La testimonianza cruenta di San Carlo

«Il mio piede s’incamminò per la via retta, fin da giovane ho seguìto la sua traccia» (Sir 51,15). Il lungo elogio degli antenati e l’intero libro del Siracide si conclude con un grande inno di ringraziamento, aggiunto, probabilmente, durante l’epoca dei Maccabei. Nella ricerca della sapienza viene evidenziato come da giovane il pio israelita la trovi nella preghiera. Essa rallegra il cuore e fa percorrere la via retta fin da giovane per seguirne la traccia nell’età matura con l’abbondanza dell’insegnamento. I progressi accumulati lungo il cammino stimolano a continuare a mettere in pratica la Parola con un allenamento costante della propria anima che si specchia nella purezza. Questo inno di gratitudine a Dio per il dono della fede e della ricerca costante della sapienza si applica alla vita di S. Carlo Lwanga, capo dei paggi del re, e ai suoi 21 compagni martirizzati in Uganda tra il 1885 ed il 1887. La fede ricevuta nel Battesimo amministrato dai Padri Bianchi, aveva sortito in lui una testimonianza coerente e fedele fino all’eroismo, soprattutto quando il re, distolto e mal consigliato dagli stregoni locali, si era rivoltato contro i cristiani mandandoli a morte, trafitti da lance, impiccati, inchiodati agli alberi e arsi vivi. Pregano sino alla fine, non piangono e danno una testimonianza altissima di fede. «Quando noi non ci saremo più, altri verranno dopo di noi», afferma uno di loro prima di spirare. Questo sangue, divenuto seme per nuovi cristiani dell’Africa, testimonia la coerenza ed il coraggio della fede, oggi probabilmente molto annacquato in una società che abiura i valori anche quelli più naturali ed umani, in nome di un assurdo deismo incapsulato in una vita scellerata e godereccia. P. Angelo Sardone