I vizi che pregiudicano l’ingresso nel Regno

«Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adùlteri, né depravati, né sodomìti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né calunniatori, né rapinatori erediteranno il regno di Dio» (1Cor 6,10). Affrontando questioni pratiche di gestione della vita e dei rapporti comunitari, S. Paolo fa riferimento con stupore ad alcuni comportamenti dei cristiani che risultano assurdi: si rivolgono a tribunali pagani quando invece dovrebbero risolvere le loro questioni dinanzi ai propri tribunali riconosciuti dall’autorità romana. E’ necessario che ci sia qualcuno che faccia da intermediario e conciliatore. La conclusione poi è una affermazione netta e dura che toglie qualsiasi possibilità di facile illusione: le orecchie, anche quelle dei cristiani di oggi, potrebbero rifiutarla. Ci si trova dinanzi ai primi tentativi di elaborazione di una morale cristiana. Essa comprende 10 categorie di peccati che escludono dal Regno di Dio, perché sono incompatibili con l’essere cristiano e portano alla rovina eterna. Tali vizi (immoralità, idolatria, adulterio, depravazione, sodomia, furto, avarizia, ebrezza, calunnia, rapina) provengono dai cataloghi appartenenti già all’ambiente greco e romano e sono espressione dei criteri fondamentali della morale universale. Qualunque aggiunta è superflua. Il concetto è chiaro ed inconfutabile. Non si tratta di assurdità o di concezioni di tardo medioevo, ma di elementi antichi quanto l’uomo, che compromettono anche in contesti sociali comuni e pregni di diritti civili, l’identità dell’uomo e la sacralità della sua natura, violata da simili aberranti peccati. Non ritenere esagerato tutto questo e non respingere. Rifletti invece con profondità su queste scomode verità. P. Angelo Sardone

L’immoralità a Corinto

«Si sente dovunque parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani» (1Cor 5, 1). La città di Corinto non certo brillava per moralità. In essa c’era una confluenza notevole di culture diverse con correnti di pensiero e di religione molto differenti e rilassamento di costumi che la rendeva tristemente famosa nel mondo antico. Nelle due lettere che S. Paolo scrive alla comunità cristiana ivi residente affronta e cerca di risolvere diversi delicati problemi soprattutto di carattere morale. Tipico rimane quello gravissimo dell’incesto, determinato dalla vita more uxorio tra un uomo e la moglie di suo padre, la matrigna. Questa unione che era proibita sia dal Libro del Levitico che dal diritto romano, era però tollerata dai rabbini presso i pagani che si convertivano, fino al punto che proprio a Corinto i neofiti si gonfiavano di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, ed incapaci di escludere dalla comunità il reo di questo scempio immorale. L’apostolo interviene duramente perché il colpevole sia tenuto per qualche tempo in disparte dalla comunità e dato in balìa di Satana, cioè privato del sostegno della Comunità e quindi esposto al potere demoniaco. C’era da sperare il pentimento in vista della salvezza finale. Il lievito vecchio fatto di malizia e perversità, deve cedere il posto alla pasta fresca confezionata col lievito nuovo della sincerità e verità. Il modo di pensare odierno, frutto di un ossessivo progressismo, ormai non fa più caso a tutto questo, dal momento che sono stati scalzati i valori più naturali che richiedono rispetto per la dignità umana e la sacralità del corpo e delle azioni, nelle relazioni affettive e matrimoniali. P. Angelo Sardone

Il dono della Sapienza

«Gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza» (Sap 9,18). Il libro della Sapienza presentata nel testo greco come opera del re Salomone, nella sua seconda parte tratta dell’origine della sapienza, la sua natura e le modalità per poterla ottenere. A conclusione della celeberrima preghiera, proclamata anche nella Liturgia delle Ore, l’autore sacro si chiede chi mai può conoscere il volere di Dio e provare ad immaginare cosa vuole il Signore. Facendo riferimento alla situazione umana che presenta incerte le riflessioni, la mente piena di preoccupazioni, la fatica di comprendere anche le cose a portata di mano, afferma che solo la sapienza che scende dall’alto e che viene posta in parallelo col santo Spirito, mette nelle condizioni di conoscere ed accogliere il volere del Signore. E’ Lui, infatti, che istruisce i cuori in ciò che gli è gradito e vuole che gli uomini siano salvati dai pericoli temporanei e spirituali per mezzo della sapienza, il solo tramite tra Dio e gli uomini. Nella lettura ed interpretazione cristiana, la sapienza è la personificazione di Cristo: è Lui che effonde la sua grazia perché la vita abbia un itinerario diritto e perché, comunicando i veri valori dell’esistenza, si manifesta e si compie in essa la salvezza. La sapienza va dunque invocata proprio perché non si può investigare il volere di Dio e conoscerlo semplicemente attraverso i ragionamenti umani e gli studi, ma solo attraverso il dono che il Signore gratuitamente offre a chi gliela chiede ed a chi a Lui fiduciosamente si affida. P. Angelo Sardone

