Paolo, fariseo doc

«Io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti» (At 23,6). Paolo è tornato a Gerusalemme e si mostra comprensivo nei confronti dei cristiani provenienti dal giudaismo. Quelli però provenienti dall’Asia mettono in subbuglio la folla accusandolo di predicare contro la Legge ed il Tempio, avendo ivi introdotto dei Greci. Paolo viene preso, malmenato, finché un tribuno non lo arresta e lo mette in carcere. Ottenuto però il permesso di parlare al popolo, l’Apostolo racconta ancora una volta la sua conversione. Condotto in carcere mentre sta per essere flagellato rivendica la sua identità di cittadino romano. Perplesso il tribuno lo fa accompagnare nel Sinedrio, composto da farisei e sadducei. Qui Paolo gioca d’astuzia, meritandosi l’attenzione dei primi, in quanto, afferma, di essere fariseo e figlio di farisei ed inoltre perseguitato a causa della speranza della risurrezione. Questo termine provoca un tafferuglio tra loro dal momento che i sadducei non credono nella risurrezione. La sua capacità oratoria e l’accorto buonsenso gli permettono anche questa volta di tirarsi fuori, mentre il tribuno, vista la mala parata, lo riconduce in prigione dove la notte il Signore apparendogli gli comunica che la medesima testimonianza sarà chiamato a darla a Roma. Questo tratto storico documentato nei particolari, è davvero avvincente e manifesta come il prosieguo della missione apostolica è regolato da Dio. Quanto è importante soprattutto per noi sacerdoti, avere questa coscienza, quando tribolati e perseguitati, pur mettendo a frutto il necessario buon senso, siamo guidati dall’unica forza misteriosa che è Cristo. P. Angelo Sardone