L’umile e grande riformatore del Carmelo

«Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!» (Is 45,24). Nel cammino liturgico dell’Avvento il profeta Isaia è conduttore e guida. Attraverso gli oracoli da lui riportati nel libro che da lui prende nome, nella prima e seconda parte, viene delineato un percorso di riflessione che porta all’accoglienza del mistero di Cristo il Messia. Nella polemica contro gli dei pagani è risoluta la conclusione: solamente nel Signore ci sono la giustizia e la potenza. Di esse fu grandemente innamorato uno dei Santi Carmelitani più celebri per la vita e la sua opera, il mistico S. Giovanni della Croce (1540-1591). Entrato nel Carmelo fu ordinato sacerdote a 27 anni e coinvolto nell’opera riformatrice da Teresa di Avila, alla quale si deve la riforma radicale del Carmelo con l’avvio dei cosiddetti «Carmelitani Scalzi». Conquistato dalle profonde indicazioni della grande Teresa ed anch’egli mistico, percorse uno straordinario itinerario di santificazione avvalorato anche dalla grande sofferenza di una ingiusta condanna e dal carcere subito per nove mesi, per essere stato giudicato frate ribelle e disobbediente. Proprio durante questa cattività ebbe l’ispirazione a comporre la maggior parte delle sue opere di spiritualità, (il Cantico Spirituale, la Salita al Monte Carmelo, la Notte Oscura), frutto della sua esperienza ascetica e mistica, che lo hanno reso uno dei più grandi e citati dottori della Chiesa. S. Annibale M. Di Francia aveva una grande devozione nei suoi confronti: aveva letto le sue opere e spesso le citava, ispirandosi al suo cammino di santità, fino ad imporsi il nome di Fra Giovanni Maria della Croce il 30 agosto 1889 a Napoli, quando divenne terziario carmelitano, professando la Regola Carmelitana. P. Angelo Sardone

Santa Lucia, la martire protettrice della vista

«Beata la vergine che ha imitato il Signore, sposo delle vergini e principe dei martiri» (Antifona d’ingresso). La liturgia celebra oggi S. Lucia, vergine e martire del III sec., una delle sante più note al mondo, il cui culto è diffuso universalmente ed è menzionata con altre 6 donne nel Canone Romano. Il suo nome evoca la luce. La tradizione l’accosta all’altra grande martire siciliana Agata per via del miracolo da lei operato nei confronti della madre Eutichia. Interessanti note biografiche sono riscontrabili nella «Passio», un testo che racconta la sua passione e la sua morte. Ricca e di rara bellezza, si consacrò a Dio in maniera segreta col voto di perpetua verginità, pur essendo stata promessa sposa. Il pretendente si vendicò accusandola e traducendola davanti al tribunale romano che le commise enormi supplizi tra cui la pena del postrìbolo (luogo infame per prostitute), il fuoco ed infine la decapitazione. Il culto di S. Lucia si diffuse a partire dal Medioevo, particolarmente come patrona degli occhi, raffigurata con in mano un piattino sul quale sono riposti i suoi occhi. Probabilmente tutto questo è derivato dal suo stesso nome che richiama la luce. I Santi contemplano Dio, sono stimolo in tutti i tempi a raggiungere la statura di Cristo si dimostrano amici ed intercessori accompagnando il cammino dei cristiani con la preghiera e il patrocinio per ottenere specifiche grazie, come per S. Lucia, per conservare la vista non solo degli occhi, ma soprattutto quella del cuore e della fede. Auguri a tutte coloro che portano il nome di Lucia, perché siano davvero testimoni e diffusori della luce di Gesù Cristo. P. Angelo Sardone

