Pentecoste

. «Apparvero lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo» (At 2,3-4). La festa della Pentecoste richiama etimologicamente il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua. La ricorrenza ebraica, detta anche Festa delle settimane, celebrava il dono della Legge a Mosè sul monte Sinai, ricevuto il terzo mese dall’uscita dall’Egitto. Il conteggio dei giorni ricalcava la tradizione degli Esseni che li contavano a partire dall’ottava di Pasqua. Lo storico ed evangelista Luca documenta che a Gerusalemme vivevano e in quel giorno erano anche convenuti per la festa, Giudei di tutte le nazioni del mondo che parlavano lingue diverse, una presenza universale. Al compiersi della festa che, secondo la consuetudine ebraica cominciava al calar del sole del giorno prima, mentre erano le 9 del mattino, lo Spirito Santo discese sugli Apostoli e Maria rinchiusi nel Cenacolo. La manifestazione è tipica delle teofanie: rumore, vento impetuoso, fuoco che questa volta va a posarsi come lingue sul capo di ciascuno. Il risultato è sorprendente: cominciano a parlare lingue diverse sotto l’azione dello Spirito. È il fenomeno cosiddetto della “glossolalia”: ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua e proclamare le grandi opere di Dio. L’evento si ripeterà più volte nel corso della narrazione lucana. Tutti erano stupiti e coinvolti positivamente in un avvenimento completamente fuori dell’ordinario per la sua portata e le sue conseguenze. Eppure, gli Apostoli non erano ebbri di vino ma esecutori di quanto già previsto nella Scrittura dal profeta Gioele. Da allora la Chiesa, creatura di Gesù, è guidata e governata dallo Spirito Santo che illumina, dà vita e dirige alla pienezza di Dio e del suo Cristo. P. Angelo Sardone

Domenica di Pentecoste

PAl compimento del giorno della Pentecoste, festa ebraica che ricordava il dono della Legge, un vento misterioso invade la casa nella quale erano rinchiusi i discepoli del Signore e lingue di fuoco si posarono su ciascuno di loro. Lo Spirito Santo irrompe nella loro vita. Parlano lingue diverse comprensibili ai Giudei di tutte le razze dei popoli presenti a Gerusalemme per la festa. Il Paraclito preannunziato da Cristo come spirito di verità è realtà: prende le cose di Dio, le annuncia insieme con quelle future e dà testimonianza a Gesù il risorto. D’ora in poi occorre camminare secondo lo Spirito con i desideri suoi propri. Le opere della carne (fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere) devono essere sostituite dai frutti dello Spirito (amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé). Questa è la nuova e definitiva vita nello Spirito, vita di santità. P. Angelo Sardone

San Paolo a Roma

324. «E’ a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena» (At 28,20). Il “Libro della Chiesa”, gli Atti degli Apostoli, si chiude con il racconto sommario del viaggio definitivo di Paolo a Roma, la sua permanenza di due anni e squarci del suo insegnamento apologetico e didattico. Puntualmente S. Luca annota ogni particolare con dovizia sintetica di località, modi di accoglienza e trattamenti. L’isola di Malta e le città di Siracusa, Reggio Calabria e Pozzuoli sono le ultime destinazioni toccate dalla nave prima che Paolo giunga a Roma. Qui gli viene concesso di abitare in una casa presa a pigione e continua il suo ministero evangelizzatore cominciando dai Giudei. Essi lo ascoltano, ma i pareri e l’accoglienza del suo insegnamento sono diversi: c’è chi aderisce, c’è chi rifiuta e definisce “setta” questo nuovo modo di pensare e vivere la fede in Dio. Fedele alla missione e forte della sua competenza biblica, Paolo cita Isaia a rimprovero dei suoi connazionali, ostili, come al tempo dei profeti, ad accogliere la nuova via che ormai ha invaso il mondo e che determinerà d’ora in poi il tratto definitivo della storia e della vita degli uomini. Il viaggio storico e teologico sulle orme di Paolo, accompagnati dal racconto attento di Luca si conclude qui. Il resto è documentato anche dalla storia profana. Lo Spirito Santo annunziato da Cristo e da Lui donato il giorno di Pentecoste guida la Chiesa con il dono della Parola, i Sacramenti, il Magistero del Papa e la Sacra Tradizione. Ai cristiani è affidato lo sviluppo e la pratica di una fede genuina, matura e senza compromessi. P. Angelo Sardone.

Paolo si appella a Cesare

323. «Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio di Augusto» (At 25,21). La controversia e l’odio dei Giudei nei confronti di Paolo toccano il massimo quando essi chiedono espressamente a Festo, Procuratore romano della Giudea, di giudicarlo e condannarlo inesorabilmente come detrattore dei valori della fede autentica e della Legge di Mosé. Paolo si trova a Cesarea e qui subisce un giudizio sommario da parte del Procuratore, che era una degna persona ed aveva fatto sforzi autentici per risolvere i conflitti tra i Giudei e Roma. È presente anche il re Agrippa e sua moglie Berenice che in un certo senso rimasero commossi. Le problematiche sono sempre le stesse, chiarissime ai Giudei ma incomprensibili da parte dei Romani che le giudicano semplicemente inerenti alla religione degli Ebrei. Non capendo fino in fondo il valore e l’oggetto delle accuse, i nobili giudicanti rimangono sospesi fino a quando Paolo con la solita sua fermezza si appella a Cesare perché, essendo cittadino romano, la sua causa sia riservata all’imperatore Augusto. Si tratta di una rivendicazione legittima ed una risposta chiara all’arroganza dei suoi conterranei mossi più da invidia che da ragioni propriamente di fede e di Legge mosaica. Si avvera così quanto lo Spirito andava suggerendo ed indicando all’Apostolo infaticabile per il suo zelo e la fedeltà al compito ministeriale ricevuto. Qui si assommano valori di fede e criteri giuridici che non devono mai mancare in qualsiasi forma di giudizio. P. Angelo Sardone.

In vista di Roma

322. «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (At 23,11). Il viaggio missionario di Paolo ha Gerusalemme come tappa obbligata. È il centro del Giudaismo ed è diventato anche il centro del Cristianesimo. Qui la difficoltà maggiore è costituita dagli irriducibili Giudei che vedono in lui un sobillatore inosservante della legge di Mosé. Come è avvenuto altre volte, la folla istigata dai facinorosi, grida, urla fino a costringere il comandante del Tempio a prenderlo con forza per sottrarlo al linciaggio e condurlo nella fortezza di Gerusalemme. Sulla scalinata del Tempio per la terza volta Paolo racconta la sua conversione. Parla in ebraico e tutti ascoltano con attenzione. Appellandosi direttamente al Signore giustifica la sua familiarità con i pagani, cosa che ha suscitato ovunque accuse contro di lui. Il carcere e la flagellazione sono la soluzione immediata del trambusto che si è creato. Ma proprio mentre sta per essere flagellato, il Centurione si rende conto che Paolo è un romano. L’indomani egli parla davanti al Sinedrio. Al termine la confusione prende piede tra gli ascoltatori: Sadducei e Farisei non si ritrovano concordi nelle loro accuse nei suoi riguardi. Nel silenzio della notte, mentre è in prigione con due catene, gli appare il Signore e lo conforta annunciandogli il prossimo futuro di testimonianza direttamente a Roma. L’ultimo tratto del ministero nella sua terra è frastagliato da contraddizioni, odio. Ma lo spiraglio è Roma dove troverà la prigionia e la morte. C’è sempre uno spiraglio di luce nelle contraddizioni della vita, purchè ci si affidi completamente a Dio! P. Angelo Sardone