Amore invece dei sacrifici

«Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocàusti» (Os 6,6). Osea, come d’altronde tutti i profeti, richiama costantemente alla coerenza nei comportamenti e nelle scelte della propria vita, soprattutto nei rapporti con Dio. Il popolo di Israele da lui evocato è la parafrasi del popolo della Chiesa che in ogni tempo è chiamata a seguire il Signore con una vita in armonia all’alleanza. Tante volte, nel suo tempo, come tristemente annotato dal profeta, erano i sacerdoti, i notabili ed i re a condurre il popolo alla rovina con guerre fratricide, alleanze con popoli stranieri, palesando un effimero ritorno a Dio fatto di pratiche esteriori e di sacrifici propiziatori. La voce profetica di alza con vigore per combattere simili pratiche sottolineando invece il valore vero dell’amore di Dio e per Dio e la conoscenza di Lui. Ciò vale molto di più di tanti sacrifici ed offerte oblative. Osea arriverà finanche a dire che il sacrificio valido è l’autentica conversione. Essa nasce prima di tutto da una conoscenza progressiva di Dio che spinge a lasciare dietro le spalle una vita insignificante anche se piena di conquiste, successi, benessere ed ostentato ottimismo. Elemento basilare per realizzare un’autentica conversione è prima di tutto la conoscenza di Dio che proviene da un’esperienza di rapporto con Lui, con l’ascolto assiduo e sistematico della sua Parola e la partecipazione alla vita sacramentale. Oggi nel popolo di Dio c’è un grande bisogno di conoscenza e la ricerca di validi trasmettitori ed annunziatori della Parola a differenza di loquaci strilloni di verità effimere ed allettanti che durano l’arco di una giornata e si appassiscono in sé ed in chi miseramente li cerca e li acclama. P. Angelo Sardone

La misericordia di Dio in un cammino di penitenza e riflessione

«Rette sono le vie del Signore, i giusti camminano in esse, mentre i malvagi v’inciampano» (Os 14,10). Il profeta Osea pur essendo annoverato tra i “profeti minori” per l’esiguità del suo testo, in confronto a quello dei “maggiori” è davvero un grande profeta per la profondità del suo pensiero e la caratteristica di Dio da lui ripetutamente enunziata: «l’hesed», cioè l’amore misericordioso. La sua vicenda umana è contrassegnata da disposizioni particolari ricevute da Dio in ordine al suo matrimonio con una prostituta, i figli ai quali impone nomi particolari evocativi del rapporto di Dio col popolo di Israele. La sua vita e la sua esperienza profetica diventano un paradigma simbolico, una lezione per il popolo perché impari a considerare attentamente la misericordia di Dio che non è semplicemente una sua caratteristica, ma è Dio stesso. La predicazione esplicita conferma la bontà delle vie del Signore, diritte e senza pericoli, sulle quali si misurano le diverse categorie umane: i giusti che camminano in esse liberamente, i malvagi che in esse inciampano. L’esperienza settimanale nella Quaresima della Via della croce, richiama questi elementi e conferisce loro attualità e verità che fanno parte dell’esistenza umana e che inducono a percorre la strada della vita con l’attenzione a non inciampare. Le quattordici tradizionali stazioni sorrette dalla meditazione delle pagine bibliche, evocano in pieno le situazioni della vita dell’uomo sulla terra ed invitano a guardare il condannato che incarna nell’ultimo percorso della sua vita terrena, le sue dolorose stazioni. P. Angelo Sardone

Le cose di Dio non si dimenticano

«Bada a te e guàrdati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita» (Dt 4,9). I tempi forti che la Chiesa riserva con la Liturgia nel percorso annuale di contemplazione e rivisitazione del mistero di Cristo, sono un’autentica scuola di formazione per i cristiani. Un itinerario sistematico evidenziato dalla Parola risulta un insegnamento pratico di vita che determina la formazione continua o permanente. La Liturgia pertanto, secondo criteri ben precisi, sceglie il fior fiore della Parola di Dio secondo tematiche precise che sviluppano una conoscenza ed un approfondimento adeguato, in vista della Pasqua del Signore. Essa segna il passaggio autentico ad una nuova vita. Nel vecchio Testamento, due sono i luoghi nei quali viene riportato l’insieme dei Comandamenti di Dio, il libro dell’Esodo al cap. 20 ed il Deuteronomio al cap. 5. In entrambi i casi con modalità letterarie diverse, è riportato il Decalogo con l’insistenza da parte di Dio, di accogliere ogni sua parola e di metterla in pratica. In particolare nel testo che chiude il Pentateuco, prima dell’enunciazione dei comandamenti, Mosè invita il popolo a non dimenticare quanto ha visto operare dalla forza e dalla potenza di Dio. Gli avvenimenti e le situazioni diverse hanno interessato anche il suo cuore: questo il motivo per non lasciare sfuggire nulla e serbare ogni cosa per tutto l’arco della vita. Perché l’uomo di ogni tempo non si ritrovi senza memoria, Mosè ingiunge questa modalità concreta di ricezione e di trasmissione della legge. Essa, stampata prima di tutto nel cuore, necessita di essere proclamata e vissuta. Può sembrare una minaccia quella di tenere a mente tutto questo, ma è invece una amorevole e forte esortazione ad accogliere quanto di meglio Dio poteva pensare e volere per il suo popolo. P. Angelo Sardone

