Il Passaggio del Mar Rosso

Mattutino di speranza

10 giugno 2020

 

Per ogni cristiano lungo il cammino della vita c’è sempre un Mare Rosso ed un fiume Giordano da attraversare. Il mare ed il fiume, elementi biblici che caratterizzano la storia dell’antico popolo di Israele ed indicano il passaggio alla vera libertà ed alla salvezza, si ripresentano e riattualizzano nella storia del nuovo popolo di Dio, la Chiesa, nel suo cammino terreno verso la Terra Promessa del cielo. La pericolosità e le difficoltà di attraversamento del guado, ieri come oggi, sono annientate dall’intervento prodigioso di Dio che crea un argine con l’acqua che si ferma e prosciuga il terreno sul quale, senza difficoltà, si possono mettere i piedi e camminare sicuri. I mezzi efficaci per la realizzazione di questo cammino verso la salvezza sono: Dio che sta sempre alla testa, avvolto in una nube di giorno ed una colonna di fuoco di notte, l’Arca dell’Alleanza che contiene la Legge, ed i suoi portatori, i sacerdoti. L’acqua, nutriente essenziale per ogni organismo vivente sulla terra, può diventare ostacolo da superare mentre si avanza nel cammino. Dio, per la mediazione dei suoi inviati, Mosè prima col suo bastone, Giosuè dopo con l’Arca santa, manifesta la sua onnipotenza sospendendo le leggi della natura e permettendo all’uomo che di Lui si fida, di attraversare la vastità del mare e superare la veemenza dei corsi d’acqua senza difficoltà ed all’asciutto. La sua azione di salvezza continua oggi attraverso la mediazione dei sacerdoti. A loro è affidato il compito di portare sulle spalle l’Arca dell’Alleanza che contiene le tavole della Legge e la manna. Il loro ruolo, la loro azione, il loro ministero, stando a capo e ponendosi dinanzi al popolo in cammino, sono determinanti perché si possa attraversare il Mar Rosso ed il Giordano ed entrare nella terra promessa «nella quale, come diceva Origene uno dei primi Padri della Chiesa, dopo Mosè ti riceve Cristo». Innanzitutto il ministero di portare addosso. Il segno dei sacerdoti alla testa della carovana di Israele proteso verso la terra che Dio ha loro riservato, che portano sulle loro spalle l’Arca, li proietta verso il sacerdote sommo Gesù che, nella pienezza dei tempi e nell’ora della salvezza, porta addosso la sua croce fino a quando sarà piantata sul nudo suolo e, sollevata tra la terra ed il cielo, attirerà tutti a sé. Il sacerdote, per il ministero conferitogli da Gesù Cristo, porta addosso la sua Arca che contiene la Legge di Dio della quale per primo si fa banditore e testimone. Il suo atteggiamento verso questo elemento che nasconde agli occhi degli uomini la presenza stessa di Dio è di riverenza e subordinazione. Quell’arca, come scrive S. Annibale, contiene realmente il cibo che sostiene e dà vita, l’Eucaristia, la vera manna, il cibo degli Angeli che «nutre, difende, fa vedere i beni nella terra dei viventi» (S. Tommaso d’Aquino). Per mezzo del suo ministero può essere attraversato il Giordano. Dove posa i suoi piedi si fa asciutto. Pur essendo alla testa, una volta entrato nel fiume che in atto riverenziale interrompe il suo corso e crea un argine a monte, egli si ferma per permettere al popolo di attraversare con fiducia e senza difficoltà. Solamente quando tutti sono passati, riprende il suo cammino ponendosi nuovamente alla testa mentre il fiume torna a scorrere liberamente. Il suo ministero e la sua azione argina il peccato. Sulle sue spalle, insieme con Gesù che lo sostiene ogni giorno con una grazia del tutto particolare legata alla sua identità ed al suo ministero, insieme col suo peccato, egli porta il peccato del mondo. Tiene fissa alla sua spalla quel peso, aggrappando alla sua umanità debole e peccatrice, la stanga, la piccola trave che regge l’arca e diventa quasi un tutt’uno con lui. È importante che il sacerdote si fermi per permettere agli altri di camminare. Nonostante sia alla testa e guarda avanti, rimane sempre vigile verso chi lo segue e talora stenta a procedere. Anche se cammina spedito, si ferma per vigilare e permettere che tutti passino e superino le difficoltà, mentre stando ritto e fermo, sostiene quel sacro e dolce peso che, solo, rende possibile l’attraversamento. Guardiamo l’Arca che è un segno, ma continuiamo anche a guardare e considerare chi sotto l’Arca regge il suo peso per l’intero guado della sua esistenza.  P. Angelo Sardone

