La cacciata dal Paradiso terrestre

La semina del mattino

226. «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (Gen 3,23). La storia gioiosa dell’uomo e della donna nel Paradiso terrestre viene infranta dalla tragedia della colpa originale. Chiamati a condividere la gioia e la prosperità del giardino ricco di frutti di sapienza e di grazia, i nostri progenitori, avendo aderito all’ingannevole invito del serpente, hanno violato la fiducia e la libertà amorevole che il Signore aveva loro dato. La seduzione diabolica, a cominciare dalla donna, ha disorientato il progetto di amore e di bene che il Signore aveva fatto coinvolgendo nella responsabilità le sue più elette creature. Le conseguenze sono gravi: la nudità esterna è la manifestazione della povertà spaventosa che si è generata per aver rifiutato l’obbedienza a Dio. Le dure parole indirizzate dal Creatore all’uomo ed alla donna manifestano la loro nuova situazione di vita compromessa dal peccato originale: il sudore della fronte per procacciarsi il pane per vivere, le gravidanze moltiplicate per la donna e i dolori del parto uniti al dominio subito dall’uomo, sono in sintesi il bagaglio che Adamo ed Eva si ritrovano addosso e che consegneranno all’intera umanità attraverso la trasmissione della vita. La drammatica conclusione è la cacciata dal paradiso e l’assunzione della loro responsabilità in un mondo che d’ora in poi sarà travagliato e nel quale tutto dovrà essere cercato e realizzato a forza di lavoro, impegno e preoccupazioni. Dio comunque non abbandonerà mai le creature umane orientate alla salvezza operata da Cristo. P. Angelo Sardone

L’uomo scacciato dal Paradiso terrestre

La semina del mattino

226. «Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden, perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto» (Gen 3,23). La storia gioiosa dell’uomo e della donna nel paradiso terrestre viene infranta dalla tragedia della colpa originale. Chiamati a condividere la gioia e la prosperità del giardino ricco di frutti di sapienza e di grazia i progenitori avendo aderito all’ingannevole invito del serpente hanno violato la fiducia e la libertà amorevole che il Signore aveva loro dato. La seduzione diabolica, a cominciare dalla donna, ha disorientato il progetto di amore e di bene che il Signore aveva fatto coinvolgendo nella responsabilità le sue più elette catture. Le conseguenze sono gravi: la nudità esterna è la manifestazione della povertà che si è generata per aver rifiutato Dio. Le ingiunzioni pronunziate da Dio sull’uomo e sulla donna manifestano la nuova situazione vitale compromessa dal peccato: il sudore della fronte per procacciarsi il pane, le gravidanze moltiplicate alla donna e i dolori del parto unito al dominio subito dall’uomo, sono in sintesi il bagaglio che l’uomo e la donna si ritrovano addosso e che consegneranno all’intera umanità attraverso la trasmissione della vita. La conclusione è la cacciata dal paradiso e l’assunzione della responsabilità in un mondo che diverrà travagliato e nel quale tutto dovrà essere cercato a forza di lavoro, di impegno e preoccupazioni. P. Angelo Sardone

Gloria di Dio è l’uomo vivente

La semina del mattino

223. «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). Il racconto della creazione si fa sublime quando Dio dal suolo trae l’uomo e lo rende vivente.

All’inizio del secondo capitolo della Genesi secondo la fonte cosiddetta Jhavista, (da Jahwè, Signore, il nome che qui viene adoperato), l’autore sacro torna sulla creazione dell’uomo con sfumature più intense. Tutta la realtà creata culmina nell’arrivo dell’uomo del quale si dice originato dalla terra, creatura di terra, e nel quale, cosa unica, Dio soffia l’alito di vita, rendendolo vivente. Dio gli dona l’anima umana, la coscienza, la libertà, doni riservati solo all’uomo che somiglia a Dio, e lo differenzia da tutti gli altri esseri rendendolo superiore col potere di conferire il nome alle cose create. L’uomo, creato ad immagine di Dio, occupa un posto unico nella creazione; è un essere composto da corpo e spirito, non è qualcosa, ma qualcuno. È dotato di un corpo che lo rende partecipe della dignità di immagine di Dio, e di un’anima, cioè di un principio spirituale: per questo è destinato a diventare il tempio dello Spirito Santo. È la più grande figura vivente, “più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione” (S. Giovanni Crisostomo). Il genere umano in forza dell’origine comune forma una unità: Dio “creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini” (At 17,26). Nell’unità di corpo ed anima l’uomo è dunque la sintesi degli elementi materiali che in lui prendono corpo, per lodare il Creatore e tendere a Lui. P. Angelo Sardone

