La stoltezza della croce e della predicazione

«È piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (1Cor 1,21). L’annunzio del Vangelo ad opera di S. Paolo e degli apostoli, ministri della prima evangelizzazione cristiana, BG è stato sempre schietto ed efficace. Dinanzi ad un mondo pagano a volte lassista e libertino ed a quello ebreo talora fissista nella Legge di Mosè senza intransigenza alcuna, il grande apostolo si fa scudo della croce di Cristo che annunzia come potenza di Dio a fronte della considerazione della stoltezza, propria di coloro che si perdono. Il concetto non rimaneva tale ma si incarnava nella predicazione della potenza di Gesù di Nazaret, il crocifisso che era considerato scandalo dai Giudei e stoltezza dai pagani. Colui che era stato perdente e coloro che erano stati paurosi e vinti dalla sopraffazione giudea, ora manifestano la fortezza derivante dalla Parola che pur essendo ritenuta stolta, risulta efficace. In pratica si vuole condannare non la sapienza umana che è un dono in quanto sempre aperta alla conoscenza di Dio, ma l’autosufficienza orgogliosa che chiude in se stessi ed aliena dagli altri. Ciò che può sembrare un paradosso, si rivela invece un dato efficace e concreto di salvezza. É Dio che salva attraverso il Figlio suo che manifesta già nel suo nome, Gesù, la salvezza operata da Dio. La mediazione umana, oltre Cristo, è quella della predicazione del Vangelo affidata alla Chiesa ed ai suoi ministri. Essa può essere giudicata anacronistica, superata, finanche stoltezza dinanzi al progresso tecnico e ad alcuni diritti civili acquisiti che talora ledono la dignità umana e la legge naturale, ma è l’unica alla quale Cristo ha legato la salvezza: «chi crederà sarà salvo, chi non crederà sarà condannato». P. Angelo Sardone