Sulla graticola per amore di Gesù

La semina del mattino
39. «Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Il ritmo della legge biologica, in natura si muove con questa dinamica: il seme gettato nel terreno, muore come tale, si disfà, quindi produce i frutti. La legge immessa dal Creatore nella natura vegetale regola così la produttività. Nel linguaggio cristiano il chicco di grano che muore e dal quale si produce frutto abbondante, è la metafora della morte e risurrezione di Cristo: morto e posto nel sepolcro, con la sua risurrezione Gesù ha sconfitto la morte e dato inizio alla nuova vita. Con la logica del seme caduto in terra e facendo riferimento ai numerosi martiri cristiani che davanti ai tribunali pagani testimoniavano pubblicamente la fede, sottoposti a torture e sofferenze fisiche fino alla morte, Tertulliano, uno dei primi Padri della Chiesa affermava che «il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani». Coraggiosi araldi della fede «grazie alla testimonianza del loro martirio, hanno disprezzato la vita fino a morire» (Apc 12,11), determinando così un numero sterminato di seguaci di Cristo in tutte le epoche. Oggi si fa memoria di S. Lorenzo, un diacono di Roma del III secolo che amministrava le offerte fatte alla Chiesa. Secondo la Tradizione fu bruciato sopra una graticola, in odio alla fede e per aver mostrato al Prefetto imperiale i veri tesori della Chiesa: i malati, gli storpi e gli emarginati. I martiri di oggi, numerosi quanto quelli di ieri, sono testimoni di un Amore per il quale vale la pena di impegnare e donare la propria vita. P. Angelo Sardone

La presenza di Dio

La semina del mattino
38. «Esci e fèrmati sul monte alla presenza del Signore» (1Re 19,9).
Dio è onnipotente ed onnisciente. A questi singolari attributi unisce quello della presenza che riempie tutto l’universo. Anche ogni singola creatura è presente a Lui: in qualunque luogo si vada, qualunque cosa si faccia non si può sfuggire alla presenza di Dio, alla quale non ci si abitua mai pienamente. Vivere alla presenza del Signore è un dono, un elemento pedagogico di santificazione, quando la mente, il cuore e la vita si orientano a Lui, quando le azioni che si compiono sono nella verità e nella grazia. Bisogna saperla riconoscere negli eventi, nelle situazioni, nelle persone. A questo dono si risponde con il raccoglimento, il silenzio, la preghiera che aiuta a compenetrarsi in Dio. Elementi distrattivi sono invece i moti interni ed esterni, le preoccupazioni, le vicissitudini della vita. Per godere della presenza di Dio, come fu detto al profeta Elia, bisogna uscire dal buio della caverna della propria vita assillata dagli avvenimenti giornalieri e fermarsi sul monte per contemplare e lasciarsi trasfigurare. I Padri dello Spirito considerano la presenza di Dio una virtù che si conquista con esperienze concrete, esercizi ripetuti, metodi comprovati. S. Pietro d’Alcantara suggerisce la pratica delle giaculatorie, piccole frecce d’amore che «aiutano la memoria continua di Dio e il procedere sempre alla sua presenza». Sono brevi preghiere, con contenuti semplici, che si lanciano verso Dio tra le attività quotidiane, con la forza della fede e l’affetto del cuore. P. Angelo Sardone

Colto, dotto e santo

La semina del mattino
37. «Mi metterò di sentinella, in piedi sulla fortezza a spiare» (Ab 2,1).
La sentinella è addetta alla custodia e protezione di persone e cose; sta al posto di guardia, in alto, veglia armato, avverte in caso di pericolo e interviene prontamente. Ha gli occhi sempre aperti sull’orizzonte per scrutare in lontananza e scorgere anche i più piccoli segni di pericolo o di movimento sospetto. Non lascia la sua postazione per poter in ogni momento dare l’allarme. Se non spia, se non dà i segnali, possono verificarsi situazioni incresciose e dolorose. S. Domenico di Guzman (1170-1221), fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori (Domenicani), privilegiato della grazia, è stato per la Chiesa un’autentica sentinella, secondo la parola profetica: «Ti ho posto come sentinella per la casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia» (Ez 3,17). La predicazione itinerante, lo studio approfondito della Scrittura, la mendicità e le osservanze monastiche, sono i capisaldi della sua vita ed innovata azione pastorale. Dante lo paragona ad un agricoltore scelto da Gesù Cristo come aiutante nel suo orto (Paradiso XII, 70-72). In genere inalterabile e parco di parole, gioioso, composto e gioviale, quando apriva la bocca era «o per parlare con Dio nella preghiera o per parlare di Dio». L’esito del suo tenore di vita induce ad imitarne la fede, la costanza nell’impegno, la fedeltà al compito ricevuto, come avvenuto per una schiera di Santi e Sante formati alla sua scuola. P. Angelo Sardone

