Giovedì santo: Eucaristia e sacerdozio

«Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione lo celebrerete come un rito perenne» (Es 12,14). La celebrazione della Messa vespertina «In Coena Domini» del giovedì santo, segna la conclusione del cammino della Quaresima e l’inizio del Triduo pasquale, culmine dell’Anno liturgico; è detto anche «triduo del crocifisso, del sepolto e del risorto» che celebra i grandi misteri della Redenzione. La liturgia è ricca di segni ed evocazioni. La lavanda dei piedi richiama il gesto umile e pedagogico di Gesù nel prostrarsi dinanzi alla condizione umana carica di peccato e nello stesso tempo esalta la dimensione dell’amore più grande che anticipa il dono totale di sé sulla croce. Esso, secondo la teologia giovannea, emula l’Eucaristia. Nella celebrazione si ricorda il duplice dono dell’Eucaristia e del Sacerdozio, «parto gemello del Cuore di Gesù»: in esso «la carità nel suo più grande trasporto produsse il primo; la carità nel suo fervente zelo produsse il secondo. Sono e saranno inseparabili l’uno dall’altro. Non si può concepire l’Eucaristia senza il Sacerdozio; non vi è reale Sacerdozio senza l’Eucaristia» (S. Annibale Di Francia). La reposizione austera e solenne della santa Eucaristia, contrariamente a quanto a volte nel gergo popolare si afferma, non è il «sepolcro» ma la conservazione del Corpo del Signore in un tabernacolo chiuso, per la comunione dei fedeli nell’Azione liturgica del Venerdì Santo, il Viatico degli infermi, e l’adorazione silenziosa e prolungata, in alcune parti anche tutta la notte, del mirabile Sacramento istituito in questo giorno. È anche il giorno natale del sacerdozio ministeriale del quale, senza alcun mio merito, da 43 anni sono investito. L’Eucaristia è il cuore e il centro vitale del mio ministero presbiterale, suo principio, mezzo e fine. Proprio nella celebrazione eucaristica e a partire da essa, io posso manifestare in modo più evidente la mia identità di sacerdote, consacrato alla preghiera ed azione per le vocazioni. Grazie della tua vicinanza e della preghiera che sono certo non mancherà. P. Angelo Sardone

Domenica delle Palme

«Seguiamo il Signore facendo memoria del suo ingresso salvifico, partecipi del mistero della croce per aver parte alla risurrezione» (Monizione liturgica). Con la benedizione delle palme e la processione che fa memoria del solenne e trionfale ingresso di Gesù a Gerusalemme, comincia la Settimana Santa. In essa la Chiesa celebra i misteri della salvezza che sono portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso come Messia. La Domenica delle Palme o «della Passione del Signore» unisce il trionfo di Cristo e l’annuncio della prossima Passione. In un clima di grande festa si ricorda l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, luogo della sua passione. Il segno delle palme o dei rami di ulivo benedetti e le acclamazioni gioiose come i bambini ebrei, colora di luce la festa che prepara il triduo pasquale e la commemorazione della Pasqua. Il corredo liturgico della Parola è di grande e profonda evocazione del mistero del servo di Jahwé assistito dal Signore, che, senza opporre resistenza, si presenta mansueto ai flagellatori che lo insultano, gli strappano la barba e lo coprono di sputi. Umiliato ed esaltato, ricuce i rapporti dell’uomo con Dio. Nel drammatico racconto della sua passione viene delineata la storia di un amore che si ricompone attraverso il sacrificio dell’uomo Dio. Oggi è importante partecipare al rito liturgico ed alla processione onde ricevere il ramoscello di ulivo che non deve essere considerato un amuleto o solo il segno della pace e degli auguri, ma testimoniare la propria fede in Cristo, il re-messia che sta per compiere la vittoria pasquale sul male e sulla morte. P. Angelo Sardone