Tutto è buono ciò che viene da Dio

La semina del mattino

221. «Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,3.12.18). È questo il ritornello che accompagna i sei giorni della creazione e col quale Dio Padre chiude con compiacenza giorno per giorno la sua opera. L’autore sacro narra l’evento della creazione dell’universo e la riveste di una coloratura antropomorfica. Adopera questa sottolineatura come insegnamento rivelato, con uno stile colorito e vivace ed una singolare ricchezza narrativa. L’espressione contiene il valore e l’apprezzamento del Creatore dinanzi ad un progetto perfetto che sta realizzando a cadenza giornaliera, dove ciascuna cosa ha una posizione fissa, uno scopo e una funzione per sempre, secondo la legge di natura da Lui impressa. Si tratta di forma perfetta con una struttura di autorità divina che imprime una forma destinata a rimanere per sempre. Solo Dio, essere perfettissimo, poteva esprimere fuori di sé una creazione perfetta che lascia a bocca aperta mentre si scoprono le leggi impresse e la loro assoluta bellezza. Al termine dell’esamerone (i sei giorni), dopo aver creato l’uomo e la donna, l’originaria espressione si colora ulteriormente di un aggettivo migliorativo ed accrescitivo: “vide che era cosa molto buona” (Gen 1,31). Se la natura vegetale ed animale, sulla terra, nei cieli e nei mari era buona, a maggior ragione lo era quella umana, come espressione di una persona creata a sua immagine e somiglianza, che partecipa alla natura divina attraverso la grazia. Alle creature umane Dio ha dato in possesso e dominio la natura e l’universo perché tragga alimento per vivere e motivo per esaltare la gloria del Creatore. P. Angelo Sardone.

Fare tutto per il Vangelo

La semina del mattino

220. «Tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9,23). L’annuncio del Vangelo è stato il primo compito assolto da Gesù nel suo itinerario terreno, essendo Lui stesso la Parola. Coinvolti in questa responsabilità i discepoli divennero messaggeri della Parola che salva ed inviati (di qui il nome “Apostoli”), facendo ruotare l’intera loro vita nel e per il Vangelo. La loro vocazione fu proprio in funzione di una collaborazione efficace come “servi della Parola”. L’ascolto e l’assimilazione degli insegnamenti di Gesù li resero trasmettitori fedeli mentre la fede si diffondeva attraverso l’ascolto. L’apostolo Paolo, il più grande missionario di tutti i tempi, afferrato da Cristo è divenuto il comunicatore più profondo di quanto ha ascoltato ed ha sottomesso tutto il suo essere ed il suo agire al ministero consegnatogli da Cristo. La predicazione del Vangelo esige prima di tutto una personalizzazione esistenziale determinata dal primo interlocutore, Gesù Cristo, e dalla potenza e grandezza del messaggio da comunicare. Tutto il contenuto evangelico si deve esprimere come vincolo di intima comunione con Dio e con i fratelli. Ciò crea ancora oggi nei cristiani un rapporto anche affettivo e di grande responsabilità nei confronti di un dono che è stato elargito perché sia diffuso e coinvolga il maggior numero di ascoltatori. Implica inoltre per chi lo comunica, una sorta di assimilazione con gli altri, facendosi tutto a tutti nel tentativo di salvare ad ogni costo qualcuno. Chi diffonde il Vangelo con la sua vita diviene necessariamente parte di esso e sua concreta testimonianza. P. Angelo Sardone

5ª domenica del Tempo Ordinario

Le considerazioni del paziente Giobbe sono realistiche pur manifestando un tono di cupo pessimismo. Illusione, affanno, insonnia, soffio repentino, incertezze, sono espresse come elementi senza speranza. La presenza e gli interventi terapeutici di Gesù sono efficaci non solo per la suocera di Pietro vittima della febbre, ma anche per tutti gli ammalati, gli indemoniati, gli affetti da varie malattie. Tutta la città è presente. La sua forza nasce dalla unità orante col Padre nella costante preghiera e mosso dalla necessità di andare altrove a predicare il Vangelo ed a scacciare i demoni. L’annunzio del Vangelo per l’Apostolo Paolo è una necessità non un vanto, un incarico affidato per guadagnare a Cristo il maggior numero di persone: debole con i deboli, tutto a tutti. Fare tutto per il Vangelo rende partecipi di esso. P. Angelo Sardone.

La confessione della fede

La semina del mattino

219. «Per mezzo di Gesù offriamo a Dio un sacrificio di lode, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome» (Eb 13, 15). La proclamazione o confessione della fede è un elemento primordiale di risposta al dono di Dio per la crescita personale e per la salvezza. «Se confesserai che Gesù è il Signore tu sarai salvo» (Rom 10,9), scrive S. Paolo. L’offerta più completa del sacrificio è stata fatta da Cristo sull’altare della croce dove ha mirabilmente unito la Parola insegnata fino all’ultimo momento col perdono ai crocifissori, con l’abbandono nelle mani del Padre con il corpo donato ed il sangue versato. Le labbra del cristiano confessano il nome di Dio, cioè riconoscono la grandezza del Creatore e proclamano la sua lode anche a costo di persecuzioni. L’esperienza dei martiri, autentici confessori della fede, testimonia l’adesione convinta all’annuncio di Cristo, imitandolo fino in fondo. Il terribile supplizio della croce toccò al gruppo di circa una trentina tra giapponesi che dopo la predicazione di S. Francesco Saverio avevano abbracciato la fede cristiana e missionari. Erano gesuiti e francescani, religiosi e laici Terziari. Tra questi S. Paolo Miki, primo religioso cattolico giapponese e gesuita che aveva abbracciato la fede cristiana a 22 anni ed era diventato valente predicatore in tutto il paese. Il racconto del loro martirio a Nagasaki, che il 9 agosto 1945 sarà distrutta dalla bomba atomica, ripropone crudamente il Vangelo della croce, ma anche e soprattutto la forza della verità derivante da Cristo, unica via di salvezza che insegna a perdonare ai nemici e ad istruirsi sul dono della fede. È una testimonianza eloquente di grande attualità. P. Angelo Sardone

