La grande statua e la pietra misteriosa

«Il sogno è vero e degna di fede ne è la spiegazione» (Dan 2,45). Dio concede al suo servo Daniele la capacità di interpretare i sogni. Alla corte di Nabucodonosor i maghi e gli esperti divinatori non sono in grado di dare una risposta precisa al re che ha fatto un sogno che lo ha turbato e di cui chiede una spiegazione. Non si tratta semplicemente di un rigurgito inconscio di pensieri che affollano la sua mente notte e giorno, ma di una indicazione che Dio da per la storia e l’evoluzione del regno stesso. La possente statua sognata dal re altro non è che la rappresentazione plastica del regno di Nabucodonosor e delle sue prossime vicende. La successione dei grandi imperi storici viene presentata col segno di una enorme statua composta dalla testa ai piedi di metalli decrescenti, dall’oro della testa fino al ferro dei piedi, dall’età più splendente e florida a quella del declino inesorabile. Una pietra misteriosa staccatasi dalla montagna colpisce i piedi della statua, miscuglio di ferro ed argilla e ciò provoca inevitabilmente la caduta di essa e la riduzione in polvere di tutti i composti metallici, dal più grezzo al più nobile. Il potente regno dei Caldei decrescerà fino a perdere la consistenza. Un regno nuovo prenderà il suo posto, misterioso come la pietra che si è staccata. Sarà il Regno del Messia, di Gesù che si autodefinirà “pietra d’angolo” rigettata dai costruttori e pietra di fondazione del nuovo edificio che è la Chiesa. La storia del popolo d’Israele confluisce e si realizza nella nuova era storica avviata da Cristo dinanzi al quale anche le più possenti costruzioni ed operazioni si riducono in polvere portata via dal vento senza lasciare traccia. P. Angelo Sardone

I giovani ebrei alla corte di Nabucodonosor

«Mettici alla prova per dieci giorni, dandoci da mangiare verdure e da bere acqua quindi deciderai di fare con i tuoi servi come avrai constatato» (Dan 1,12). Nel 587 a.C. si compie interamente il misfatto per Gerusalemme. Ciò che era cominciato dieci anni prima, si realizza fino in fondo. La città di Sion, il punto di riferimento religioso e sociale di Israele cade abbattuta dalla dirompente forza di Nabucodonosor con la relativa deportazione a Babilonia del re e dei suoi sudditi. Alla corte babilonese sono ammessi quattro giovani ebrei scelti per esse introdotti alla cultura ed alla lingua dei Caldei. Il più in vista è Daniele. Gli altri sono Anania, Azaria e Misaele: ricevono un nome nuovo e saranno educati per tre anni per entrare poi al servizio del re. La loro scelta comporta l’assuefazione agli usi e costumi caldei a cominciare dal cibo. Desiderosi di non contaminarsi con le vivande regali, chiedono al sovrintendente di dare loro legumi ed acqua. Dopo dieci giorni il confronto con gli altri giovani avrebbe decretato la bontà o meno della richiesta. La conclusione fu positiva: portati dinanzi al re risultarono eccellenti sia nel fisico che soprattutto in affari di sapienza ed intelligenza, dove risultarono superiori dieci volte a tutti i maghi ed astronomi. Il Signore premia la fedeltà dei suoi eletti manifestata nella rigorosa osservanza della sua legge ed ancora oggi chiunque a Lui si affida e mette in pratica le sue indicazioni, sta bene fisicamente e moralmente, anzi può risultare superiore al confronto con altri più leggeri ed inosservanti. P. Angelo Sardone

