Sintesi liturgica XXIV domenica del Tempo ordinario

La durezza di cuore e di cervice ha allontanato il popolo di Israele dall’amore di Jahwé e dalla via da Lui indicata. Il vitello d’oro e l’adorazione a lui tributata con l’offerta dei sacrifici, sancisce in pieno la sua perversione. La supplica accorata di Mosè evita l’ardente ira di Dio e la soppressione dei fedifraghi. Le tre parabole della misericordia, straordinaria trasposizione teologica della tenerezza di Dio, proprie dell’evangelista Luca, con la pecora e la dramma ritrovate e, soprattutto, con il ritrovamento del figlio prodigo, attualizzano visibilmente l’amore di Dio come “hesed”, cioè perdono, amore di predilezione. Con la sua magnanimità, Dio dà fiducia anche ai bestemmiatori, ai persecutori ed ai violenti, perché agiscono per ignoranza, lontani dalla fede, facendo sovrabbondare in essi la grazia unitamente alla carità. Tutto ciò che è perduto, con la grazia di Dio può essere ritrovato; tutto ciò che è morto può tornare in vita. P. Angelo Sardone

La perniciosa ed illusoria idolatria

«State lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti» (1Cor 10,14). Il pericolo costante dei primi cristiani, a qualsiasi livello e condizione sociale, era quello di tornare indietro con i pensieri e le abitudini, a fronte di una situazione nuova determinata dall’accoglienza del Vangelo di Cristo, in netta contraddizione con gli usi e i costumi pagani. Ciò si determinava ancor più quando la conversione non era autentica ed il richiamo del passato diveniva più imperante. L’uso delle carni immolate agli idoli ed il ritorno all’idolatria erano state già considerate nel Concilio di Gerusalemme e tenute fuori con una risoluzione comunitaria frutto della riflessione comune e dell’apporto dello Spirito Santo. Prima di dettare sanzioni e ribadire concetti particolareggiati, S. Paolo propone una considerazione derivante dal cuore stesso del mistero cristiano: con l’Eucaristia si entra in contatto diretto di reale e profonda comunione con Cristo. Proprio in ragione di ciò bisogna evitare l’analoga comunione con gli idoli i quali, ponendosi in alternativa a Cristo, assumono la qualifica di demoni. La comprensione di queste realtà è frutto dell’accoglienza non solo generosa ma anche intelligente da parte dei cristiani di ogni tempo, dal momento che l’idolatria è sempre in agguato alla mente ed al cuore debole dell’uomo e talora é segno di ripiegamento o di ricerca compensatoria di bisogni. Il denaro, la carriera, la famiglia, l’appagamento dei sogni, gli affetti, se non sono gestiti in maniera equilibrata, distolgono la mente e gli interessi spirituali da un orientamento sensato ed efficace, producendo a volte solo confusione ed illusioni. P. Angelo Sardone

Il Vangelo sopra ogni cosa

«Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,23). L’evangelizzatore provetto non parla solo con la bocca o con lo scritto, parla soprattutto con la testimonianza della propria vita. L’esempio di S. Paolo nelle diverse comunità da lui fondate è significativo e trainante. Interamente votato al Vangelo, l’Apostolo, prese alla lettera l’ingiunzione di Cristo: «Andate in tutto il mondo e predicate!». Particolarmente a Corinto egli ha profuso a piene mani la sapienza evangelica, facendo ruotare tutto attorno alla necessità di predicare senza alcun vanto o ricompensa che non fosse solo il Vangelo. Alla maniera stessa di Gesù, la predicazione più efficace non consiste nella formulazione di concetti filosofici o sociologici, ma nella trasmissione di verità che sono via al cielo. Ciò comporta non solo l’adattamento alle situazioni, agli ambienti ed alle persone, ma soprattutto il coinvolgimento personale, facendo diventare la singola persona partecipe e parte integrante del messaggio annunziato. Questo determina una libertà da tutto e da tutti, per farsi servo di tutti onde amministrare e trasmettere un dono superiore alla portata singola di comprensione e, come in una corsa, dosare la forza dei muscoli ed orientare la volontà e l’impegno alla conquista del traguardo e della vittoria. I cristiani, proprio in forza dell’adesione a Cristo, il salvatore e messaggero del Padre, devono sempre più diventare araldi del Vangelo attraverso lo studio serio e profondo, lasciandosi coinvolgere dalla forza stessa del Vangelo che non è mai anacronistico ed impossibile. P. Angelo Sardone

Maria Bambina

«Era necessario che si costruisse la casa, prima che il Re scendesse ad abitarla» (S. Pier Damiani). Oggi la Chiesa celebra la festa della Natività di Maria. Già introdotta nel secolo VII da papa Sergio I, essa è legata alla natività di Gesù e costituisce come una sua preparazione. Nei testi biblici non c’è traccia alcuna di questo avvenimento. Ne parla solo uno scritto del II secolo, il cosiddetto Protovangelo di Giacomo, un apocrifo che non rientra tra i libri ispirati. Esso afferma che Maria nacque a Gerusalemme da Gioacchino ed Anna. In lei si concentra l’attenzione di Dio con il suo disegno di amore verso l’umanità, e si traduce in grembo e culla e casa per la nascita del Verbo incarnato. I Padri della Chiesa hanno scritto e parlato di questo avvenimento. Nella Tradizione popolare è diventata la Festa della Madonna Bambina ed è operante nella Chiesa una Congregazione di Suore dette di Maria Bambina. S. Annibale Maria Di Francia andava pazzo per Maria Bambina che amabilmente chiamava la “Bambinella”: era la poesia del suo cuore. Una delle foto classiche lo ritrae con Lei tra le braccia. In tutte le Case Rogazioniste per suo volere viene custodita, venerata ed esposta una statuetta di Maria Bambina nella culla e la festa è preparata con particolare devozione con la recita dello Stellario e la veglia. La Madonna volle premiare questa fede semplice e questo suo trasporto devoto apparendogli il 31 maggio 1927 nella stanzetta della Guardia, la località messinese nella quale il dì successivo il santo canonico morì. Tutt’oggi essa è meta di pellegrini e devoti che venerano la Madonna e contemplano sulle mura la bella immagine che ritrae la sua apparizione. P. Angelo Sardone