Le ossa aride

«Farò con loro un’alleanza di pace; sarà un’alleanza eterna con loro» (Ez 37,26). La ripresa della vita umana, simboleggiata nella valle delle ossa aride dal ripristino del corpo con la composizione armonica di nervi, muscoli, carne ed ossa in una visione terrificante a contorni scenografici stupefacenti, si delinea ulteriormente con la Parola rassicurante di Dio. Attraverso il profeta Ezechiele, il Dio dei Padri rassicura il suo popolo che tutto rinascerà e risorgerà. Tutto ciò che è arido riprenderà vita. Il richiamo ai Patriarchi ed al grande re Davide come re per sempre ripristina in forma nuova, dialogica ed efficace, l’alleanza stipulata con Abramo. Analogamente a quanto aveva profetato Geremia, essa sarà una alleanza di pace, e soprattutto sarà eterna. Troverà in Gesù Cristo l’anello definitivo che col la sua morte e risurrezione, stabilirà i termini nuovi di una appartenenza del popolo a Dio e di una presenza perenne di Dio in mezzo al suo popolo per beneficarlo, guidarlo, sostenerlo e salvarlo. Le conseguenze saranno a tutto vantaggio di Israele: stabilità, progresso, proliferazione, sicurezza e pace. Ancora una volta sono evidenziati i connotati originari con i quali già con Abramo Dio aveva stipulato la sua alleanza. Oggi e sempre gli uomini e le donne che con la fede aderiscono al Dio unico e vero, sono destinati alla pace, alla conduzione di una vita nuova dominata dalla presenza di Dio. Sembrano concetti di altri tempi e forse molto alti per la comprensione logica ed umana. Sono invece realtà che aiutano ad avvicinare in maniera efficace al mistero della Settimana Santa e alla ricchezza dei suoi segni. P. Angelo Sardone

La libertà dai malfattori

«Il Signore ha liberato la vita del povero dalle mani dei malfattori» (Ger 20,13). Spesso nel Vecchio Testamento alcune immagini, segni e persone sono prospettiche. In chiave di lettura particolare tanti elementi possono essere visti in riferimento a Gesù. La vicenda umana del profeta Geremia si accosta tanto anche alla passione di Cristo evidenziando tratti significativi proposti da Dio a modello ed insegnamento. Sono note le cosiddette «confessioni» del profeta, con le quali egli proclama la vittoria di Jahwé sulle sue paure ed i suoi dolori ed ammette di essere stato letteralmente sedotto dalla profondità e dalla consistenza del suo amore. Le vicissitudini dolorose della sua vita sono determinate dal vigoroso e talora scostante messaggio di cui è portatore. La gente lo schiva perché non solo parla con chiarezza, ma annunzia solo sventure. La verità è che in quel tempo ed in quella situazione particolare di tristezza di un popolo che si stava allontanando da Dio, le parole avevano il loro peso di evidenza e lo rendevano inviso a chi invece voleva sentirsi dire parole melliflue. Tuttavia l’intervento di Dio è sempre efficace: libera la vita di chi è povero e vittima dei soprusi e dei giudizi della gente e dei malfattori e dona quel conforto indispensabile per continuare ad andare avanti. Gesù ha condensato nella sua passione le sofferenze e le vicende del mondo intero portando sulle sue spalle i dolori di coloro che sono vittime di calunnie, soprusi e vivono ogni giorno la loro via crucis sotto il peso di una croce che diventa sempre più grave. La libertà interiore, anche in mezzo a tante difficoltà, fa crescere la forza di sopportare e di andare avanti. P. Angelo Sardone

I figli di Abramo

«Ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti renderò» (Gn 17,5). La storia del grande patriarca Abramo avviata con la sua risposta alla chiamata di Dio, si colora gradualmente di elementi che evidenziano sempre più l’amore di Dio per l’uomo ed il suo riscontro fiducioso e fedele alla alleanza stipulata. Il cambio del nome di una persona, spesso riportato nella Sacra Scrittura, indica la sua nuova identità che si realizza in una missione ben precisa. Nel caso di Abram, si passa etimologicamente dal significato originario di «alto padre», ad Abraham, cioè «padre di una moltitudine». Dio stipulò con Abramo il suo patto nel segno della circoncisione. La conferma biblica si ha anche in una celebre citazione di S. Paolo che afferma che coloro che appartengono a Cristo sono discendenza di Abramo ed eredi della promessa (Gal 3,29). La moltitudine di nazioni discendenti da Abramo è testimoniata sia da Ismaele, il figlio nato da Agar, la schiava egiziana di Sara, che dai sei figli generati da Keturà, donna che Abramo aveva sposato dopo la morte di Sara, e che diventeranno precursori delle tribù arabe. Il Signore gli aveva preannunziato una grande fecondità a patto della sua fedeltà all’alleanza, promettendo a lui ed alla sua progenie il possesso eterno della terra di Canaan. Per questo le grandi religioni, l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam sono comunemente dette «religioni abramitiche», perché hanno tutte la comune discendenza da Abramo. Essere stirpe di Abramo, secondo la concezione paolina comporta l’obbedienza a realizzare la conversione in vista del giudizio del mondo che avverrà secondo giustizia (At 17,9). P. Angelo Sardone

