Un ponte tra l’Oriente e l’Occidente

«Si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi» (Is 35,5). Con un linguaggio che sintetizza poesia mirabile e teologia profonda, Isaia canta il trionfo che Dio riserva per Gerusalemme unitamente alle sue benedizioni. Accanto alla natura che come personificata si ammanta di gloria e splendore per la salvezza apportata dal Messia, anche le creature reagiscono positivamente all’impatto col Salvatore costatando direttamente i miracoli sulle loro stesse persone. I ciechi vedono, le orecchie dei sordi si schiudono. I grandi miracoli operati da Cristo che, nella sua predicazione rimanda anche a questo passo, sono continuati nell’azione pastorale e di santificazione di S. Nicola di Mira (250-335), uno dei santi più popolari, invocati ed amati in tutto il mondo. Le sue gesta mirabili si configurano innanzitutto nell’esercizio della carità verso i più deboli ancor prima che fosse eletto vescovo a Mira: la dote procurata alle tre fanciulle povere per il matrimonio onde evitare che finissero sulla strada; il frumento destinato all’imperatore Costantino, che viene scaricato nel porto di Mira a beneficio del popolo nella terribile carestia; i tre innocenti salvati dalla lapidazione già decretata; la riduzione delle tasse a favore del popolo vessato dalla penuria. La sua fama di santità riempì sin d’allora l’intero mar Mediterraneo fino a giungere a Bari da dove partì una spedizione navale che si impadronì delle sue reliquie portandole a Bari dove tuttora è venerato. Il suo culto fa da ponte che unisce l’Oriente con l’Occidente. Auguri a tutti coloro che portano ilo nome di Nicola. P. Angelo Sardone

Da Gerusalemme verrà la luce

«Rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Le attenzioni dei profeti sono rivolte a Gerusalemme. I motivi sono diversi: è il centro della fede e del culto del popolo; da essa verrà la salvezza col Bambino che nascerà e che come Servo di Jahwé darà compimento alla volontà del Padre donando la sua vita. Soprattutto nella Comunità ebraica della dispersione, la cosiddetta “diaspora” la vita religiosa e di fede era mantenuta attraverso i rapporti con la città santa, Gerusalemme, avendo come mezzi la preghiera, l’osservanza della legge, i sogni messianici colmi di benedizione. Le vesti del lutto e dell’afflizione testimoniano la sofferenza per la deportazione in Babilonia e la perdita della libertà, senza speranza di restaurazione. Il profeta Baruc, compagno ed amanuense di Geremia, nel libro che porta il suo nome, invita il popolo ed in particolare Gerusalemme a rivestirsi invece dello splendore della gioia che viene direttamente dal Signore. I tempi calamitosi e duri dell’esilio saranno superati dalla luce nuova della liberazione e della gloria che verrà con la misericordia e la giustizia. E ciò sarà per sempre. In un tempo nel quale con molta facilità e leggerezza si abbandona il certo per l‘incerto anche nella dimensione di fede, nel quale si fa guerra anche a livello europeo a tutto ciò che richiama radici cristiani e sentimenti che per millenni hanno regolato la vita e l’opera degli uomini di tutto il mondo, bisogna riscoprire e valorizzare queste indicazioni che superano di gran lunga, anche nell’impatto sociale, il sentire malsano di certe correnti che sanno di barbaro, se non di diabolico. P. Angelo Sardone

Andiamo incontro al Maestro

«Rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre» (Bar 5,1). Le attenzioni dei profeti sono rivolte a Gerusalemme. I motivi sono diversi: è il centro della fede e del culto del popolo; da essa verrà la salvezza a partire dal Bimbo che nascerà e che come Servo di Jahwé darà compimento alla volontà del Padre donando la sua vita. Soprattutto nella comunità ebraica della dispersione, la cosiddetta “diaspora” la vita religiosa e di fede era mantenuta attraverso i rapporti con la città santa, Gerusalemme, avendo come mezzi la preghiera, l’osservanza della legge, i sogni messianici comi di benedizione. Le vesti del lutto e dell’afflizione testimoniano la sofferenza per la deportazione in Babilonia e la perdita della libertà, senza speranza di restaurazione. Il profeta Baruc, compagno ed amanuense di Geremia, nel libro che porta il suo nome, invita il popolo ed in particolare Gerusalemme a rivestirsi invece dello splendore della gioia che viene direttamente dal Signore. I tempi calamitosi e duri dell’esilio saranno superati dalla luce nuova della liberazione che verrà con la misericordia, la giustizia, la gloria. E ciò sarà per sempre. In un tempo nel quale con molta facilità e leggerezza si abbandona il certo per l‘incerto, anche nella dimensione di fede, nel quale si fa guerra anche europea a tutto ciò che richiama radici cristiani e sentimenti che per millenni hanno regolato la vita e l’opera degli uomini in tutto il mondo, bisogna riscoprire queste indicazioni che superano di gran lunga, anche nell’impatto sociale, il sentire malsano di certe correnti che sanno di barbaro, se non diabolico. P. Angelo Sardone