La Divina Provvidenza

Mattutino di speranza

9 giugno 2020

 

Uno dei doni che qualifica l’agire di Dio nel mondo si chiama Provvidenza. Essa viene definita l’azione costante esercitata da Dio sul mondo creato e sulla natura, con la quale vede (videre) davanti (pro) e procaccia tutto quello di cui c’è bisogno per vivere. Diversamente da alcune posizioni filosofiche, la fede cristiana afferma che Dio non solo crea ma si prende cura: la sua cura abbraccia l’universo intero e particolarmente l’essere vivente al quale non lascia mancare nulla sia in termini spirituali che materiali. Il libro della Sapienza con un linguaggio simbolico presenta la Provvidenza come una imbarcazione pilotata da Dio lungo un cammino da Lui tracciato nel mare, ed un sentiero sicuro anche in mezzo alle onde, che garantisce la salvezza anche a chi si è imbarcato senza esperienza (Sap 14, 1-4). La fede riconosce nella “divina Provvidenza” la mano di Dio che è attento ed interviene nelle vicende umane, guidandole al bene e ad una vita migliore. Il salmo 147 canta le lodi della Provvidenza di Dio che «copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l’erba sui monti, provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano a Lui» (Sal 147,8-9). In tanti altri Salmi ritornano espressioni simili. Gesù sollecita ad avere fiducia nella Provvidenza, a non affannarsi, perché Dio Padre non fa mancare il cibo, ed invita a guardare gli uccelli del cielo e i gigli del campo, l’erba del campo, perché da Dio non mancherà mai l’aiuto (Mt 6, 25-34). Immersi nella realtà del creato, nella storia, nel tempo, nei bisogni giornalieri di nutrimento e di realizzazione, facciamo esperienza di questo grande dono che constatiamo ed accogliamo già dal sole che sorge, dalla luce che invade il mondo, dalla salute e dalla vita ancora a noi conservata, dal cibo. In questa particolare epoca storica che ha messo e sta continuando a mettere a dura prova la pazienza, la costanza nella fede, la fiducia nelle istituzioni, con la forza che viene dalla grazia oltre che dal buonsenso e dalla fiducia in Dio, occorrerà sviluppare ulteriormente la fiducia nella Provvidenza. Anche se ciò può sembrare retorica, dato il fermo produttivo e lavorativo, laddove tanti hanno perduto il lavoro, ci sono inquietanti incognite e le proiezioni economiche non lasciano intravvedere futuri luminosi, occorre continuare ad avere fiducia e sperare in un mondo migliore illuminato dalla luce di Dio e corroborato dalla comune coscienza e responsabilità personali ed istituzionali. Mangiare, bere, vestirsi sono cose che interessano anche Dio: Egli le considera “cose date in aggiunta” e certamente non le farà mancare venendo incontro ai bisogni ed alle inquietudini giornaliere. La preghiera insegnataci da Gesù tra le altre cose invita a chiedere a Lui il “pane quotidiano” a cominciare proprio da quello materiale. S. Antonio di Padova, il santo del “Pane dei poveri” afferma che il pane si dice tale, perché “si pone in tavola con ogni altro cibo”. Non mancherà il pane, né ogni altro cibo, né ogni altra cosa, se sapremo procacciarli con tutti i mezzi, confidando in Dio, sulla base anche di ciò che la saggezza popolare e proverbiale di sempre ha tramandato: «Dio vede e provvede». P. Angelo Sardone.