Perdersi per ritrovarsi

La semina del mattino
36. «Chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà!» (Mt 16,25).
La logica di Dio sembra in contraddizione o contraria alla logica umana. Spesso i conti non tornano e ci si trova in difficoltà: la diversità di vedute e di operazioni distanzia le strade rendendole anche opposte. La sequela di Cristo indicata con chiarezza ai discepoli, è basata sul rinnegamento di sé e l’assunzione ogni giorno del peso della propria croce. Perdere la vita per ritrovarla, guadagnare tanto e poi perdere tutto di sé, sono contraddizioni che si leggono e si risolvono solo in un’ottica di fede. S. Gaetano da Thiene (1480-1547) che si ricorda nella liturgia odierna, evidenzia i criteri evangelici di questa logica. La preghiera ed il servizio ai poveri ed ai diseredati, particolarmente gli incurabili, partendo dalle Beatitudini evangeliche e dall’icona della primitiva Chiesa apostolica, uniti alla riforma della Chiesa con la formazione del clero e la cura dei più poveri ed abbandonati, furono gli elementi portanti della sua vita e missione apostolica che affidò alla Congregazione dei Chierici Regolari detti Teatini da lui fondata. La sua spiritualità privilegia gli estremi della vita di Gesù: nascita e morte. Una confidenza riportata in una sua lettera, attesta che durante la celebrazione di una delle sue prime Messe, gli apparve la Madonna e depose tra le sue braccia il Bambino Gesù. Le sofferenze di Gesù lo spinsero ad avviare Ospizi per anziani e Monti di pietà. La contraddizione evangelica diviene così segreto di santità. P. Angelo Sardone

Trasformati a sua immagine

La semina del mattino

  1. «Questi è il Figlio mio, l’amato: Ascoltatelo!» (Mt 17,5).

La Trasfigurazione è l’evento anticipatore della gloria di Cristo sulla croce e nella risurrezione. Non bastavano le parole per esprimere la grandezza di quanto sarebbe accaduto: era necessario far sperimentare la grandiosità dell’evento, con un segno strabiliante. I tre discepoli spettatori di tanta maestosità, sono gli stessi testimoni della sua Passione. Il tutto avviene in disparte, sul monte Tabor, lontano dal chiasso della valle, a maggiore contatto col cielo. Dinanzi agli occhi stupefatti di uomini ancora duri a credere ed a comprendere l’identità del Figlio di Dio, Gesù è trasfigurato dalla gloria del Padre. Si trasforma nell’aspetto: il volto brilla come il sole; le vesti diventano candide come la neve. A porre il sigillo di verità, appaiono Mosè ed Elia che rappresentano la Legge ed i Profeti, gli sono accanto e conversano con Lui. Gli apostoli cadono con la faccia a terra spaventati, ma poi immersi nell’estasi e nella contemplazione desiderano che ciò non finisca mai. Risuona la voce del Padre che attesta che Gesù è il Figlio suo, e chiede di ascoltarLo. Quando si rialzano non vedono più nulla; devono tenere il segreto su quanto hanno visto e sperimentato. E’ così preannunziata la definitiva adozione a figli, trasformati dalla gloria del Padre e pronti all’ascolto dell’amato suo Figlio. Cittadini della terra, resi nuovi dalla Grazia, portiamo sul viso e nella vita lo splendore del volto di Cristo e le vesti candide della Chiesa, camminando verso la patria del cielo. P. Angelo Sardone

La fedeltà del Signore

La semina del mattino

  1. «Ti ho amato di amore eterno, per questo ti sono fedele!» (Ger 31,3)

La fedeltà del Signore rimane in eterno, come il suo amore e la sua alleanza. Fedeltà, amore ed alleanza sono complementari ed elementi propri del rapporto sponsale di Dio con l’umanità. La fedeltà si esprime in un impegno vincolante basato sulla reciproca fiducia e sulla volontà di tenere saldo e stabile un legame. La fedeltà di Dio è immutabile: l’uomo spesso è infedele. La parola data come un impegno o un patto sottoscritto, sono vincolanti nella fedeltà. Le scelte della vita, le realizzazioni vocazionali, dal matrimonio al sacerdozio, alla vita consacrata, come anche gli impegni e le responsabilità sociali, si stabiliscono a partire da un vincolo che è dono di amore e che esige fedeltà. Il vero amore non è passeggero, volubile, stagionale come talora possono essere i sentimenti. L’antica e la nuova alleanza stabilita da Dio con l’uomo si muove sui passi dell’amore e della fedeltà: è eterna. La vita sulla terra è il banco di prova per l’uomo e il tempo per ricevere e dare fiducia, onde realizzare il progetto creazionale. La fedeltà dell’uomo spesso vacillante, succube dei tentennamenti, facilmente condizionata da situazioni, eventi e persone, si consolida nella misura in cui ci si abbandona alla fedeltà di Dio. Quando non si è fedeli a Dio, viene meno anche la fedeltà verso gli uomini. Gesù ha ratificato sulla croce il nuovo ed eterno patto di alleanza: le braccia aperte, il costato squarciato, il capo chino e le piaghe sanguinanti sono l’alfabeto più eloquente del suo amore. P. Angelo Sardone