La preghiera del profeta Daniele

«Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto» (Dn 3,41). Il cammino della Quaresima è un itinerario di sequela di Cristo qualificato dalla straordinarietà del tempo “forte”. Un sostegno valido ed efficace è offerto ogni giorno dalla Parola di Dio che soprattutto nella Liturgia fa segnare il passo di una comprensione più profonda che si aggancia alla vita. Le esperienze coinvolgenti di liturgie penitenziali, i pii esercizi, le mortificazioni e le rinunzie, inquadrate nel trittico evangelico di digiuno, preghiera e carità verso i fratelli, evidenziano una presa di coscienza sempre maggiore delle proprie colpe ed una adesione sempre più viva, anche se certamente difficoltosa, agli insegnamenti divini. Il profeta Daniele, giovane ebreo condotto con altri alla corte di Nabucodonosor, ha il coraggio di denunziare con atteggiamenti pratici la disapprovazione per l’adorazione della statua d’oro. Nella sua preghiera accorata a Dio, nel corso del castigo commisurato con la condanna alla fornace ardente, esprime insieme con la fiducia nel risolutorio intervento divino, la volontà di seguire il Signore, il suo timore e la ricerca del suo volto. Può essere questo non solo l’icona di un’efficace preghiera quaresimale, ma anche e soprattutto il modello di una presa di coscienza ed una risoluzione finale a seguire davvero il Signore, mostrando verso di Lui il naturale e debito timore ed il vivo desiderio di cercare il suo volto. La liturgia diviene così pratica di vita, non si scosta, anzi stimola ad orienta la vita secondo gli insegnamenti di Dio che sono sempre antichi e nuovi e che ogni giorno suscitano nella mente e nel cuore interpellanze provocanti ed inquietanti insieme con il desiderio di seguirlo. P. Angelo Sardone

La Samaritana: acqua e fede

«Ecco, io starò davanti a te là sulla roccia, sull’Oreb; tu batterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà» (Es 17,6). Una delle sofferenze maggiori affrontate dal popolo di Israele all’uscita dall’Egitto fu la mancanza di acqua. Il cammino nel deserto rese ancora più necessario il grande elemento di natura indispensabile per vivere. Già gli antichi filosofi avevano sentenziato che l’acqua è il principio costitutivo di tutto. L’intera natura, le piante, gli animali e gli esseri umani sono costituiti in massima parte di acqua. Di qui la necessità di essere costantemente dissetati da questo bene senza il quale non c’è vita. Per quanta riserva potevano aver portato con sé gli Israeliti e per ciò che trovavano lungo la strada nel deserto, l’acqua risultava insufficiente. La cosa si aggravava ancora di più quando le scarse fonti erano disseccate e non bastavano per gli uomini e per gli animali. La preghiera a Dio diventava allora rivolta anche contro Mosè reo di aver condotto il popolo nel deserto. L’intervento di Dio diviene allora pedagogico e risolutorio. Dopo la manna e la carne, arriva prodigiosamente l’acqua. Dio ordina a Mosè di battere sulla roccia e da essa scaturisce acqua fresca e sufficiente. L’accanita protesta contro il Signore e la addolorata coscienza di Mosè nel rivoltarsi contro Dio, trova la miracolosa soluzione. L’acqua sarà anche oggetto di predicazione da parte di Gesù ed elemento identificativo della sua persona: io sono l’acqua della vita. Attingere da Gesù significa avere la certezza della vita e la garanzia di non avere più sete. La Samaritana prima stentò, poi comprese. L’acqua di Cristo oggi si chiama grazia che scaturisce direttamente dal suo cuore amorevole e dai sacramenti che ne sono i segni efficaci. P. Angelo Sardone
[10:08, 12/3/2023] Angelo Sardone: In questa III domenica di Quaresima, dominata nella Liturgia dal segno dell’acqua, condivido con te una canzone che ho scritto il 1992 sul tema omonimo. Appena scritta di getto, la registrai con i mezzi tecnici di cui disponevo allora. Spero possa esserti utile per la riflessione e la lode al Signore. Un caro saluto. P. Angelo Sardone