La presentazione di Maria al Tempio

«Portiamola al tempio del Signore, per compiere la promessa che abbiamo fatto» (PdG,VII). La tradizione riportata dal Protoevangelo di Giacomo, un apocrifo del II secolo, scritto cioè non riconosciuto ispirato e non accolto nella Sacra Scrittura, riferisce che Maria, figlia di Giacchino ed Anna, era una bambina precoce, dal momento che a sei mesi già camminava. Quando giunse all’età di tre anni, svezzata ed in grado di “non cercare più il padre e la madre”, fu condotta al Tempio di Gerusalemme per essere donata al Signore ed adempiere la promessa fatta a suo tempo dai due anziani genitori. Accogliendola il sacerdote la baciò e profetizzò che per mezzo suo alla fine dei tempi il Signore avrebbe compiuto la redenzione dei figli di Israele. Massimo il Confessore, un santo del VII secol, nella sua «Vita di Maria» descrive il rito evidenziando la gloria e l’onore col quale Maria fu condotta, preceduta da molte vergini con le lampade accese, come preannunciato dal re e profeta Davide (Sal 44,15). I genitori se ne tornarono a casa meravigliati e lodando il Signore perché la bimba non si era voltata. Maria rimase nel Tempio come una colomba, alimentata da un angelo fino all’età di 12 anni quando fu affidata a Giuseppe perché divenisse sua sposa. Nelle vergini al tempio la Chiesa ha visto le anime consacrate che seguono Maria nell’offerta radicale della propria vita a Cristo, lo servono e lo imitano nel cammino della santità. Per questo sin dal 1953 nella memoria della Presentazione di Maria al tempio si celebra la Giornata Pro Orantibus, invitando a pregare per le monache ed i monaci di clausura di tutto il mondo, riconoscendo nell’offerta della Vergine a Dio, l’ideale della vita consacrata. P. Angelo Sardone

Solennità di Cristo Re dell’universo

XXXIV domenica T.O. Il Signore viene sulle nubi del cielo: a Lui sono stati conferiti potere eterno e gloria infinita. Il suo regno è indistruttibile e non finirà mai. Cristo è il Re dell’universo, re di un regno celeste ed eterno che proclama e testimonia la verità inducendo ad ascoltare chiunque viene dalla verità. Lo riconosce finanche Pilato, espressione del potere umano. Gesù è nato ed è venuto nel mondo per essere re, testimone fedele, sovrano dei re della terra. Il suo regno di giustizia, amore e pace si compie sulla terra e sarà manifesto alla fine dei tempi sulle nubi del cielo perché tutti possano vedere. P. Angelo Sardone

Ambizione e desiderio di possesso anticipano la fine

«Il re si mise a letto e cadde ammalato per la tristezza, perché non era avvenuto secondo quanto aveva desiderato» (1Mac 6,8). L’arroganza e la superbia di Antioco IV si scontra con la realtà che non sempre riserva il profitto ed il raggiungimento degli obiettivi prefissi. Le sue vittorie ed il suo dominio accecato dal desiderio del possesso di città e beni materiali arriva al capolinea quando non riesce nell’intento e viene vilmente rigettato, costretto a tornarsene a Babilonia sconfortato e depresso. Il mancato raggiungimento del suo scopo vittorioso, lo fa ammalare e lo costringe a letto. Fa memoria della sua vita valutando la sua fortuna, le sue vittorie ed i trofei, al contrario di ora che ha grave tribolazione e terribile agitazione. Si rende conto però dei mali commessi a Gerusalemme e delle spedizioni punitive senza alcuna ragione contro Giuda. Comprende che ciò che sta vivendo è il risultato conseguente degli atroci mali commessi. La sua fine è irreparabile: muore triste in un paese straniero. Il racconto storico si muove sulla falsa riga di quanto anche lo storico greco Polibio aveva anche scritto definendolo “abile in battaglia ed ardito nei suoi progetti”. Tutto finisce. Anche la gloria e l’ambizione di un re si scontrano con la delusione di progetti non realizzati e di forze maggiori delle proprie capacità volitive e di fatto. La chiusura in se stessi e la facile depressione costringono dentro un letto di frustrazioni e di buio impenetrabile. La grazia di Dio ed il sostegno vigile ed intelligente di medici e sacerdoti possono curare ed alleviare uno stato così provato di morte anzitempo. P. Angelo Sardone