Matrimonio e verginità

«Se ti sposi non fai peccato; se la giovane prende marito, non fa peccato. Tuttavia costoro avranno tribolazioni nella loro vita» (1Cor 7,28). In risposta ai quesiti posti dai Corinti, S. Paolo affronta il problema del matrimonio e della verginità. In questa maniera detta alcune norme che compongono l’intero capitolo 7 della prima Lettera ai Corinti. Si tratta di due ideali sanciti dalla Rivelazione divina: il matrimonio monogamico e la verginità e consacrazione a Dio che fa protendere verso i beni del Signore. Il matrimonio viene permeato di spirito cristiano. Lo stato di verginità sembra essere prediletto dall’Apostolo che offre un consiglio come di persona che ha autorità: se sei legato ad una donna, non scioglierti; se non sei legato ad alcuna, non andare a cercarla. La necessità presente di cui si parla è il limite che la condizione matrimoniale pone alla dedizione senza limiti al Signore. Tuttavia non si fa peccato a sposarsi, tutt’altro. Le tribolazioni sono costituite dalle tensioni che spesso sono grandi e dolorose anche nel matrimonio, quando si è immersi nelle contingenze giornaliere della vita e talora si deve lottare per affermare le istanze proprie del Vangelo. Non vi è obbligo di scegliere il celibato: si tratta di un consiglio. Il carisma della verginità è diverso dal carisma del matrimonio. Entrambi sono doni di Dio e si esprimono come vera e propria vocazione. Entrambi hanno la loro importanza ed il loro peso; per entrambi si richiede una particolare assistenza dello Spirito. Il matrimonio adempie il volere divino della generazione della vita e della comunione di mente, cuore e corpo tra un uomo ed una donna. La scelta del celibato per il Regno dei cieli è già la manifestazione del “non ancora”.  P. Angelo Sardone

I vizi che pregiudicano l’ingresso nel Regno

«Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6,10). Affrontando questioni pratiche di gestione della vita e dei rapporti comunitari, S. Paolo fa riferimento con stupore ad alcuni comportamenti dei cristiani che risultano assurdi: si rivolgono a tribunali pagani quando invece dovrebbero risolvere le loro questioni dinanzi ai propri tribunali riconosciuti dall’autorità romana. E’ necessario che ci sia qualcuno che faccia da intermediario e conciliatore. La conclusione poi è una affermazione netta e dura che toglie qualsiasi possibilità di facile illusione: le orecchie, anche quelle dei cristiani di oggi, potrebbero rifiutarla. Ci si trova dinanzi ai primi tentativi di elaborazione di una morale cristiana. Essa comprende 10 categorie di peccati che escludono dal Regno di Dio, perché sono incompatibili con l’essere cristiano e portano alla rovina eterna. Tali vizi (immoralità, idolatria, adulterio, depravazione, sodomia, furto, avarizia, ebrezza, calunnia, rapina) provengono dai cataloghi appartenenti già all’ambiente greco e romano e sono espressione dei criteri fondamentali della morale universale. Qualunque aggiunta è superflua. Il concetto è chiaro ed inconfutabile. Non si tratta di assurdità o di concezioni di tardo medioevo, ma di elementi antichi quanto l’uomo, che compromettono anche in contesti sociali comuni e pregni di diritti civili, l’identità dell’uomo e la sacralità della sua natura, violata da simili aberranti peccati. Non ritenere esagerato tutto questo e non respingere. Rifletti invece con profondità su queste scomode verità. P. Angelo Sardone

L’immoralità a Corinto

«Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani» (1Cor 5, 1). La città di Corinto non certo brillava per moralità. In essa c’era una confluenza notevole di culture diverse con correnti di pensiero e di religione molto differenti e rilassamento di costumi che la rendeva tristemente famosa nel mondo antico. Nelle due lettere che S. Paolo scrive alla comunità cristiana ivi residente affronta e cerca di risolvere diversi delicati problemi soprattutto di carattere morale. Tipico rimane quello gravissimo dell’incesto, determinato dalla vita more uxorio tra un uomo e la moglie di suo padre, la matrigna. Questa unione che era proibita sia dal Libro del Levitico che dal diritto romano, era però tollerata dai rabbini presso i pagani che si convertivano, fino al punto che proprio a Corinto i neofiti si gonfiavano di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, ed incapaci di escludere dalla comunità il reo di questo scempio immorale. L’apostolo interviene duramente perché il colpevole sia tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità e dato in balìa di Satana, cioè privato del sostegno della Comunità e quindi esposto al potere demoniaco. C’era da sperare il pentimento in vista della salvezza finale. Il lievito vecchio fatto di malizia e perversità, deve cedere il posto alla pasta fresca confezionata col lievito nuovo della sincerità e verità. Il modo di pensare odierno, frutto di un ossessivo progressismo, ormai non fa più caso a tutto questo, dal momento che sono stati scalzati i valori più naturali che richiedono rispetto per la dignità umana e la sacralità del corpo e delle azioni, nelle relazioni affettive e matrimoniali. P. Angelo Sardone