La forza del perdono

«Egli non serba per sempre la sua ira, ma si compiace di manifestare il suo amore» (Mi 7,18). Il profeta Michea, di cui si conosce poco, annunzia con sicurezza la sventura. Di origine campagnola, svolse il suo ministero prima e dopo il 721, data storica che segna la fine del regno di Israele con la distruzione della capitale, Samaria. Alla maniera del profeta Amos, con una parola ferma egli fustiga le diverse categorie della società, dai ricchi sfrenati agli usurai, dai commercianti fraudolenti, ai sacerdoti e profeti cupidi. Il castigo di Dio incombe sul popolo che non risponde al suo amore. Nonostante ciò egli nutre la speranza che Dio non abbandonerà il suo popolo. La prova certa è il celebre annunzio messianico: da Betlemme di Efrata nascerà il Salvatore. Il suo libro si conclude con un salmo, come spesso accade nella letteratura profetica, di invocazione del perdono divino e di professione di fede in Dio che toglie l’iniquità e perdona il peccato a coloro che hanno ereditato la promessa e la grazia. Egli si muove a compassione dei suoi figli ed è sempre disposto al perdono e, secondo l’iperbolica espressione profetica, getta in fondo al mare tutti i nostri peccati. Siamo davanti e tocchiamo l’assoluta maestà del Signore che è grande nell’amore in forza dell’assoluta fedeltà con la quale si rapporta alle sue deboli creature. Questi elementi sorreggono nella naturale difficoltà di cedere dinanzi al male e di non farcela, magari col dubbio che il Signore non possa o non voglia perdonare a causa della meschinità umana e del peso rilevante della colpa dell’uomo. La Parola toglie via ogni dubbio ed afferma la certezza misericordiosa del suo salvifico intervento. P. Angelo Sardone

Giuseppe ed i fratelli

«Che guadagno c’è a uccidere il nostro fratello e a coprire il suo sangue? perché è nostro fratello e nostra carne» (Gen 37,26-27). Le conseguenze del peccato dopo Caino dominano la società degli inizi e il tempo dei Patriarchi. La vicenda di Giuseppe venduto dai fratelli e sottratto dalla morte dal fratello maggiore Ruben in forza della condivisione della stessa carne e dello stesso sangue, si pone come emblematico dinanzi alla risoluzione omicida degli altri fratelli a causa di una terribile invidia nei suoi confronti. In fondo la morte di Cristo sulla croce è stata determinata da un atteggiamento diabolico dei Capi di allora nei confronti dell’innocente agnello condotto al macello secondo la nota profezia di Isaia. La contemplazione del mistero della passione in questo venerdì di Quaresima si rispecchia nel cammino della via della croce, il pio esercizio che affonda le sue radici già intorno al 1294 quando un frate domenicano, Rinaldo di Monte Crucis, nella sua opera il «Libro del pellegrinaggio» racconta la sua salita al Santo Sepolcro «attraverso la via per la quale è salito Cristo, portando con sé la croce» e descrive le varie tappe, dette «stazioni»: il palazzo di Erode, il luogo nel quale Gesù fu condannato a morte, l’incontro con le donne di Gerusalemme, il coinvolgimento di Simone di Cirene a portare la croce del Signore. Dal punto di vista storico, in concomitanza con la tradizione francescana, questa pratica così come si svolge oggi, con le quattordici stazioni disposte nello stesso ordine, è attestata in Spagna ad opera di un altro frate domenicano, il Beato Alvaro. In seguito passò in Italia. L’esercizio della Via Crucis nel corso del tempo ha arrecato tanto bene spirituale a chi l’ha praticato. P. Angelo Sardone