La grandissima gioia per la riconsacrazione del tempio

«Grandissima fu la gioia del popolo, perché era stata cancellata l’onta dei pagani» (1Mac 4,58). La sonora sconfitta inflitta ai nemici, induce il grande condottiero Giuda Maccabeo a radunare il popolo per purificare e riconsacrare il santuario di Gerusalemme. Il rituale si svolge con grande solennità ed è accompagnato dai canti e dal suono di cetre, arpe e cimbali. Il popolo partecipa festante ed adora il Signore che si è mostrato propizio verso di loro. La festa della dedicazione dell’altare si protrasse per otto giorni e si stabilirà di ripeterla con lo stesso cerimoniale ogni anno. Un singolare elemento che caratterizza la liturgia è la gioia grandissima del popolo per essersi riappropriato del luogo santo ed aver cancellato la vergogna subita dal nemico. La gioia di aver ripreso in mano il luogo dell’incontro con Dio e la realizzazione di un nuovo altare per il sacrificio, cancellano e ripagano il dolore sofferto per l’onta subita. Quando anche oggi si inaugura una nuova chiesa o si consacra un nuovo altare ci si rifà idealmente al grande avvenimento del tempo dei Maccabei. Il vescovo col sacro crisma unge e consacra l’altare che non solo permetterà di accogliere le offerte per il sacrificio eucaristico, ma sarà il segno stesso di Cristo. Il sacerdote, infatti, all’inizio ed alla fine della S. Messa bacia l’altare che è ornato di veli e tovaglie preziose e in particolari circostanze lo incensa. La gioia deve caratterizzare ogni celebrazione eucaristica dal momento che sull’altare si rinnova il mistero della morte e risurrezione di Cristo, ci ritrova come popolo di Dio in festa, si torna a casa pieni del dono della Parola e saziati del cibo della vita. P. Angelo Sardone

La straordinaria madre-coraggio

«Figlio, non temere questo carnefice, ma accetta la morte, perché io ti possa riavere insieme con i tuoi fratelli nel giorno della misericordia» (2Mac 7,29). La storia commovente di una mamma-coraggio, anonima madre ebrea dei fratelli Maccabei, sfida il tempo presentandosi come un esempio di eroica coerenza nella scelta della morte invece che dell’apostasia della fede imposta dal dominio siro-ellenistico. Dotata di un coraggio fuori di ogni normalità, ella esorta i suoi sette figli a non desistere dalla fede dei Padri, andando incontro alla morte, sicuri di entrare nella vita nuova. Ad uno ad uno i figli con sorprendente coraggio testimoniano davanti al boia che agiva con metodi molto crudeli, la fierezza della loro fede confutando la dottrina e lo stile di vita greco che chiedeva loro di abiurarla. Si tratta della bellissima testimonianza di un’intera famiglia votata al Signore che manifesta la fiducia in Dio ed il suo aiuto nell’ora della prova. Il racconto storico dell’avvenimento, detto “Passione dei santi Maccabei”, nel tempo ha trovato una grande diffusione e divenne modello per diversi atti di martiri. Le incisive parole della madre fanno da sostegno ai figli che, uno per uno, prima di cadere uccisi, pronunziano davanti al boia parole straordinarie di coraggio e di fede, intrise di intensa teologia soprattutto in riferimento alla risurrezione. Ad uno ad uno li ha rigenerati nella fede matura, coerente ed eroica. La Chiesa nel corso della sua storia ha annoverato altri analoghi esempi. L’aristocratica e scristianizzata società occidentale nasconde o tace testimonianze simili che, indipendentemente dalla religione professata, farebbero tanto bene alle nuove generazioni di genitori e figli, sballottati a volte da fedi inconcludenti e paure latenti. P. Angelo Sardone

La fede coerente e coraggiosa

«Non è affatto degno della nostra età fingere, con il pericolo che molti giovani, per colpa della mia finzione, si perdano per causa mia» (2Mac 6,24-25). La liturgia presenta una nobile figura di scriba, il novantenne Eleazaro, che durante il tentativo di ellenizzare gli Ebrei da parte di Antioco IV Epifane, rifiutò di mangiare la carne di maiale, proibitissima agli Ebrei, ritenendo che la resa di un uomo della sua età, avrebbe potuto indebolire il coraggio e la fede dei giovani. I più vicini, per sottrarlo alla morte, avrebbero voluto che lui fingesse, mangiando la pietanza che lui stesso aveva preparato, ma egli facendo un ragionamento saggio e nobile, preferì andare incontro al patibolo. La sua età ed il prestigio di una condotta irreprensibile nell’osservanza della Legge, non gli consentivano di dare cattivo esempio ai giovani e macchiare la sua vecchiaia. Fu una pazzia, ma degna della coerenza di una persona veramente matura nella fede e timorata di Dio. Il suo esempio è imperituro ed a distanza di millenni rimane una icona di serietà, compostezza, fedeltà alla Legge di Dio e rifiuto del compromesso. Quanto divario c’è, soprattutto oggi, dal dire di credere in Dio e dal manifestare in concreto con gesti e scelte coraggiose la verità della propria fede e la coerenza che ne consegue. E ciò ad ogni età e condizione sociale e religiosa. Aveva ragione S. Ignazio di Antiochia quando affermava: «è meglio essere cristiani senza dirlo piuttosto che proclamarlo senza esserlo». Una finta religiosità prevalentemente emotiva e senza radici porta alla facile apostasia ed all’ipocrisia ed elude la coerenza della fede. P. Angelo Sardone