La stella dell’Emmanuele

«Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24,17).
Sono frequenti e poetiche le immagini di cui la Liturgia si serve, sulla base della Sacra Scrittura, per evidenziare l’importanza del tempo di Avvento, non solo come rievocazione del passato e della prima venuta nella carne di Gesù, il Salvatore, ma anche e soprattutto come «kairos», cioè tempo favorevole e di salvezza attuale. Deve essere somma l’attenzione da prestare all’ascolto ed alla lettura della simbologia biblica e liturgica. Uno degli elementi simbolici che caratterizzano il Natale e permettono una rilettura messianica, è la stella di cui fa menzione il Vangelo di Matteo. Ancora prima di lui ne parla il vaticinio del veggente Balaam, il quale nonostante sia definito «maestro di falsa dottrina» (2Pt 2,16), pronunzia oracoli di benedizione per Israele. La stella è l’assoluto in altezza al di sotto del trono di Jawhè ed il colmo dell’ambizione umana. Al di là della stella in quanto astro lucente, secondo gli esegeti, in particolare il card. Ravasi, la traduzione antica del frammento ebraico in lingua aramaica è: «Un re spunta da Giacobbe». La stella è dunque il re Messia che verrà e che l’Apocalisse definisce «stella radiosa del mattino» (Apc 22,16). Quanto è importante e formativa una lettura approfondita e non superficiale delle pagine bibliche per comprendere al meglio ciò che celebriamo ed il corredo apposto all’evento! La stella è dunque non solo l’astro che emette luce ed indica il cammino nella strada buia, ma anche e soprattutto Gesù Cristo che con la sua luce riscalda ed indica la via anche in pieno giorno. P. Angelo Sardone

Le cose passate e le cose nuove

«Se tu avessi prestato attenzione ai miei comandi!» (Is 48,18). La storia del popolo d’Israele, incredulo e tante volte ribelle, contiene ripetuti appelli del Signore al pentimento ed alla conversione che la letteratura biblica chiama «cose passate». Ora con un ennesimo oracolo il Signore annunzia «cose nuove», cioè la liberazione che sta per compiere e che darà onore al suo nome. Nonostante il cuore indurito e la dura cervice degli Ebrei, Dio non ha rigettato il suo popolo; più volte lo ha indotto a guardare indietro e ad osservare i comandi già ricevuti, considerando come il suo destino sarebbe stato molto diverso che avesse prestato attenzione e dato ascolto a quanto comunicato non in segreto, ma apertamente soprattutto attraverso i profeti. Infine l’affermazione perentoria di Dio: «Io ti insegno per il tuo bene e ti guido sulla strada giusta». L’ascolto della sua Parola e l’attenzione a tradurla nella pratica porterà tanto benessere materiale ed una progenie incalcolabile come la sabbia. La parola di speranza tipica dell’Avvento diviene chiara e luminosa constatazione della bontà di Dio che non si stanca mai e dell’indolenza propria dell’uomo che facilmente dimentica quanto ha ricevuto preferendo nascondersi dietro l’illusione momentanea e l’allettamento delle chimere e delle evanescenti meteore per vivere alla giornata e godere del tutto e subito. I cristiani sembrano non essere da meno dell’antico popolo di Israele, soprattutto quando non dimostrano un’ossatura adeguata di cuore e di vita ed hanno gli occhi tarpati che non consentono loro di vedere né indietro per rendersi conto di quanto di buono hanno ricevuto, né tanto meno in avanti per carpire i doni provvidenziali che Dio loro riserva. P. Angelo Sardone

Solennità dell’Immacolata

«Porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Oggi si celebra la Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria. Sin dalle prime pagine della Scrittura, a seguito del peccato originale da parte di Adamo ed Eva, nella sua bontà misericordiosa Dio dispone la salvezza attraverso suo Figlio Gesù che nascerà da una donna. Ciò si definisce «protoevangelo», cioè primo annunzio del Vangelo. L’immagine biblica evoca l’eterna lotta che da allora in poi ci sarà tra Satana e la nuova Eva, la Vergine Maria che schiaccerà la testa al serpente, cioè il demonio. L’iconografia più comune dell’Immacolata rappresenta Maria di Nazaret proprio nell’atto di schiacciare la testa. Solo una donna resa da Dio Immacolata, cioè senza macchia alcuna di peccato sin dall’atto del suo concepimento in vista del Figlio, la «piena di grazia» (Lc 1,28), poteva generare l’autore della vita. Il singolare ed unico privilegio riservato alla più grande e bella creatura umana, che si tramuta in grande dono per l’intera umanità, scaturito dal primato assoluto di Cristo, fu difeso dal francescano il beato Giovanni Duns Scoto all’inizio del 1307. La Chiesa, con il beato Pio IX dopo secoli interi di acclarata venerazione per Maria sotto il titolo di Immacolata, l’8 dicembre 1854 con la bolla Ineffabilis Deus proclamò verità rivelata dall’alto e proposta a credere, il dogma dell’Immacolata Concezione. La conferma della veridicità di questa solenne affermazione venne dall’Alto quattro anni dopo a Lourdes, quando a Bernardetta Soubirous, adolescente assolutamente ignara della grandiosità dell’affermazione pontificia la Vergine dichiarò: «Io sono l’Immacolata Concezione». Auguri a tutte coloro che portano il bellissimo nome di Concetta e Immacolata. P. Angelo Sardone

