Sabato santo

Sabato santo. Giorno della sosta, del silenzio e dell’attesa. Non si può comprendere il significato e la portata di questo giorno, fino a quando non si è sperimentata la morte di una persona cara e la veglia accanto ad un corpo esamine. Il grande silenzio si riempie di ricordi, di sentimenti, di rimpianti. Tornano alla mente parole, sensazioni, insegnamenti, ma tutto è fermo dinanzi al freddo di un corpo immobile, di una storia e di una vita che non ha ritorno. Per Gesù non fu così. Probabilmente i sentimenti di tutta la gente che lo amava e che lo aveva seguito sino alla fine, pur con paura, confusione e timore, nonostante fosse stata irrorata da una parola di verità più volte pronunziata dal Maestro, furono sopraffatti dall’incertezza e dalla poca fede che non faceva loro guardare oltre il grande masso di pietra rotolato all’imboccatura del sepolcro, perché nessuno lo violasse. Ma c’era chi in questo trambusto di pensieri andava covando non senza uno sconsiderato ardire, l’idea che in fondo tutto quello che era stato previsto dalla Scrittura e dai Profeti. Tutto ciò che il Messia aveva detto, si era sistematicamente realizzato. Con questo ardore ed un pizzico imprudenza si preparavano a recarsi al sepolcro. Erano le donne, quelle innamorate davvero di Gesù, coloro che avevano sperimentato in prima persona la ricchezza di un amore gratuito, senza compromessi, di assoluta misericordia. Nel silenzio e nella preghiera sostavano pensose e vivevano la «veglia del Signore» insieme con Maria, non sapendo che era lo stesso Gesù a vegliare su di loro «nel suo dormire della morte» (S. Cromazio). Silenzio. Vegliamo perché Cristo veglia su di noi e risveglia il bisogno di tornare a Lui con un cuore libero ed un animo purificato dalla grazia sacramentale della Penitenza. P. Angelo Sardone

Venerdì santo: la morte di Gesù

Venerdì santo. Giorno della morte di Gesù di Nazaret. Il criterio teologico ed evangelico dell’apostolo Giovanni colloca ed identifica nel venerdì santo la esaltazione di Cristo, facendola coincidere con la Pasqua ebraica. Sul Golgota con la morte in croce si compie il disegno del Padre: fare di Cristo il cuore del mondo. La solenne azione liturgica pur nella sobrietà e l’essenzialità dei segni, sostenuti dal vigore espressivo della Parola, si muove nel quadro drammatico del racconto e della celebrazione della Passione. Il Quarto Canto del Servo di Jahwé con toni acerbi che richiamano in forma cruenta l’identità di virgulto di radice in arida terra ed il mistero di torture psicologiche e fisiche inflitte al «servo», disprezzato, esperto del patire, conclude la presentazione di chi, umiliato, percosso da Dio si è addossato il peccato del mondo e con un sacrificio di riparazione, in pieno abbandono a Dio, è stato messo a morte. Gesù, il vero sommo sacerdote, col suo sacrificio causa il dono della misericordia e della grazia. Attraverso un assurdo ed ingiusto, processo sbattuto da una parte all’altra dalle autorità, sbeffeggiato dai soldati, tradito e rinnegato dai suoi, dopo uno straziante cammino con la croce, viene in essa confitto e dopo una lenta agonia muore. Nel suo nome ha senso ed efficacia la preghiera universale elevata al Padre e l’adorazione della croce che, mai, come in questo giorno, riverbera ed evoca la croce da cui ciascuno è afflitto: malattia, sofferenza, solitudine, delusione, povertà, guerra, morte. Non bastano e non servono più parole, anche quelle più auliche e confortanti, per descrivere il silenzio di tomba che però racchiude e nasconde gli albori della vita. P. Angelo Sardone

Giovedì santo

Giovedì santo, memoriale dell’Eucaristia e del Sacerdozio. Dall’abisso di un amore immenso, questi due sacramenti sono il «parto gemello del Cuore di Gesù» (S. Annibale M. Di Francia), la manifestazione più alta dell’interesse di Cristo per l’intera umanità. In questa maniera Egli ha voluto assicurare la sua presenza senza fine in mezzo agli uomini attraverso «la più grande di tutte le meraviglie, il documento mirabile del suo amore» (S. Tommaso d’Aquino), l’Eucaristia. E perché ciò potesse perpetuarsi nel tempo e nella storia, ha istituito il Sacerdozio, intimamente legato all’Eucaristia e ad essa riferito. Il memoriale di queste meraviglie operate dal Signore nel Cenacolo di Gerusalemme, si rinnova oggi in due momenti distinti e convergenti: la «Messa crismale» nella quale insieme con la benedizione degli olii, il vescovo si ritrova col suo presbiterio e rinnova l’impegno degli inviolabili vincoli sacerdotali che li uniscono a Dio ed al popolo loro affidato. In serata la «Messa della Cena del Signore» che rinnova i connotati essenziali dell’amore che passa attraverso la pedagogica umiliazione davanti agli apostoli col servizio della lavanda dei piedi ed il memoriale della Pasqua del Signore, che si rinnova perennemente nella Santa Eucaristia. È il giorno dei trionfi: l’Eucaristia donata, ricevuta in cibo, adorata nel corso della intera notte (e non il sepolcro), nel segno del pane transustanziato e la stola sacerdotale, segno dell’alto e misterioso ministero di amore e di oblazione affidato a poveri uomini trasformati ontologicamente per il servizio del popolo di Dio per tutto ciò che riguarda Dio. Noi sacerdoti siamo nati oggi. Se viene meno il sacerdozio, viene meno l’Eucaristia. Se non c’è l’Eucaristia non c’è la Chiesa. È tutta una conseguenza. Auguri a tutti i sacerdoti ed alla Chiesa che, come vera madre, ci ha generato. P. Angelo Sardone

