L’acqua che sgorga dal santuario

«Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà» (Ez 47,9). Quasi in conclusione del suo libro, nella sezione denominata “La Torah” il profeta Ezechiele, condotto dallo Spirito giunge all’ingresso del tempio ed osserva il fenomeno dell’acqua. Essa scende dalla parte meridionale dell’altare. Girando attorno all’edificio scopre che il rivolo gradualmente aumenta: ciò è comprovato dal tentativo di attraversarlo prima in maniera agevole, fino all’impossibilità di farlo perché simile ad un fiume navigabile. Riversandosi nel mar Morto, risana quelle acque prive di vita e le favorisce con un gran numero di pesci che in esso vivranno. In analogia a questo, ogni essere umano vive dovunque arriva l’acqua salutare. Secondo il comune modo di intendere, le acque sono espressione della benedizione che arriva al paese dalla rinnovata abitazione di Dio in mezzo al popolo. Le stesse immagini saranno riprese da S. Giovanni nell’Apocalisse. L’acqua è segno della grazia e fonte di abbondante benedizione, il suo fluire è l’azione dello Spirito Santo, datore di vita e che fa nascere la vita e fiorire il deserto. L’acqua sgorga direttamente dalla fonte del Cuore di Cristo e si differenzia in sette rivoli che costituiscono i sacramenti, i segni sensibili ed efficaci della grazia, attraverso i quali viene elargita la vita divina. Non si insisterà mai abbastanza nell’indicare la necessità di una vita cristiana qualificata in maniera indispensabile proprio attraverso la grazia dei Sacramenti. Cristo la dispensa mediante i ministri della sua Chiesa. P. Angelo Sardone

La preghiera di abbandono

La semina del mattino

«Non c’è delusione per coloro che confidano in te. Ora ti seguiamo con tutto il cuore, ti temiamo e cerchiamo il tuo volto» (Dn 3, 40-41). Il fuoco fa sempre paura, soprattutto quando ci si trova dentro: quello materiale che consuma ed annienta, quello spirituale che brucia, riscalda e trasforma. In piena cattività babilonese, Daniele (Azaria nella lingua locale) eleva a Jahwè una bellissima preghiera di affidamento, di abbandono, di richiesta di grazia in nome dell’antica alleanza e del patto di amore che Dio ha stabilito col suo popolo attraverso Abramo. La consapevolezza di essere diventati piccoli ed indegni fa crescere la necessità di chiedere perdono e di abbandonarsi nelle sue mani con un cuore però contrito ed umiliato, unico vero sacrificio gradito a Dio. In questi termini e con questo atteggiamento non c’è più delusione e timore per chi confida, e si sviluppa la clemenza da parte di Dio che così dà gloria al suo Nome con la sua misericordia. La vita cristiana è un serio e sistematico percorso di fiducioso abbandono nelle mani di Dio, ogni giorno, ma soprattutto nell’ora della prova, quando le tribolazioni, le difficoltà, le delusioni, le malattie, le incapacità proprie ed altrui mettono al muro senza possibilità di ricominciare. È quello il momento di confidare meno in se stessi ed affidarsi di più a Dio con la totalità del cuore, della mente, della vita. Queste realtà pratiche si comprendono anche con l’ascolto di Dio, la frequentazione e lo studio attento della sua Parola. P. Angelo Sardone