S. Ambrogio, una grandezza incomparabile

«Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31). L’annuncio della liberazione evocato dall’inizio del Libro della Consolazione del secondo Isaia ben si accorda col periodo liturgico che, mentre esalta la grandezza divina, invita a guardare in alto per considerare l’Autore di ogni cosa che dà forza a chi è stanco e moltiplica il vigore a chi è spossato. In questa luce si delinea la testimonianza di santità e la valenza storica e teologica di S. Ambrogio di Treviri (340-397), dottore della Chiesa e vescovo di Milano, una delle personalità ecclesiali più grandi di tutti i tempi. Era governatore della Lombardia quando nel pubblico consesso che stava decidendo l’elezione del successore del vescovo milanese morto da poco, la voce di un bambino misteriosamente fece riecheggiare il suo nome e fu proprio lui a diventare vescovo della metropoli. La tabella di marcia della sua giornata era contrassegnata dalla disponibilità alla gente, dallo studio, la preghiera, dalla predicazione e dagli scritti, godendo la stima e l’amore di tutti, soprattutto i poveri. Ne rimasero conquistati anche Agostino di Ippona e sua madre Monica. «Teologo raffinato e cantore inesausto di Maria» (S. Giovanni Paolo II), difese la purezza della dottrina cristiana ed il primato del vescovo di Roma. Si deve a lui l’adagio: «Ubi Petrus, ibi Ecclesia», Dove c’è Pietro, lì c’è la Chiesa. Alla sua opera teologica viene fatto risalire il rito ambrosiano nella liturgia dell’arcidiocesi di Milano. La sua figura e l’eccelsa sua personalità, testimonia e dimostra la grandezza vera dell’intelligenza e del sapere cristiano messi a disposizione della causa dell’evangelizzazione. P. Angelo Sardone

San Nicola di Bari, ponte di santità e carità

«Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11). Il giornaliero accompagnamento liturgico del libro del profeta Isaia spazia dalla prima parte propriamente messianica ed in sintonia col periodo dell’Avvento, con la seconda che richiama la consolazione e la speranza. In particolare viene richiamata l’identità di Jahwé come pastore che pascola e raduna il suo gregge con una tenerezza straordinaria espressa dalle immagini del petto sul quale si riposano gli agnelli e dalla conduzione delle pecore madri. Non fu da meno la vita ed il ministero di uno dei santi più noti e venerati al mondo, S. Nicola di Bari (250-325) vescovo di Mira, nell’odierna Turchia, le cui reliquie trafugate nel 1087 e condotte a Bari, diedero origine non solo ad una bellissima ed imponente basilica, ma anche all’identità del Santo come ponte fra l’Oriente e l‘Occidente. Membro nel Concilio di Nicea e fermo nella condanna del prete scismatico Ario, è passato alla storia per l’esercizio straordinario della carità, già prima ancora di diventare vescovo. La Tradizione riferisce della sua generosità fornendo la dote a due ragazze che non potevano sposarsi e rischiavano di prostituirsi. Le tre palle con le quali è raffigurato nell’iconografia comune, richiamano tre sacchetti di denaro che il Santo aveva donato alle fanciulle per realizzare il loro sogno. Come anche la riserva di grano fatta concedere in soccorso ai suoi concittadini in tempo di carestia, la salvezza fatta accordare a tre innocenti destinati alla decapitazione e la riduzione delle tasse per gli abitanti di Mira. Sembra tutta storia d’oggi: la presenza e potenza taumaturgica del Santo continua nei confronti dei tantissimi sui devoti. Tanti portano il suo nome che significa «vincitore del popolo». A tutti loro, vivissimi auguri. P. Angelo Sardone

