Il serpente che salva

264. «Abbiamo peccato, abbiamo parlato contro il Signore e contro di te» (Nm 21,7). La stanchezza, la provvisorietà abitativa, l’incertezza di un cammino apparentemente senza meta precisa, la mancanza di carne, di pane e di acqua, ha la meglio sul popolo dell’esodo che inveisce contro Dio e contro Mosè. L’invettiva diventa insulto e bestemmia. Il castigo è meritato: i serpenti velenosi invadono il campo e le tende dell’alloggio, mordono e provocano la morte di un gran numero di Israeliti. Erano infocati e brucianti per quello che provocavano prima della morte sicura. Il segno adoperato dalla letteratura biblica, richiama l’antico serpente, il diavolo, che già nel paradiso terrestre, per invidia aveva provocato la rottura di comunione e di amore trai progenitori della stirpe umana ed il Creatore. Il veleno iniettato con l’invidia ed il parossismo originario di onnipotenza delle creature più nobili della creazione, viene ora conficcato nelle membra già dolorante e fiacche per il viaggio e la stanchezza di uomini e donne abituati alla sicurezza delle cipolle, del pane e della carne dell’Egitto. La cosa più grave è la rivolta palese e furibonda contro Dio ed il suo profeta Mosè. La bestemmia e l’insulto rivolti verso l’Alto sono come lo sputo lanciato in aria: torna indietro e sporca inesorabilmente. Il castigo è conseguenza naturale di una sovversione e ribellione incontenibile. Quando però l’uomo riconosce il suo errore, la sua richiesta di aiuto diventa preghiera e Dio frena la conseguenza naturale del peccato: Cristo, elevato sulla croce, come il serpente di bronzo sull’asta di Mosè, diviene strumento di guarigione e di sicura salvezza. P. Angelo Sardone