Naaman: il suggerimento sensato

La semina del mattino

«Va’, bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato» (2Re 5,10). Naamàn, autorevole e stimato comandante dell’esercito arameo ostile ad Israele è lebbroso. Una prigioniera ebrea a servizio di sua moglie gli indica la possibilità di guarigione attraverso un uomo che opera in Israele. Credendo si tratti del re, il comandante si avvia carico di doni e speranza di guarigione, ma ha sbagliato persona. Non si tratta del re ma di Eliseo, che parla al posto di Dio. Il profeta lo manda a chiamare e gli ordina semplicemente di andare a bagnarsi sette volte nel fiume Giordano, il fiume sacro. Il suo corpo ritornerà sano e sarà purificato. Il comandante avvezzo a ben altri interventi contesta inizialmente il fatto che si tratti di un fiume, sicuramente meno famoso di quelli del suo paese, ma poi convinto dai suoi servi, gente semplice, si ravvede e fa quanto detto. Il miracolo si compie ed il corpo torma come quello di un ragazzo. Il prodigio constatato lo purifica anche interiormente e nella fede. Sa finalmente che c’è davvero Dio, quello di Israele. La superficialità, l’orgoglio e l’ignoranza, soprattutto delle cose di Dio, talora impediscono di credere e di affidarsi a Dio ciecamente. Molte volte sono specialmente le persone semplici ad indicare la strada sensata della considerazione ragionata, onde poter sortire gli effetti sperati. Tutti ci portiamo dentro un po’ o tanto di Naaman, ma se ci fidassimo davvero non solo di chi ci vuol bene, ma anche di coloro che nella semplicità e col buonsenso offrono un consiglio spassionato, le cose andrebbero molto diversamente da come vanno. P. Angelo Sardone 

S. Giuseppe patrono della vita interiore. Festa dei papà

«Io susciterò un tuo discendente, uscito dalle tue viscere. Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2Sam 7,14). La promessa di Dio rivelata al re Davide dal profeta Natan, si concretizza in Gesù di Nazaret che umanamente, secondo il disegno del Padre, prende forma mortale nel grembo della Vergine Maria ed ha in Giuseppe, l’umile falegname di Nazaret, il padre putativo, l’“aggiunto” nella Santa Famiglia, come significa il suo nome. Sarà riconosciuto in terra davanti alla Legge ed alla società ebraica come lo sposo di Maria, suo intemerato custode, il tutore del Messia. L’8 dicembre 1870 con l’intento di indicarlo come sicura speranza per la vita della Chiesa dopo Maria, Pio IX col decreto «Quemadmodum Deus» proclamò San Giuseppe «Patrono della Chiesa universale» e l’anno successivo con la lettera apostolica «Inclytum Patriarcham» (7 luglio 1871), gli riconobbe un culto superiore a quello di tutti gli altri santi. Essendo sempre vissuto “decentrato” all’ombra di Gesù e Maria e uomo del silenzio, fu per Gesù padre amato, padre di tenerezza, accogliente ed obbediente. Noi figli di S. Annibale M. Di Francia, lo veneriamo «patrono della vita interiore» e rinnoviamo oggi i voti di devozione. A lui si ispira ogni papà cristiano per il suo ruolo e figura essenziale per la crescita dei figli, punto di riferimento, di confronto e sviluppo della loro stessa identità. Auguri a tutti i papà ed a coloro che portano in nome di Giuseppe, Pippo, Peppino, Giuseppina, Pina, Giusy, ed in particolare a tutti i papà che generano nella carne e nello spirito, con la gratitudine per il loro ruolo umano e spirituale nella sequela ed accompagnamento di figli e figlie. P. Angelo Sardone

Solennità di S. Giuseppe

Sintesi liturgica

Solennità di S. Giuseppe. Dalle viscere di Davide nascerà un suo discendente che edificherà la casa di Israele, avrà un trono stabile e gli sarà figlio. È la prefigurazione del vero tempio, Gesù Cristo figlio di Dio. La genealogia dell’evangelista Matteo riporta nel terzo stadio il nome di Giuseppe, lo sposo di Maria dalla quale è nato Gesù. Il grande patriarca del nuovo Testamento si colloca come ultimo anello della catena umana che garantisce la figliolanza di Gesù secondo la legge. È l’uomo giusto e non ripudia la moglie incinta per opera dello Spirito Santo: accoglie il mistero voluto da Dio Padre, impone al figlio il nome Gesù ed è ritenuto suo padre. Ama Gesù “con cuore di Padre” (Papa Francesco), custodisce la sposa come gemma preziosa. In forza della fede crede con fermezza, diventa erede: la sua speranza è premiata e gli è accreditata come giustizia. P. Angelo Sardone