Mani fiacche e ginocchia vacillanti

888. «Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna;

porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11). Il giornaliero accompagnamento liturgico del libro del profeta Isaia spazia dalla prima parte propriamente messianica ed in sintonia col periodo dell’Avvento, con la seconda che richiama la consolazione e la speranza. In particolare viene richiamata l’identità di Jawhè come pastore che pascola e raduna il suo gregge con una tenerezza straordinaria espressa dalle immagini del petto sul quale si riposano gli agnelli e la conduzione delle pecore madri. Non fu da meno la vita ed il ministero di uno dei santi più noti e venerati al mondo, S. Nicola di Bari (250-325) vescovo di Mira, nell’odierna Turchia, le cui reliquie trafugate nel 1087 e condotte a Bari, diedero origine non solo ad una bellissima ed imponente basilica, ma anche all’identità del Santo come ponte fra l’Oriente e l‘Occidente. Membro nel Concilio di Nicea e fermo nella condanna del prete scismatico Ario, è passato alla storia per l’esercizio straordinario della carità, già prima ancora di diventare vescovo. La Tradizione riferisce della sua generosità fornendo la dote a due ragazze che non potevano sposarsi e rischiavano di prostituirsi. Le tre palle con le quali è raffigurato nell’iconografia comune, richiamano tre sacchetti di denaro che il Santo aveva donato alle fanciulle per realizzare il loro sogno. Come anche la riserva di grano fatta concedere in soccorso ai suoi concittadini in tempo di carestia, la salvezza fatta accordare a tre innocenti destinati alla decapitazione e la riduzione delle tasse per gli abitanti di Mira. Sembra tutta storia d’oggi: la presenza e potenza taumaturgica del Santo continua nei confronti dei tantissimi sui devoti. Tanti portano il suo nome che significa «vincitore del popolo». A tutti loro, vivissimi auguri. P. Angelo Sardone

Il germoglio di Davide

«Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore» (Is 11,1). Il grande Isaia proclama un poema messianico, delineando in maniera esauriente i connotati del discendente di Davide in un testo classico dell’Avvento. Partendo da Iesse, padre di Davide, capostipite della dinastia dei re, con un linguaggio simbolico, viene innanzitutto precisata l’origine umana del Messia, il tronco e le sue radici cui fanno riferimento il germoglio ed il virgulto. La maestosità dell’immagine evoca la storia sacra che nel popolo di Israele prese una nuova piega proprio con la dinastia davidica. Non per nulla Gesù nascerà a Betlemme, la città di Iesse, e Giuseppe, proveniente dalla sua discendenza, sarà il padre legale. Il Messia è dotato di uno spirito settiforme, lo stesso che guidò i patriarchi e dominò i profeti. Le sue caratteristiche sono la sapienza e l’intelligenza, il consiglio e la fortezza, la conoscenza ed il timore del Signore. Lo stesso Spirito gli conferirà le virtù più grandi dei suoi antenati esemplificate nell’elenco delle caratteristiche messianiche. Nella tradizione della Chiesa, che vi ha aggiunto la pietà, queste caratteristiche sono diventate i doni dello Spirito Santo conferiti al cristiano nel Battesimo ed in pienezza nel sacramento della Confermazione. Lo Spirito deve diventare dominante nella vita di ogni cristiano, messo fuori dall’ombra della non conoscenza e della dimenticanza, perché, come dono che scende dall’alto e procede dal Padre e dal Figlio, dirige la vita e la orienta al bene ed alla piena realizzazione. Nel mistero del Natale questa verità è evidenziata e dimostrata proprio da Gesù che da germoglio e virgulto diventerà tronco ed albero di vita, fino al mistero della croce. P. Angelo Sardone