La qualità della vita sacerdotale

Mattutino di speranza

8 giugno 2020

Luce, splendore e grazia sono doni che provengono dall’alto e sono frutto della contemplazione del mistero di Dio. In esso ci si immerge non tanto per capire quanto per lasciarsi andare ed amare. Dal mistero della santissima Trinità si apprende il gioco eterno dell’amore che è generosità nel dono, oblazione nel servizio, perseveranza nel cammino di santificazione. La vita cristiana acquista senso e vigore nella misura in cui ci si inebria e ci si lascia guidare da queste realtà che superano l’aspetto meramente conoscitivo: mentre si manifestano in estasi e abbandono fiducioso, devono tradursi in percorso di vita coerente, dove le azioni corrispondano a quanto si professa con le labbra. Questo vale per tutti, preti e laici, consacrati e fedeli comuni. Queste realtà rendono attiva la vita ed autentiche le operazioni perché fecondano di verità l’intimo del cuore e lo predispongono a qualunque azione di amore, l’amore “più grande” di cui parla Gesù nel discorso d’intimità nel Cenacolo prima della passione e morte (Gv 15,13). La luce che viene da Dio è verità, evidenza; è calore, è vita. Lo splendore che rifulge sul volto di Cristo è la rivelazione del Padre: abbaglia, e converte la cecità umana in apertura di mente e di cuore per accogliere il mistero e tradurlo in vita. La grazia è la vita stessa di Dio in noi: attraverso la ricerca sincera di Lui e, per noi cristiani, la pratica corretta e responsabile dei sacramenti, produce gli effetti della pace, della serenità e della vera felicità. Questi elementi, per volere del Signore, passano attraverso la mediazione della Chiesa, la vita ed il ministero dei sacerdoti, deputati al servizio esclusivo del popolo di Dio, come pastori vigilanti, vignaioli esperti, pescatori fiduciosi, padri e guide illuminate, a seconda delle diverse identità, capacità, relazioni, uffici e ministeri. Il tutto in dimensione assoluta di dono e senza alcun interesse se non il bene delle anime. Tutta la vita del sacerdote è un dono, in tutti i momenti della sua giornata ed in tutte le sue intenzioni e le azioni che compie, da quelle del rapporto intimo col Signore a quelle che interessano, coinvolgono e servono le persone. La sua formazione, la sua vita, i suoi interessi, la sua eredità, sono il popolo di Dio per il quale spende l’intera sua esistenza, tempo, capacità, talenti, lagrime. Quanto è importante che l’uomo di Dio sia accorto, maturo, «completo e ben preparato per ogni opera buona” (2Tim 3,17) che «eviti le chiacchiere vuote» (1 Tim 6, 20), che annunci «la Parola, insista al momento opportuno e non opportuno, ammonisca, rimproveri, esorti con ogni magnanimità e insegnamento, vigili attentamente, sopporti le sofferenze, compia la sua opera di annunciatore del Vangelo, adempia il suo ministero» (2 Tim 4,2-5). Quanto è importante che la sua vita risplenda della luce che gli viene da Dio nella contemplazione e nella celebrazione dei divini misteri. Che i suoi occhi rivelino la purezza del suo cuore, che le sue mani accarezzino senza trattenere, che il suo cuore doni consolazione, effonda amore a profusione e mantenga il necessario distacco che è segno di equilibrio, maturità e capacità di intervento efficace. Quanto è importante che sia un uomo di preghiera e che nella preghiera porti ogni giorno tutti quelli che Dio gli ha affidato, soprattutto le persone che costituiscono un mistero nella sua vita. Quanto è importante che, come dicevano i Santi, quando è con Dio parli a Lui della sua gente, e quando è con i fratelli ed i suoi figli parli loro di Dio! Quanto è indispensabile che insegni ad amare Dio e manifesti questo amore con i suoi pensieri, le sue azioni, la sua piena disponibilità. L’uomo di Dio può non emettere fascino, ma guai se non emette la grazia e non è trasparenza di Cristo! Non è strumento estetico che procura sensazioni passeggere e caduche; la sua bellezza non è quella fisica, ma interiore, legata al rigore della sua impostazione di vita spirituale e relazionale. La sua fortezza dà forza e certezza a chi lo ascolta, a chi, attraverso lui, vuole realmente amare e seguire Gesù. Il popolo di Dio ha occhio fino. I laici, qualunque età essi abbiano, devono comprendere meglio che la felicità caduca dovuta ai sensi, alle emozioni, alle facili sensazioni di benessere psicologico ed anche fisico, tante volte lasciano nel cuore e nel corpo delusione ed amarezza, perché sono prodotti stagionali collocati sul bancone della vendita anche giornaliera, dal furbo commerciante di parole allettanti e di sensazioni facilmente coinvolgenti. La gente seria e matura comprende che l’amore del sacerdote passa attraverso la sua passione e la sua morte. Tante volte, purtroppo ciò si capisce dopo, quando potrebbe essere anche troppo tardi. In questo percorso di vita, al limite del mio esodo quarantennale di sacerdozio, il Signore mi dia la grazia, come fu per Giosuè, di aprirmi alla prospettiva definitiva della sua terra promessa della quale, insieme con le erbe amare ed il deserto, ho già gustato abbondantemente il latte, il miele ed intravisto l’orizzonte terso ed infinito del Paradiso. P. Angelo Sardone

