La missionarietà

Mattutino di speranza

Lunedì 25 maggio

 

La missionarietà è un compito comune a tutti i battezzati. Sta sullo stesso piano della santità: è una vocazione vera e propria derivante dall’alleanza di amore con Dio. Gesù Cristo è il missionario del Padre. Prima di ascendere al cielo, con l’autorità stessa del Padre e, consapevole della ricchezza da Lui ricevuta, ha conferito agli Apostoli il mandato missionario definitivo, ingiungendo loro di andare in tutto il mondo a fare discepole tutte le genti, battezzandole nel nome della Santissima Trinità. Paolo apostolo, l’acerrimo persecutore dei cristiani, afferrato da Cristo, è divenuto il missionario per eccellenza. La sua missione si è realizzata con viaggi, fatiche e pericoli, permanenza negli ambienti, predicazione, lavoro, testimonianza, fino al martirio cruento. Ogni cristiano già nel Battesimo, con la triplice configurazione a Cristo re, sacerdote e profeta, insieme e connessa con la chiamata alla santità, ha ricevuto la vocazione all’annuncio che si concretizza in parole ed opere, azioni e testimonianza. Ciò deriva dalla natura stessa dell’amore di Dio e della chiamata: Dio ama; per questo chiama, perciò manda. Ogni vocazione ha insita una sua propria missione. «Io sono creato per fare e per essere qualcuno per cui nessun altro è chiamato. Io occupo un posto mio nei pensieri di Dio, nel mondo di Dio, un posto da nessun altro occupato!», scriveva il 7 marzo 1848 John Henry Neumann, convertito dall’Anglicanesimo, divenuto cardinale e recentemente beatificato da Benedetto XVI. Ognuno di noi è unico ed irripetibile: proprio per questo Dio affida a ciascuno un compito specifico che, se anche si inquadra in quello più generale e comune, ha un risvolto particolare legato alla identità propria ed alla collocazione provvidenziale in un luogo ben preciso ed in una funzione ben distinta. Spesso si pensa che la missione evangelizzatrice ed apostolica sia appannaggio di pochi e fa riferimento ai paesi lontani dove non si conosce Dio e Gesù Cristo. Questa è la missione propria dei Missionari, uomini e donne coraggiosi che in forza della loro specifica vocazione religiosa, sacerdotale o laicale, per volontà e disponibilità propria o inviati, vanno nei cosiddetti “paesi di missione” a portare l’annuncio di Cristo. S. Francesco Saverio, il grande missionario dei tempi moderni, voleva gridare come un pazzo nelle università dell’Europa e «scuotere coloro che hanno più scienza che carità con queste parole: Ahimè, quale gran numero di anime, per colpa vostra, viene escluso dal cielo e cacciato all’inferno!». Da sempre questa è intesa come “missio ad gentes” missione verso i popoli. Ma c’è una missione non meno facile, non meno impegnativa che si realizza senza prendere navi o aerei, senza specifici mandati liturgici e giuridici, nel proprio ambiente di vita che talora, soprattutto nell’attuale contesto, è meno cristianizzato dell’Africa o dell’Asia. Infatti, all’evangelizzazione dell’Europa e del mondo oggi si sta sostituendo gradualmente e con subdola ed efficace azione diabolica, una vera e propria “scristianizzazione” in quegli ambienti “cattolicissimi”, segnati è vero da contraddizioni e violenze che hanno visto anche la Chiesa protagonista in determinate epoche e che la storia documenta rigorosamente e rigetta, ma anche da lunghe epoche di benessere religioso, culturale e sociale. Questo fenomeno che si sta sviluppando a macchia d’olio soprattutto in Europa preoccupa grandemente la coscienza ecclesiale. Allora ovunque, a cominciare dalla propria famiglia, dalla propria casa, dall’ambiente di lavoro, dalla scuola, dalla società statale ed ecclesiale, vi è una impellente necessità di annunziatori “forti e miti della Parola che salva” che non sono solo i sacerdoti, i religiosi, i missionari, ma devono essere indistintamente i cristiani, cioè i seguaci di Cristo. Nella prima evangelizzazione apostolica avviata da Gerusalemme, gli elementi accattivanti e persuasivi erano non tanto e solo le parole, quanto le azioni: «Guarda come si amano, come si aiutano, quanto si vogliono bene!» – dicevano i pagani indicando i cristiani. Oggi sembra che viga perfettamente il contrario. Si evangelizza prima con l’esempio della vita e poi con le parole, ciascuno al proprio posto nel proprio ambiente di vita. S. Teresa di Lisieux pur non essendo mai uscita dal suo monastero è divenuta la patrona delle missioni per quell’afflato missionario cocente e diretto fondato sulla vocazione all’amore. Questo continua con migliaia di uomini e donne che pur dietro le grate o impegnati nelle attività apostoliche ed ecclesiali sono testimoni e martiri della missione. Avviene anche con la testimonianza silenziosa, efficace ed operativa di mamme e papà, professionisti ed operai, uomini e donne che, anche a seguito di una lunga e preoccupante pandemia, continuano a dare buona testimonianza di vita cristiana e spargono il buon odore di Cristo. P. Angelo Sardone