Patrono e modello dei parroci

La semina del mattino
33. «Va, profetizza al mio popolo!» (Am 7,15).
Il compito del profeta è delineato nel suo nome: non parla da sé, ma riferisce quanto gli ha detto il Signore. A poco valgono le sue capacità, la sua condizione sociale, le sue benemerenze: le sue parole e la sua stessa vita possono creare imbarazzo. Può essere ostacolato o fermato perchè non dotato o non ritenuto all’altezza del compito. Le effettive sue capacità si manifestano però nell’umiltà dell’obbedienza, anche nell’ambiente più insignificante dove opera con zelo amorevole, pienamente consacrato al servizio del suo popolo. Nella sua missione ciò che parla è prima di tutto la vita anche con prerogative di insufficienza o di affermata cultura, di emarginazione o di vistosa notorietà. Questo conferisce al più sconosciuto degli uomini ed al più piccolo dei borghi della terra, una nomea grandiosa ed una risonanza universale. S. Giovanni M. Vianney (1786-1859), il curato di Ars, nella Francia, con la sua vita umile e mortificata e la testimonianza di piena dedizione pastorale a Dio ed ai fratelli, per la semplicità e la ricchezza del suo sacerdozio fu strumento dell’infinita misericordia di Dio. Lunghe ore di preghiera davanti al tabernacolo di notte e di giorno, file interminabili di fedeli di ogni età e ceto sociale al suo confessionale, lotte diaboliche continue, estenuanti mortificazioni, sono il corredo di un uomo che a mala pena riuscì ad essere ordinato prete, ma che da Ars fece brillare la luce folgorante del servizio pastorale e dell’eroismo sacerdotale. È patrono dei parroci e loro modello per la guida delle anime. P. Angelo Sardone

Signore salvami!

La semina del mattino
32. «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?» (Mt 14,31).
Dio è presente nella vita dell’uomo in svariate maniere. Il suo intento non è quello di spaventare, ma di incoraggiare, sorreggere, portare la calma e mettere fine a situazioni incresciose e pericolose. Viene incontro nel mare tempestoso della vita, di notte o di giorno, cammina comodamente sull’acqua e spesso viene confuso con un fantasma. La prova la cerchiamo sempre noi quando percepiamo che il Signore è presente, che viene incontro anche nel buio più fitto, ma non avendo una fede salda cerchiamo il riscontro della verità mettendolo alla prova e chiedendo di essere noi ad andare incontro a Lui. L’esperienza vissuta da Pietro nel mare di Galilea è la stessa che viviamo spesso nel lago circoscritto della nostra esistenza, degli ambienti di vita, delle emozioni spirituali e degli slanci esaltanti, senza fare i conti con la limitatezza della fede che fa barcollare e perdere l’illusorio equilibrio creato e conquistato con briciole di certezza. Ci sono tutte le ragioni: il buio del dubbio, il vento forte delle contraddizioni, la paura del domani, la sfiducia in se stessi e negli altri. Eppure, visto che è il Signore che invita ad andare incontro a Lui, ci avventuriamo. Quel poco di autonomia entusiastica di fede limitata, si azzera dinanzi alla furia delle difficoltà del mondo e della vita, e rischiamo di affondare nel mare delle nostre stesse incertezze. La mano provvidente di Cristo ci afferra e solleva non senza un dolce rimprovero. P. Angelo Sardone

Dividendo si moltiplica

La semina del mattino
31. «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16).
Una ingiunzione piuttosto insolita se non curiosa. In un luogo deserto dove non c’era possibilità di compera, con degli uomini che non avevano addosso denaro, per una folla straordinariamente numerosa ed affamata, in un’ora tarda del giorno. Eppure il Maestro, certo provocatoriamente, così comanda ai discepoli. Avviene il miracolo: 5 pani e 2 pesci, non si sa di chi fossero, aumentano vistosamente e sfamano oltre 5.000 uomini, più le donne ed i bambini, se non alla pari, in numero grande. Cosa sorprendente: i pani si moltiplicano mentre si dividono, man mano che passano di mano in mano. Mentre si distribuiscono, aumentano di numero. Nella logica umana questa operazione è una assurdità. In quella del Maestro non solo funziona ma rende bastante e sovrabbondante il nutrimento. Gli Apostoli impararono la lezione di fede, perché di questo si trattava tanto era fuori del normale ciò che era avvenuto. La Chiesa ravviserà in quel miracolo l’anticipazione dell’Eucaristia, mistero della fede la cui comprensione supera il limite della mente umana e dei sensi. I sacerdoti nel loro precipuo ministero sono chiamati a dar da mangiare a chiunque ha fame, a distribuire con generosità il pane della Parola ed il pane dell’Eucaristia. Questi pani sono sempre abbondanti, ce n’è per tutti: i pezzi che avanzano sono raccolti e custoditi per sfamare tant’altra gente. Da questi due pani nasce poi il Pane della carità che è condivisione e fraternità. La fede e l’amore operano la moltiplicazione, il dubbio e l’egoismo azzerano ogni cosa. P. Angelo Sardone