Sintesi liturgica della XXIII domenica del Tempo Ordinario

Ai timidi ed incerti ragionamenti mortali sfugge la conoscenza del volere di Dio e delle cose del cielo. La sapienza che scende dall’alto e salva gli uomini, unita allo Spirito santo, permette tale conoscenza. Per essere discepolo del Signore occorre amare Dio più di quanto si amino le persone più care e la stessa vita, portare la propria croce e seguirLo. Il discernimento e la prudenza nelle scelte per costruire o andare in guerra sono il criterio efficace per la buona riuscita e per conseguire l’ammirazione altrui. Il bene da compiere non deve essere mai forzato, ma volontario e generoso, soprattutto quando si tratta di persone in difficoltà o in riscatto da situazioni particolari di vita o di schiavitù. La carità cristiana infatti, trasforma lo schiavo e l’uomo in fratello. P. Angelo Sardone

10.000 pedagoghi, un solo padre

«Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo mediante il Vangelo» (1Cor 4,15). Lo sfogo di S. Paolo ai Corinti è una reazione quasi istintiva e la manifestazione della sua prerogativa apostolica che distingue la pedagogia dell’insegnamento dalla paternità, la formazione dell’individuo dalla generazione alla vita di fede. Egli ne aveva grande coscienza dal momento che per oltre un anno e mezzo con tutte le forze, la costanza nella predicazione e la testimonianza col lavoro, aveva sollecitato i nuovi adepti alla fede cristiana ad accogliere la sua identità ed il suo ruolo carismatico. La presenza di altri predicatori, certamente animati da buona volontà, ma senza la verve profetica di chi era stato innalzato al terzo cielo e cercava con tutte le forze di comunicare le cose viste ed udite a quel livello. La fede dei neofiti è sempre un po’ ballerina fino a quando non si stabilizza in una maturità che deve i suoi effetti prima di tutto a chi insegna e guida, ma che poi si radica nella vita di chi aderisce con profondità e verità. Lo sbotto emotivo e deciso è teso a rivendicare la generazione alla vita spirituale che, ad imitazione di ciò che avviene nella natura umana, è opera di una persona. Quelli che nel frattempo si interpongono, possono essere al massimo educatori, formatori, non padri. Se lo sono nella serietà, tanto di guadagnato. Se lo sono nella leggerezza e nella superficialità, è un vero danno, per tutti. «Semel pater, semper pater», una volta che sei diventato padre, rimani sempre padre. Questo vale anche per noi sacerdoti. P. Angelo Sardone

Sacerdoti: servi di Dio ed amministratori dei suoi misteri

«Ognuno ci consideri come servi di Dio ed amministratori dei misteri di Dio» (1Cor 4,1). La sequenza settimanale della Parola liturgica proclamata dà ampio spazio alla dimensione sacerdotale, propria di S. Paolo e valida per tutti i tempi, soprattutto per noi ministri della Parola e del Pane della vita. L’Apostolo allora, il papa, i vescovi ed i sacerdoti ora, sono nativamente i servi di Dio, impiegati al servizio esclusivo del Signore per amministrare i suoi misteri al popolo di Dio. Il sacerdote ha la sua ragione d’essere nella chiamata ricevuta da Cristo a seguirlo per divenire «pescatore di uomini» nel vasto mare dell’umanità, laddove diviene sempre più difficile trovare persone che si lascino affascinare dalla grandezza e profondità della fede e diventino testimoni di un amore che supera la conoscenza umana. I misteri di Dio sono affidati a mani fragili, strumenti attivi e responsabili della condivisione della mente e del cuore delle verità rivelate da Cristo e che la Chiesa propone a credere. Ciò che si richiede agli amministratori è di essere fedeli: si tratta di verità che prima di essere comunicate devono essere assimilate da chi se ne fa interprete e garante con la sua stessa vita. Quanto è importante soprattutto oggi vivere questa fedeltà con coraggio e coerenza fino in fondo, liberi dai compromessi facili e dai tranelli che la società perbenista tende, con la certezza e la responsabilità di comunicare verità che sono via al cielo attraverso annunziatori miti e forti della Parola che salva. Questi servi e questi amministratori non s’inventano: si meritano con la preghiera insistente e fiduciosa e si seguono con la stessa umiltà con la quale essi regolano la loro vita e ne danno testimonianza. P. Angelo Sardone