L’eucaristia frutto di amore

Mattutino di speranza Domenica 7 giugno 2020
L’amore vero passa attraverso il sacrificio, nutre ed esalta la vita. L’amore crea, genera, corregge, redime, dà gioia piena e vera. La vita dell’uomo sulla terra non è solo il corpo, è anche l’anima. Ciò che regge il perfetto equilibrio di questa realtà che il filosofo Aristotele chiamava “sinolo”, è il mistero di Dio da una parte e l’adesione umile, fiduciosa e responsabile della creatura, dall’altra. Nella grandezza del suo amore Dio crea; nell’infinita sua misericordia salva, nella cura perenne e nell’apprezzamento di quanto ha creato, santifica. Il mistero di Dio uno e trino che oltrepassa ogni conoscenza e sapienza umana è donato e può essere compreso nei termini dell’analogia nel linguaggio, nei segni, nelle operazioni, come dicevano gli antichi “partim eàndem, partim diversam”, in parti uguale, in parti diversa. In questo mistero si entra in punta di piedi, si china il capo e ci si mette in ginocchio. Si comincia a capire qualcosa quando ci si affida completamente e si giace nella straordinaria altezza di Dio che ci eleva dall’abisso del nostro niente. Nella preghiera, che è prima di ogni cosa un atteggiamento di vita, nell’ascolto della Parola di Dio, nella celebrazione dei sacramenti, in particolare la Santa Eucaristia, anche se si continua a brancolare nel buio del peccato e del limite umano, si trova la risposta vera ed il sostegno stabile. La domenica, giorno del Signore, nella celebrazione del mistero della fede, più di ogni altro giorno siamo immersi nel mare grande dell’amore di Dio: esso si manifesta e concretizza nella mensa col dono della Parola, l’incontro coi fratelli, il cibo eucaristico. L’Eucaristia è infatti luogo, modo ed essenza stessa della piena comunione con Gesù in un amplesso di amore nel quale siamo coinvolti, tanto è grande il mistero, quanto grande è il dono che viene dato del tutto gratuitamente. Quanto è importante che la partecipazione sia attenta, viva, coinvolgente, degna del prezioso cibo degli Angeli che nutre, purifica, santifica, orienta, derime ogni ombra dalla mente e dal cuore, smaschera gli inganni diabolici che serpeggiano e condizionano anche la vita spirituale. La retta intelligenza e la coscienza critica e matura, è come un raggio di sole che penetra anche attraverso la minima fessura di un dolore e di una ricerca continua e appagante di felicità. La luce fa vedere la realtà che non semplicemente a parole o nei desideri, ma nei “fatti e nella verità” forse deve essere curata, se occorre, anche con un intervento radicale senza l’anestesia fugace di un affetto o di una felicità passeggera. L’esempio dei Santi insegna. L’Eucaristia, poi, come la contemplazione e la preghiera di adorazione, immette nella vita spirituale una responsabilità non di poco conto, soprattutto quando la grazia sacramentale non viene assimilata da una retta coscienza, da un perseverante impegno nel bene e nell’avanzamento spirituale di cui è specchio pur nella miseria e nei condizionamenti umani. L’Imitazione di Cristo un noto testo di spiritualità che ha formato nei secoli milioni e milioni di seguaci di Cristo, fa riferimento a situazioni di leggerezza e gravi responsabilità di superficiale impegno nel rapporto col grande mistero eucaristico, pur motivati da desideri impellenti di certezza e risposte al bisogno di amore che abbraccia il corpo e l’anima. Richiamando situazioni di dissipazione morale, se non di autentico sacrilegio, il testo riporta un passaggio che fa venire i brividi e induce a riflettere: «Chi mangiava il pane degli angeli, l’ho poi visto compiacersi delle ghiande dei porci» (Libro 3,14). Che terribile denunzia! Dal momento che, come dice S. Bonifacio, noi sacerdoti non siamo “spettatori silenziosi, mercenari che fuggono il lupo, ma pastori solleciti e vigilanti sul gregge di Cristo, predicando i disegni di Dio ai grandi e ai piccoli, ai ricchi e ai poveri” mi permetto di sottolineare con delicatezza e fermezza insieme, questa grave incongruenza e questo pericolo che potrebbe serpeggiare e condizionare temerariamente la vita spirituale anche dei più pii, svuotandola dei doni di grazia e rendendo piatta l’esistenza che invece, per questa forza e per questa grazia, può essere un magnifico canto d’amore ed una perla che splende per il suo incommensurabile valore. P. Angelo Sardone