Mercoledì santo

«Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6). In maniera  sapiente la Liturgia della Chiesa nella celebrazione eucaristica dei tre giorni che precedono il Triduo Pasquale, proclama e propone alla riflessione i Canti del Servo di Jahwé, sintesi mirabile poetica e teologica del mistero della sofferenza che Cristo si è addossato. La salvezza dell’uomo è costata il sacrificio cruento del Figlio di Dio che, assumendo la condizione umana l’ha redento dal peccato. Il prezzo pagato è stato quello dell’oblazione, dell’inaudita ed atroce sofferenza che non si è consumata solo sul Calvario, ma è cominciata con altrettanta intensità nell’Orto degli ulivi. Il Terzo Canto del Servo, anche nella sua brevità compositiva, condensa in forma fortemente espressiva la struggente passione espressa in termini realistici di coinvolgente efficacia emotiva. L’intento è propriamente didattico e sapienziale. L’orecchio attento di chi ascolta è l’atteggiamento intelligente e saggio di chi vuol essere davvero discepolo. Le varie parti del corpo enarrate nella cruenta descrizione dall’autore sacro, evidenziano come nessuna componente somatica del corpo di Gesù è stata risparmiata nell’inspiegabile eccesso di violenza e crudeltà umana contro, in fondo, un innocente riconosciuto tale sia da Pilato che dagli astanti nel pretorio e sotto la croce. La flagellazione, gli sputi, segno evidente di disprezzo, gli insulti generosi e gli sberleffi a Lui rivolti non piegano affatto il malcapitato che è sorretto da Dio ed al contrario, da Lui viene reso forte, duro come una pietra. La drammatica sequenza della passione deve far pensare seriamente come ogni azione dei carnefici, ad ogni livello e in qualunque epoca storica, nei confronti di chiunque, soprattutto inerme ed innocente, è quell’azione che purtroppo anche oggi continua ad affliggere ed a far male al martoriato Gesù. Nella nostra diocesi di Matera-Irsina viene anticipata al tardo pomeriggio di oggi la «Messa crismale» nella quale noi sacerdoti rinnoveremo le promesse sacerdotali. P. Angelo Sardone

Secondo Canto del Servo di Jahwé

«Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria» (Is 49,3). Il secondo Canto del Servo di Jahwé si collega e riprende il tema del primo. Si caratterizza particolarmente come esposizione della sua missione. La chiamata è situata all’origine del tempo; il nome identifica il suo ruolo di predicatore con una lingua simile ad una spada affilata e ad una freccia appuntita. Questi strumenti di morte evidenziano l’attualità e l’efficacia della sua Parola destinata non solo al popolo di Israele ma a tutte le genti, qui evocate dalle isole e dalle nazioni lontane. L’identità di servo viene affermata solennemente da Dio e fa parte integrante della sua missione salvifica: su di lui si manifesterà la gloria. Nell’accezione di S. Giovanni la gloria e l’esaltazione del Servo consistono nella crocifissione prima e poi nel trionfo della risurrezione. Questa dinamica di gloria passa anche attraverso l’insuccesso, l’inutilità della fatica ed il logorio delle forze, quasi la presa di coscienza di una fragilità umana che soccombe dinanzi alla prepotenza dei forti ed all’assurdità di una passione cruenta e di una morte infame. Il compimento di tutto sarà comunque la vittoria sul peccato e sulla morte, opera congiunta del Figlio obbediente e del Padre che con la sua onnipotenza onora grandemente il Figlio. Il passaggio dall’identità di servo a quello di luce è un connotato che S. Giovanni evidenzierà nel suo vangelo. Le prerogative messianiche di Cristo sono ben delineate nel Servo di Jahwé. Queste realtà si riflettono sul popolo credente, su ciascun cristiano, chiamato a condividere la gloria di Dio passando attraverso la passione di Cristo. P. Angelo Sardone

Primo Canto del “Servo di Jahwè”

«Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto in cui mi compiaccio» (Is 42,1). La settimana santa aperta dalla Domenica delle Palme, fa ripercorrere le ultime tappe della vita in terra di Gesù, nella liturgia, a partire dalla Parola di Dio. Essa esprime la grandezza del mistero incarnato nel Figlio di Dio. Il primo Canto del Servo di Jahwé presenta il protagonista delle azioni drammatiche e gloriose della passione, morte e risurrezione. Viene identificato come un profeta, oggetto della predilezione di Dio, latore di una missione salvifica e di una predestinazione divina. La prima predicazione cristiana, in maniera concorde ha riconosciuto in questo servo lo stesso Gesù Cristo, soprattutto quando Egli stesso ha applicato a sé i connotati specifici della sofferenza enunciati dal Deuteroisaia. Il servo eletto da Dio è sostenuto dallo Spirito proprio come i grandi re e profeti. Al battesimo di Gesù e nella trasfigurazione, nel corso della teofania, tornano i medesimi termini adoperati dal profeta e chiaramente applicati dalla voce del Padre al suo Figlio Gesù, l’amato. Mitezza e fermezza contraddistinguono il suo parlare ed agire. Preso per mano da Dio Egli apre gli occhi a tutti perché comprendano la grandezza dell’amore del Creatore che in Lui rivela ogni cosa. Nella sofferenza di Cristo, accolta e vissuta per amore delle creature, si trova tutta la pienezza dell’umanità, portata sull’altare della croce come offerta a Dio della fragilità e debolezza di ogni uomo, trasformate da Cristo in fortezza e stabilità. Anche per me, anche per te! P. Angelo Sardone