Il rigore morale di Mattatia

«Molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi impuri e preferirono morire pur di non contaminarsi» (1Mac 1,62). La sezione dei libri storici della Bibbia cristiana si chiude con due, detti “Dei Maccabei” che non rientrano nel canone giudaico, ma sono comunque ritenuti ispirati. Contengono la storia delle lotte sopportate dai Giudei per la libertà politica e religiosa del popolo e suscitate dai re Seleuciti. Prendono il nome da Giuda, soprannominato “maccabeo”, cioè “martello”, che è l’eroe protagonista. Egli è il capo della insurrezione contro Antioco IV Epifane. Il soprannome passò all’intero periodo storico giudaico. Erano in campo da avversari il potere ellenistico conquistatore, nella persona di Antioco, “radice perversa” e da figli empi di Israele che preferivano fare accordi coi popoli conquistatori, e Mattatia che invece incitava alla guerra santa per non essere contaminati dalle istituzioni ed usi pagani. Antioco infatti saccheggiò il Tempio e prescrisse l’unificazione dei vari popoli, compresso quello giudaico, l’abbandono delle leggi, i sacrifici con carni immonde. Per Israele ciò costituiva il più alto sacrilegio. Tutto era in subbuglio: la vendetta dell’empio re era la morte di innocenti ed osservanti della Legge. Molti non volendo contaminarsi andavano incontro alla morte. È una grande lezione storica di coraggio e coerenza di uomini e donne dotati di fede certa e solide convinzioni religiose, non fanatiche, ma osservanti in pieno della Legge di Dio. Tanto si ha da imparare da questi esempi e questi gesti: molti cristiani di oggi con facilità preferiscono rinunziare alle loro convinzioni e seguire modi di pensare ed agire che contravvengono esplicitamente alla legge di Dio. P. Angelo Sardone

La fine del mondo

«Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni; sarà salvato chiunque si troverà scritto nel libro» (Dn 12,1). La fine dell’anno liturgico è caratterizzato dalla lettura di testi particolari che parlano della fine del mondo e dell’escatologia. La Chiesa riserva in quest’ultimo periodo prima di intraprendere il nuovo anno, considerazioni sul senso e la realtà della fine delle cose e del mondo, come Gesù Cristo stesso aveva preannunziato. Lungi dal destare una naturale paura, questo tempo che coincide col mese di novembre dedicato alla riflessione sulla morte ed alla venerazione dei defunti, diviene tempo propizio per aprire la mente ed il cuore a considerare la finitezza delle cose e regolare pensieri ed azioni su un versante di bene e di amore. Uno dei testi dell’Antico Testamento sulla resurrezione della carne, il libro profetico di Daniele, introduce la figura angelica di Michele, il grande principe che vigila su Israele. Daniele era un giovane giudeo deportato alla corte di Nabucodonosor ed ivi rimasto fino al terzo anno del re Ciro (537 a.C.). Al tempo della fine è dedicato il capitolo 12 con una visione singolare che riporta la più antica espressione di fede nel mistero della risurrezione. Dopo un periodo di grandi tribolazioni i morti risorgeranno alcuni per la vita eterna altri per la condanna. Non si sa quando sarà la fine: il mistero è sigillato nel tempo. Tale resta anche oggi. Gesù lo ha confermato chiaramente: la conoscenza del tempo di realizzazione di questo evento appartiene solo al Padre, nessuno lo sa. Con buona pace dei Testimoni di Geova e dei Millenaristi! P. Angelo Sardone