I tre giovani nella fornace

«Benedetto il Dio di Sadrach, Mesach e Abdènego, il quale ha mandato il suo angelo e ha liberato i servi che hanno confidato in lui» (Dn 3,95). Alla disfatta di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor, seguì la deportazione degli Ebrei in Babilonia. Volendo circondarsi di persone eminenti per cultura, bellezza e sapienza, il re ordinò che gli fossero condotti uomini validi, provenienti dal popolo giudeo per introdurli alla cultura ed alla lingua dei Caldei. Furono ammessi alla sua corte quattro giovani, Daniele, Anania, Misaele ed Azaria cui furono cambiati i nomi in Balthasar, Sadrach, Mesach e Abdenego ed introdotti alla cultura caldea. Fu inoltre ingiunto di trattarli con tutti i riguardi soprattutto a tavola. Essi rifiutarono queste attenzioni preferendo continuare a cibarsi di legumi ed evitare carni grasse e proibite. A Daniele poi fu riconosciuta una sorprendente capacità di interpretare i sogni ed i segni. Essendosi opposti all’adorazione di una statua di oro fatta coniare dal re, i tre, eccetto Daniele, furono gettati in una fornace ardente. L’intervento prodigioso del Dio dei Giudei li salvò nonostante fossero state aumentate le scorte di legname e bitume per rendere più avvolgenti le fiamme. I tre giovani non morirono, anzi un Angelo fu visto passeggiare con loro tra le fiamme. Dinanzi a questo prodigio strepitoso lo stesso Nabucodonosor rimase perplesso e si lasciò andare in espressioni di grande fede riconoscendo la grandezza di potere del Dio di Israele. Tante volte occorrono cose sorprendenti per indurre anche i più duri a ragionare e rendersi conto, soprattutto nei confronti di Dio, che c’è sempre qualcuno sorprendente che opera cose strepitose ed inconciliabili con tutto ciò che può essere naturale. P. Angelo Sardone

Il trionfo della verità

«O uomo invecchiato nel male! Ecco, i tuoi peccati commessi in passato vengono alla luce. La tua menzogna ti ricadrà sulla testa» (Dn 13,52-55). La Quaresima è un cammino pedagogico. Alla scuola della Parola e della Liturgia con esempi e testimonianze provenienti dal passato ci si prepara alla celebrazione del mistero della Pasqua. La Parola di Dio si stacca dall’evento cronachistico e propone, sulla base di elementi storici o didattico-sapienziali, criteri di lettura delle situazioni della vita ed insegnamenti opportuni per rendere l’esistenza umana e cristiana più consapevole e responsabile. É nota la storia biblica di Susanna, che non nasce dalla fervida inventiva di un romanziere, ma è concepita in un racconto di immaginazione drammatica che vuole evidenziare la difesa degli innocenti ed il castigo della malizia e dei maliziosi, unitamente agli abusi comuni nei procedimenti giudiziari. La bellissima donna era moglie di Joakim, divenuta oggetto del desiderio libidinoso di due anziani della comunità giudaica in Babilonia. Non potendo raggiungere il loro scopo di sedurla e giacere con lei, istruiscono un vero e proprio odioso procedimento contro di lei allo scopo di condannarla inesorabilmente. L’intromissione del giovane Daniele che gridava l’innocenza della donna delicata di aspetto e molto bella, fece in modo che la vicenda si risolvesse nella verità dell’assoluta innocenza e del grave errore giudiziario che il popolo stava compiendo con la inesorabile condanna senza indagare la verità. Spesso questa storia si ripete ed i risvolti non sono sempre positivi! Dio salva chiunque spera in Lui e smaschera con le loro stesse parole i falsari e detrattori della verità. P. Angelo Sardone