La responsabilità del sacerdote

Mattutino di speranza

6 giugno 2020

 

Il compito di pastore delle anime è bellissimo, ma gravido di responsabilità. Unisce infatti in maniera mirabile la dimensione esterna propriamente umana del servizio ecclesiale e sociale, della vicinanza affettiva e dell’alterità generosa, ad un affascinante mistero in cui è immersa la vita del sacerdote, dove si coniano le sue parole, si indirizzano le sue operazioni, viene messa a disposizione di tutti la sua sconvolgente identità di “alter Christus”, un altro Gesù Cristo. Il sacerdozio al quale senza mio merito Gesù mi ha chiamato, mentre da una parte è un grande onore che non mi sono attribuito ma mi è stato dato da Dio nella sua infinita bontà e misericordia, dall’altra, riserva una grande e grave responsabilità umana, spirituale e morale. La vita del sacerdote naviga nel grande mare di un mistero incomprensibile già a lui stesso, talmente è grande la dignità e ciò che ne consegue. La sua identità lo pone nel contesto di una creatura che viene da Dio stesso “riservata”, per essere dedita al servizio esclusivo di Dio e dei fratelli. Non si tratta di un mestiere, più o meno redditizio, ma della risposta ad una vocazione e missione che consegue ad un grande amore, una chiamata di speciale consacrazione che Dio rivolge ad alcuni uomini scelti di mezzo ad altri uomini e costituiti in favore degli uomini per tutto ciò che riguarda Dio (Eb 5). La Sacra Scrittura presenta l’emblematica e misteriosa figura di Melchisedek, sacerdote del Dio altissimo che offre pane e vino (Gen 14,18): a lui fanno riferimento Davide e l’autore della Lettera agli Ebrei. Il libro del Deuteronomio, poi, presenta il sacerdozio, proprio della tribù di Levi, e delinea la fisionomia del sacerdote: egli è staccato dall’eredità di Israele; vive dei sacrifici consumati per il Signore e della sua eredità, non ha alcuna eredità tra i fratelli perché il Signore è la sua eredità. In cambio a lui sono dovute le primizie del frumento, del mosto e dell’olio, perché è stato scelto per attendere al servizio del nome del Signore (Dt 18,1-5). Per quanto arcaiche possono sembrare queste indicazioni, sono intramontabili fondamenti ai quali ancora oggi si ispira l’identità del sacerdozio cattolico che fa riferimento a Gesù Cristo «divenuto sommo sacerdote per sempre secondo l’ordine di Melchìsedek» (Eb 6,20). Il sacerdozio è una grandiosa e nobile dignità che rende l’uomo “innocente della sua grandezza” come direbbe il celebre e brillante predicatore domenicano Henri-Dominique Lacordaire (1802-1861). La debolezza tipicamente umana viene assunta dalla potenza santificate di Cristo sommo ed eterno sacerdote che nel sacramento dell’ordine trasforma ontologicamente cioè nell’essere suo più profondo, un povero uomo, debole, peccatore anch’egli, generandolo come figlio, rendendolo suo ministro per sempre, dotandolo di doni e carismi particolari. Oltre il potere sacramentale di consacrare e perdonare, a lui è attribuito il sublime compito dell’accompagnamento, della guida spirituale e dell’esercizio della triplice funzione di Cristo: santificare, insegnare e reggere il popolo di Dio a lui affidato. Ciò vale sia per il sacerdote secolare che svolge il suo ministero nell’ambito di una diocesi in comunione ed obbedienza al proprio vescovo, che per il sacerdote religioso, come me, che fa riferimento ai legittimi superiori. La guida delle anime è quanto di più delicato ed avvincente si possa immaginare ed esprimere dal punto di vista umano e relazionale; qualunque forma di competenza