Benedizione e maledizione per l’uomo

«Maledetto l’uomo che confida nell’uomo. Benedetto l’uomo che confida nel Signore ed il Signore è la sua fiducia» (Ger 17,5). Tra i profeti scrittori, la Bibbia annovera Geremia, nato intorno al 650 a.C. da una famiglia sacerdotale a Gerusalemme. I suoi racconti biografici redatti in terza persona delineano il suo carattere, la sua personalità, i suoi insegnamenti. Vive in un periodo molto delicato e duro che lo prepara alla disfatta di Gerusalemme. Il suo libro è costituito da 52 capitoli ed è uno dei più lunghi della Sacra Scrittura. Tra le diverse sentenze di saggezza ne figura una che pone in antitesi la benedizione e la maledizione non come concetti ma incarnati nella persona dell’uomo. I concetti teologici del bene e del male e delle conseguenti ripercussioni sulla natura umana sono disseminati nel testo sacro. È di vero effetto emotivo il riferimento all’uomo che è maledetto se confida nell’uomo ed è invece benedetto se confida in Dio ponendo in Lui la sua fiducia. Benedizione e maledizione a confronto ed in dialettica continua nella vita umana, sono presentate come le manifestazioni più evidenti dell’agire dell’uomo sulla terra combattuto tra il bene ed il male. Sta di fatto che nella vita pratica chi confida nell’uomo è colui che confida nella ricchezza, nelle sue capacità, è superbo ed arrogante. La confidenza errata porta l’uomo all’allontanamento da Dio, all’aridità della propria vita e quindi alla maledizione. Al contrario, la fiducia riposta in Dio dà all’uomo la garanzia non solo di essere da Lui conosciuto, ma anche e soprattutto sostenuto per non incorrere nella morte spirituale e materiale. P. Angelo Sardone

Donna sei tanto grande e tanto vali!

«Il Signore Dio formò con la costola che aveva tolta all’uomo una donna e la condusse all’uomo» (Gen 2,22). Sin dalle prime pagine della Genesi, cioè le origini del mondo, la donna è protagonista con l’uomo delle vicende della vita e dei suoi rapporti con Dio. Secondo la narrazione biblica, ella compare nel mondo accanto all’uomo con l’espressione figurata della sua origine dalla sua costola, ad indicare il profondo rapporto che esiste con lui. Tratta dall’uomo, è condotta all’uomo che la riconosce come parte integrante dalla sua carne (la fragilità) e dalle sue ossa (la consistenza), realtà che si intersecano e passano dall’uno all’altra. Il suo stesso nome ishsha, donna, è il femminile di ish, uomo, quasi a dire «uoma», la medesima realtà, al maschile l’uno ed al femminile l’altra. Queste verità sono profondamente incise nella realtà umana e nella vera e completa considerazione dell’identità, del valore e del ruolo della donna nel contesto della famiglia e nella società civile ed ecclesiale di ogni tempo. La sua presenza accanto all’uomo è complementare, né superiore né inferiore, ma uguale. Il Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo, noto come insegnamento e frequentemente citato a proposito, mette in guardia dal non «far piangere la donna, perché poi Dio conta le sue lacrime!». La storia registra purtroppo ancora oggi lagrime abbondanti dovute alla violenza da lei subita, al mancato riconoscimento della sua identità e della preziosità accanto all’uomo in tutti i settori della vita. Grazie donna per quello che sei: figlia, sorella, madre, nonna, amica, consacrata a Dio. Grazie per quello che vali, per le tue parole e i tuoi silenzi, la tua fatica ed il nascondimento, la tua dolcezza ed il pudore, la tua delicatezza e la tua forza. Auguri a tutte le donne, nell’annuale celebrazione della loro festa. P. Angelo Sardone

La preghiera multiforme

«Signore Dio, grande e tremendo, fedele all’alleanza, benevolo abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli» (Dn 9,4-5). Spesso nella Bibbia la preghiera non è solo invocazione, supplica o lode, ma anche richiesta di perdono e propiziazione. È assolutamente vero quando si dice che nella Sacra Scrittura si trovano le più belle preghiere che ruotano ed evidenziano le molteplici situazioni umane. Nel caso del profeta Daniele e della preghiera riportata nel capitolo 9 del suo libro, si tratta di una invocazione fiduciosa, umile con profonde reminiscenze bibliche che l’accostano ad altre come quella di Azaria ed ispira l’altra di Baruc. Digiuno, veste di sacco e cenere sono gli elementi base entro i quali si colloca la preghiera. Dopo la constatazione dell’identità di Dio grande e tremendo, fedele all’alleanza, benevolo verso tutti coloro che lo amano ed osservano i comandamenti, il profeta ammette il peccato suo e della sua gente, l’allontanamento dalla legge, la disobbedienza ai profeti, suoi porta-parole. Nel contempo distingue la giustizia che appartiene a Dio e la vergogna che è propria di chi ammette il proprio peccato e si pente. Benevolenza e misericordia si addicono a Dio e sono complementari alla giustizia e verità. Il Vangelo questo insegna e ribadisce: alla fedeltà di Dio deve corrispondere la fedeltà dell’uomo. La ribellione dell’uomo partendo da quella di Adamo ed Eva deve essere superata dall’accoglienza umile del potere di Dio che prima di ogni cosa verte sull’amore e sulla giustizia. Questo non bisogna dimenticarlo mai. P. Angelo Sardone