Giuseppe venduto dai fratelli

«Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia» (Gn 37,3). Comincia così la storia biblica triste e gloriosa del patriarca Giuseppe, penultimo figlio di Giacobbe, avuto da Rachele. Per merito suo e per suo favore, onde sfuggire alla carestia e vivere inizialmente in un luogo sicuro, il popolo di Israele si ritroverà in Egitto dove soggiornerà per 430 anni. La sua vicenda umana è legata profondamente al padre che lo amava più degli altri e gli aveva fatto una tunica con le lunghe maniche. Il Signore lo aveva inoltre dotato di doni particolari e ciò lo rendeva inviso agli altri fratelli che lo consideravano “il sognatore”. Inviato dal padre a Sichem dove si trovavano i fratelli a pascolare, il poverino incappò nella triste vicenda di un diabolico complotto di morte. Perché non fosse ucciso, tanta era l’invidia e la gelosia dei suoi fratelli, Ruben, uno di loro che desiderava salvarlo a tutti i costi, propose il suo abbandono in una cisterna vuota col desiderio di sottrarlo vivo e di rimandarlo a casa. L’altro fratello, Giuda, invece, che pur non voleva mettergli mano addosso, escogitò la vendita per 20 sicli di argento ai mercanti madianiti diretti in Egitto. Si trattava in ogni caso di un tentativo di salvezza che si inquadrava nel piano provvidenziale di Dio. L’invidia e la gelosia sempre accecano grandi danni senza minimamente guardare in faccia a nessuno. Si svendono con facilità e per nulla, finanche gli affetti più sacri, vittime delle proprie accecanti ambizioni e della cupidigia ossessiva ed egoistica che non salvaguarda neppure i vincoli della carne e del sangue. P. Angelo Sardone

Dio scruta mente e cuore

«Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta» (Ger 17,10). Maledizione e benedizione si concentrano sull’uomo che confida o meno nel Signore ed ha in Lui il suo sicuro sostegno. Nella misura in cui ci si appoggia a Dio o non lo si fa, si merita o no la sua benedizione, le tristi conseguenze di un camminare da solo e puntare sulle sole proprie forze e sulla propria carne, cioè le potenzialità umane che talora sono possono essere piene di orgoglio e superficialità. Il Signore è sostegno e fiducia del cuore dell’uomo molte volte infido e ribelle alla totale guarigione. Sfiducia ed inganno rendono torbida la vita, alienandola spesso dallo sguardo benedicente e dal sicuro rifugio in Dio. L’eccessiva od esclusiva confidenza in se stessi con l’illusoria pretesa di farcela a tutti i costi anche dinanzi a situazioni grandemente superiori, può rendere orgogliosi; la resa incondizionata e senza giusta critica ad un potere dispotico, di qualunque natura sia, non rende l’uomo felice e lo allontana da sé e da Dio. Le conseguenze sono nefaste: l’uomo si rende arido, dimora nel deserto della vita. Al contrario quelle positive sono una rigogliosa esistenza alimentata da acque salutari lungo la cui corrente essa si vivifica. I benefici sono tanti: dalla pace interiore, alla gioia, alla responsabilità, alla condivisione, al retto modo di pensare e di agire. Il Signore che scruta mente e cuore, solleva, anima, sostiene, guida. Se non viene meno la fiducia in Lui, la vita si arricchisce sempre più e sprizza di gioia, anche in mezzo alle difficoltà ed ai problemi giornalieri. La seria esperienza di un Cristianesimo coerente lo conferma, proprio perché Dio guarisce il cuore e lo rende saldo col suo amore. P. Angelo Sardone