all’ascensione di Gesù al cielo. Vengono proposti due nomi: Giuseppe e Mattia. Di loro non si parlerà più in seguito. Tutti pregano e la sorte cade su Mattia, il cui nome, come Matteo, significa “dono di Dio”. La comunità cristiana constata così che la scelta l’ha fatta Dio. Secondo alcuni storici S. Mattia avrebbe evangelizzato l’Etiopia e sarebbe morto a Sebastopoli in Crimea. Nei primi passi giuridici della Chiesa nulla è lasciato al caso: la guida dello Spirito Santo è efficace in tutte le circostanze e dimostra che i posti vuoti vanno riempiti. Il collegio dei Dodici si ricompone e tutto rientra nello schema organizzativo voluto da Dio prima con i dodici figli di Giacobbe ed ora col nuovo Israele, la Chiesa. La pienezza nel numero e nell’efficienza del ministero è sempre necessaria, anche oggi nonostante la perdurante crisi vocazionale. P. Angelo Sardone