Gli evangelizzatori seri

«Nessuno ponga il suo vanto negli uomini perché tutto è vostro. Voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3,21-22). La vera funzione dei predicatori mira alla crescita ed al progresso spirituale, umano e culturale dei fedeli. Al tempo di Paolo, nella comunità di Corinto, c’era stato anche Apollo che aveva predicato con intensità raccogliendo anche il consenso di numerosi corinti. Succedeva allora come oggi che i cristiani si schieravano facilmente per uno o per l’altro annunciatore, mossi da sentimenti diversi, compresa anche una certa simpatia o l’accoglienza di qualche verità stemperata da parole differenti, talora anche edulcorate. Paolo rivendica giustamente il ruolo di sapiente architetto secondo la grazia ricevuta da Dio, nel porre il fondamento sul quale Apollo o chi per lui ha continuato a costruire. Non può essere contestato il primo fondamento posto da chi è stato incaricato di ciò, né tanto meno dato libero spazio a chi intende mettere il suo fondamento che tante volte si discosta da quello insopprimibile di Cristo. Secondo come si costruisce si può adoperare oro, argento, pietre preziose, legno, paglia: questi elementi diventano ben visibili e ci si accorge ben presto se l’insegnamento è solido e prezioso, o se è misera paglia di orgoglio e superficialità diffusa che presto arde e lascia solo una scia di fumo che si perde e stoppia che vola al vento. C’è una grande verità sottesa a questa immagine paolina che si riverbera nella Chiesa di oggi a volte soggetta ad avventori del sapere teologico e dell’accattivante ed adulatoria parola con vibrazioni egoistiche e superficiali o semplici momenti sensazionali. Bisogna porre tanta attenzione facendo rilevare con dolcezza e verità a simili predicatori, l’inconsistenza di un vanto che appartiene solo a Dio ed alla fedeltà a Lui nell’esercizio del proprio ministero. P. Angelo Sardone

La seduzione di Dio

«Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso» (Ger 20,7). La straordinaria opera di Dio col profeta Geremia continua nella vita di chi, scelto da Cristo, lo segue nella via stretta della perfezione evangelica e nel sacerdozio. Oggi, 30 agosto si compiono 42 anni dalla mia ordinazione sacerdotale avvenuta ad Altamura il 1980, per le mani di mons. Salvatore Isgrò, presenti i miei genitori di f.m., i miei fratelli e mia sorella, la mia famiglia, numerosi ragazzi, giovani e famiglie cresciuti con me a Grottaferrata, il numeroso popolo di Dio che gremiva fino all’inverosimile la chiesa Cattedrale, tanti confratelli e consorelle e il mio parroco, l’indimenticabile don Michele Gesualdo. Egli aveva promosso il mio cammino formativo e religioso nella Congregazione dei Rogazionisti. Gesù sommo sacerdote trasformava così ontologicamente la mia vita consacrandomi a Sé ed al servizio del popolo di Dio nel carisma del Rogate, la preghiera ed azione per le vocazioni. Oggi come ieri il mio sentimento più vivo è la gratitudine a Dio per questo speciale dono fatto alla mia povera persona, alla mia famiglia ed all’Opera di S. Annibale, scegliendomi in mezzo ad altri uomini e costituendomi davanti a loro in tutto ciò che si riferisce a Dio per il bene di tutti. Sono consapevole più che mai di portare questo grandissimo tesoro nel fragile vaso di creta della mia umanità, della mia pochezza, e del mio limite (2 Cor 4,7). Ma tutto ciò che è stoltezza e povertà davanti agli uomini, viene subissato dalla potenza della grazia di Dio che fa di ogni sacerdote un vaso di elezione ed uno strumento efficace di salvezza. Condivido la gioia della mia nascita sacerdotale, perchè io possa continuare ad essere la sua bocca, la sua voce, la parola che proclama la grandezza della vita e la bellezza dell’amore oblativo. P. Angelo Sardone