accademica, esperienziale e culturale non è mai sufficiente dinanzi al mistero profondo del cuore e della vita di ogni essere umano creato ad immagine di Dio. Per me ogni persona è sacra. Mi tolgo i calzari quando mi accingo ad entrare con pudore riverenziale e gioia stupefacente nella vita di un altro, qualunque età abbia, uomo o donna che sia, consapevole che quella è terra sacra, inviolabile, che ha Dio per padrone ed agricoltore e me come lavoratore dalla prima all’ultima ora del giorno, che sfida la buona e la cattiva stagione e rinnova perennemente il suo contratto di amore e per amore in termini di dedizione incondizionata di tempo, affetto, competenza, senza nulla pretendere. Io posso solamente affacciarmi nella tua vita con delicatezza e rimanervi non per godere del suo possesso, ma nella gioia di donarmi e spendermi fino alla morte. Quante gioie si sperimentano in tutto questo, ma anche quanta sofferenza che al mondo sarà nascosta e potrà essere compresa da chi sta accanto senza chiedere ed entra nel mio cuore senza farsi accorgere, con lo stesso pudore, la stessa intuizione con la quale io mi sono affacciato e sono entrato nella sua vita. Tutto ciò che ne può venire, sarà la riconoscenza intelligente e generosa di chi avrà compreso che la sua esistenza può essere cambiata grazie alla disponibilità di qualcuno che non ha operato per merito suo, ma su dettato e precisa e misteriosa indicazione di Dio. Voglio continuare ad essere pastore amante delle pecore, fosse anche una sola, soprattutto quando questa vaga per valli impervie, per sentieri che allettano con una vegetazione bella da vedere e mangiare ma effimera ed amara e nascondono insidie e tranelli su una strada apparentemente facile e generatrice di una felicità senza tenuta di stabilità. E questo, ancor più quando la pecora riassume in se stessa categorie e preziosità straordinarie: è agnella timida ed indifesa, è esperta pecora madre, è grassa ed acciaccata per l’ingordigia e la delusione, è ferita e dolorante per ciò che le è capitato. La mia responsabilità è schiacciante, soprattutto quando vivo la solitudine, l’incomprensione, talora anche il rifiuto; ma la gioia del donare e donarmi è ancor più grande ed appagante. Ricordo i nomi, le storie, le vite delle mie pecorelle e dei miei agnelli. Sono intrecciate nella mia storia, nella mia vita. Le lagrime raccolte ed asciugate sono confuse con le mie talora note solo a Dio. Mi stanno a cuore soprattutto le pecore più deboli ed apparentemente insignificanti. Il Signore mi fa continuamente la sorpresa di mettermi accanto pecore ed agnelli straordinari anche nel loro mistero di vita: sono diventati per me padri e madri, figlie e figlie, fratelli e sorelle. Non chiedo nulla. Voglio solo dare. Se mi ripagano di un sorriso, di un ricordo orante, di una telefonata, di un “ti voglio bene”, sono felice e continuo a dire: “Grazie Signore di avermi fatto tuo sacerdote”, proprio come il 14 giugno1924 S. Annibale suggerì nell’orecchio, dopo la Comunione, ad uno dei suoi primi due sacerdoti rogazionisti, il giorno della sua ordinazione. Mille volte nascessi, mille volte continuerei ad essere sacerdote e a dare la mia vita per gli altri, sacerdos in aeternum! P. Angelo Sardone

Novena a S. Antonio di Padova /1 giorno

E’ cominciata oggi la Novena a S. Antonio di Padova, il santo taumaturgo protettore delle nostre opere che si dicono “antoniane”. redo noto uno schema singolare di Novena scritta da S. Annibale a partire dai termini che compongono il celebre Inno Antoniano “Si quaeris miracula”. P. Angelo Sardone.