Lazzaro, vieni fuori

«Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nella terra d’Israele» (Ez 37,12). La prospettiva pasquale è di morte e risurrezione. L’itinerario quaresimale che conduce verso il traguardo della crocifissione e della morte di Cristo, si conclude con l’evento della risurrezione che costituisce il fondamento della fede cristiana. La morte in sé segna la conclusione della vita, ma nel caso di Gesù Cristo essa è il principio della vita senza fine, espresso dalla sua vittoria. Chiamare i morti alla vita è presupposto esclusivo di Dio, autore e signore stesso della vita. Per Lui non c’è morte, ma solo vita. Nel linguaggio profetico, questo insegnamento è ricorrente. Ezechiele presenta un capitolo intero del suo libro, il 37, detto delle ossa aride, manifestando nel segno, l’infinita potenza di Dio di ridare vita alle ossa inerti, vittime della morte e della corruzione. Tramite il profeta, Jahwé parla agli esuli scoraggiati di Babilonia ed annunzia loro la restaurazione, il ritorno in patria e la ripresa della vita, preannunziando già la risurrezione finale. Il sepolcro dell’uomo è talora il suo orgoglio e la sua superbia, che generano il peccato, allontanano da Dio e causano la morte. Dio solo ha il potere di aprire il sepolcro e di richiamare alla vita, proprio come Gesù fece con il suo amico Lazzaro. La sua vicenda storica è esempio concreto di quanto Dio possa fare e realizzare nel corso di ogni tempo. La risurrezione ordinaria dalla situazione di morte a causa del peccato attuale, si realizza attraverso il pentimento sincero, la confessione delle proprie colpe ed il perdono ricevuto. P. Angelo Sardone

Eccomi: Maria scattante

«Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi» (Is 7,14). La celebre profezia messianica pronunziata da Isaia fa da sfondo alla solennità odierna dell’Annunciazione del Signore, che celebra l’intervento di Dio per la realizzazione del regno del Messia. Il contesto storico della guerra siro-efraimita del 731 a.C. è il luogo teologico nel quale si colloca l’annunzio a Maria della nascita di Cristo, come bene hanno interpretato gli evangelisti e poi tutta la tradizione cristiana. Tutto questo si verificherà attraverso un re, successore di Davide che Dio darà per la salvezza al suo popolo. Al di là della circostanza storica, per la quale il profeta Isaia intravede un figlio del re Acaz, lo stesso nome simbolico che gli sarà dato, Emmanuele, proietta in una dimensione futura la realizzazione del regno messianico definitivo. Ciò si concretizzerà con Gesù Cristo e passa attraverso la disponibilità di Maria, giovane donna di Nazaret, che accoglie nella sua casa l’arcangelo Gabriele e nel suo cuore e nella sua vita l’annunzio del progetto salvifico di Dio, dando il suo pieno assenso. La festa odierna conserva anche la sua consistenza mariana, essendo congiunti Cristo e la Vergine, il Verbo che si fa figlio di Maria e la Vergine che diviene Madre di Dio. Essa ricorda l’evento dell’annuncio fatto ad una donna di Nazaret e si specifica in molteplici elementi: il concepimento di Gesù nel seno di Maria, la divina maternità, la partecipazione al mistero pasquale del Figlio. Si articola in punti diversi: dal particolare saluto, al turbamento di Maria e al chiarimento richiesto, dalla risposta dell’angelo all’assenso incondizionato di Maria. Auguri a tutti coloro che portano il nome di Nunzio, Nunzia, Annunziata e derivati. P. Angelo Sardone

La condanna di Gesù

«Condanniamolo a una morte infamante, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà» (Sap 2,20). Il tempo della Quaresima prepara nell’ascolto della Parola, al grande evento della Pasqua, cioè la morte e risurrezione di Cristo. Il cammino itinerante dietro la Parola di Dio, aiuta ad immergersi nella contemplazione e nella comprensione del mistero che segna il fondamento della fede cristiana. I testi profetici annunziano con chiarezza gli eventi. Ci sono elementi sapienziali che provengono non dalla letteratura storica ma dalla riflessione profonda che gli autori sacri, sotto l’evidente ispirazione di Dio, propongono alla riflessione. La liturgia sceglie con dovizia alcuni passi salienti che introducono ad una comprensione più adeguata del mistero. Il libro della Sapienza, identificativo di una corrente di pensiero e di teologia biblica nella sezione letteraria dei testi didattico-sapienziali, offre delle coordinate che in alcuni casi possono collocarsi sul versante propriamente profetico. La sapienza incarnata è Cristo e su di lui si addensano le considerazioni che fotografano quasi la situazione ed i presupposti della sua condanna. Nella trattazione della vita, come è vista è gestita dagli empi, si colloca uno squarcio che bene si addice a Gesù Cristo. Nella persona dei fedeli di Alessandria di Egitto scherniti e perseguitati si intravede la stessa sua persona, vittima della ingiusta condanna e con carnefici uomini e donne che ancora oggi si ergono a giudici implacabili di un innocente vittima di invidia e gelosia altrui. La storia di Cristo si ripete nell’oggi della storia. P. Angelo Sardone