Il grande missionario dell’Est del mondo

La semina del mattino

519.«Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; gli occhi dei ciechi vedranno» (Is 29,18). La venuta del Signore è sconvolgente. La stessa natura subisce l’impatto della sua presenza. Si mutano le cose. L’attesta la simbologia profetica: il Libano rigoglioso diviene un frutteto; il frutteto diviene una selva. I sordi odono e gli occhi dei ciechi vedono; gli umili si rallegrano, i poveri gioiscono. La predicazione del Vangelo porta la sapienza che apre alla comprensione delle cose e coloro che la ricevono santificano il nome del Signore e lo temono. Nella linea della predicazione, arso dello zelo dell’annunzio si muove il più grande missionario dei tempi moderni S. Francesco Saverio (1506-1552). L’incontro con Ignazio di Loyola e Pierre Favre fu determinante nella sua vita: da loro e con loro nasce la Compagnia di Gesù, il 15 agosto 1534. In risposta all’invito di papa Paolo III, partì missionario per l’evangelizzazione nelle Indie orientali giungendo a Goa dopo un anno di viaggio e poi a Taiwan. Mentre era impegnato in Giappone nel 1549 a Kagoshima cominciò a vagheggiare l’idea di raggiungere la Cina, ma essendosi ammalato morì nell’isola di Sancian. Il suo ardore missionario, vigoroso e seducente, tocca vertici molto alti nelle sue espressioni rimaste celebri e contenute in una lettera a S. Ignazio. Desiderava percorrere le Università d’Europa e gridare come un pazzo per scuotere le coscienze indicando il gran numero di anime che si perdono per mancanza di evangelizzazione. «Mandami dove vuoi!» rimane il suo grido di battaglia. Le Indie oggi sono la nostra povera Europa sempre più scristianizzata e repellente alle profonde sue radici cristiane, fino a rifiutare finanche il Natale! P. Angelo Sardone

La roccia eterna è la Parola che salva

«Aprite le porte. Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna» (Is 26,4). L’Avvento è tempo di speranza. La Parola di Dio che la rende certa e forte, induce alla gioia ed al canto. Nel linguaggio profetico la città di Gerusalemme diviene il riferimento costante della religiosità del popolo d’Israele e luogo dell’incontro col Signore, la città della salvezza. Le sue porte devono essere sempre aperte per accogliere il popolo giusto e fedele il cui animo è saldo e la cui ricerca è la pace e la fiducia. Il Signore ha provveduto ad abbattere la città eccelsa, cioè superba, insieme con i suoi abitanti arroccati nell’alto delle loro posizioni ambiziose con la pretesa quasi di essere superiori a Dio. Il risultato è un ammasso di macerie sulle quali passano i piedi degli oppressi e dei poveri. Al contrario Dio è roccia eterna: se si confida in Lui si ha salva la vita e si è nella gioia. Incamminati verso il Signore che viene, la Parola di Dio diviene stimolo ed incentivo alla vera speranza che permette di vedere già ora il non ancora e spinge a camminare sulle macerie del proprio egoismo o della passività della propria fede sconsolata e provata, per andare verso la rocca, in alto. Occorre camminare e tenere lo sguardo fisso verso la meta. Il cammino dell’Avvento è uno stimolo efficace per accogliere la Parola e lasciarsi da lei guidare verso il luogo dove un piccolo bambino confonde la maestà dei grandi, la povertà della stalla si oppone e sovverte la sontuosità del palazzo, la roccia eterna si erge sontuosa. P. Angelo Sardone

Il banchetto del Messia

«Ecco il nostro Dio; è il Signore in cui abbiamo sperato» (Is 25,9). Gli oracoli messianici del profeta Isaia diventano incalzanti. Riprendendo temi sviluppati da altri profeti anteriori, egli descrive l’afflusso dei popoli della terra a Gerusalemme per la celebrazione di un sontuoso e gustoso banchetto. Questa idea diverrà ricorrente nel Giudaismo prima e poi nel Cristianesimo. Velo e coltre di vergogna saranno strappati, la morte sarà eliminata, le lagrime asciugate da ogni volto, la condizione disonorevole annientata. Allora tutti i popoli grideranno all’evento: “questo è il nostro Dio e Signore nel quale è stata riposta tutta la speranza”. Alla poesia si alterna la teologia fine e delicata che fa guardare universalmente a Gerusalemme, il punto di riferimento religioso e teocratico del popolo di Israele. Dio manifesterà la sua potenza attraverso un bambino inerme ed indifeso; il suo amore che scuote la terra attraverso il vagito di un neonato; la sua gloria attraverso la povertà di un minuscolo villaggio, Betlemme, una coppia di coniugi, Giuseppe e Maria, la nascita in una stalla. Per non ridurre il Natale a semplice poesia con il corredo delle luci, le nenie, l’articolato e colorito menù, i regali, occorre tendere le orecchie ad accogliere le sollecitazioni profetiche e liturgiche che ogni giorno attestano la verità sconvolgente di un Dio che ama, provvede ai suoi figli e che li salva con la mediazione del Figlio suo che diventa Figlio dell’uomo. L’Avvento sarà pieno nella misura in cui ci si apre all’evento, di cui “l’Ecco” è la chiave introduttiva. P. Angelo Sardone