S. Agata eroina di virtù

La semina del mattino

218. «Il Signore è il mio aiuto, non avrò paura. Che cosa può farmi l’uomo?» (Eb 13,6). La Lettera agli Ebrei è ricca di citazioni bibliche che diventano fondamento nella trattazione delle problematiche e suggellano la verità enunziata. È il caso del Salmo 118,6 del quale riporta l’interrogativo. L’articolata omelia del grande dottore di Gerusalemme ingloba anche indicazioni pratiche valide per ogni tempo: l’amore fraterno che deve rimanere saldo; l’ospitalità che deve essere praticata; la condotta votata alla generosità ed alle opere di misericordia corporali, il matrimonio e la sua grandezza. Quest’ultimo deve essere salvaguardato dalle frodi e dalle cupidigie dei fornicatori e degli adulteri. In ogni situazione Dio non lascia soli e non abbandona! Tale esperienza è stata vissuta dalla ricca, giovane e nobile S. Agata, eroina di Catania vissuta e martirizzata nel III secolo. Il suo nome, dal greco significa “buona”. La tradizione la vuole consacrata a Dio col velo rosso, tipico delle vergini votate a Cristo. Non valsero a distoglierla dal proposito i ripetuti tentativi di seduzione di un Proconsole romano invaghito di lei, né le vessazioni immorali di ogni specie, né il processo, né le torture cui fu sottoposta. Le furono strappati i seni con le grosse tenaglie; fu gettata nel fuoco ma un terremoto evitò l’esecuzione. Gettata agonizzante in cella, morì. Non ebbe paura di nulla, consapevole di essere diventata la schiava di Gesù ed incurante di quanto gli uomini potessero farle! L’eroicità del gesto è proporzionata all’eroicità della virtù! È un esempio ed uno stimolo per chi si vende per poco, si lascia ammaliare dalle lusinghe o impaurire da minacce. P. Angelo Sardone

La paura di Dio

La semina del mattino

217. «Lo spettacolo, in realtà, era così terrificante che Mosè disse: «Ho paura e tremo» (Eb 12,21). Il rapporto con Dio e l’esperienza diretta al suo contatto sono realtà che si possono solo immaginare, data la straordinarietà e grandezza dell’evento. “Dio nessuno lo ha mai visto”, scrive S. Giovanni (1Gv 4,12). La sua manifestazione o “teofania”, è terrificante e l’uomo la non può reggere. Il popolo d’Israele ne aveva fatto esperienza, ma ancor più Mosè reduce dalla quarantena sul monte Sinai e dai continui colloqui col Signore. La mediazione umana fatta di persone e di segni, preserva da una paura indicibile e terrificante che fa tremare. Il contatto con la divinità è avvolto da un alone di mistero nel quale non è facile introdursi. Per quanto si possa capire e sperimentare, quello che si immagina di poter vedere, rimane sempre qualcosa di estremamente distante dalla portata umana ed inviolabile. Cristo ha rivelato il volto di Dio, non tanto nelle sembianze umane, quanto nella sua essenza di paternità, di amore misericordioso. Nell’amore vicendevole è garantita la sua presenza e la perfezione dell’amore. La esemplificazione e l’iconografia di una imponente e barbuta immagine di uomo avanzato in età è semplicemente una trasposizione antropomorfica che mitiga la paura. La grazia introduce all’incontro con Dio e conserva il sapore del mistero; la preghiera realizza lo scambio della relazione e dispone alla fiducia, all’abbandono, alla richiesta umile e fiduciosa. Quando si ama non si ha paura. Il terrore nasce spesso dalla consapevolezza della propria indegnità ed ancor più dalla presenza e dalla situazione di peccato. P. Angelo Sardone

San Biagio

La semina del mattino

216. «Cercate la pace con tutti e la santificazione, senza la quale nessuno vedrà mai il Signore; vigilate perché nessuno si privi della grazia di Dio» (Eb 12, 14-15). L’eloquente esortazione dell’autore della Lettera agli Ebrei mentre invita alla fede perseverante guardando agli antenati e in maniera più completa ed efficace a Cristo, invita a considerare la correzione inflitta da Dio come addestramento alla pace ed alla giustizia. Essa genera sofferenza e tristezza, ma poi arreca frutti salutari. Si coglie l’eco della predicazione di Paolo nel perseguire la pace con tutti e la beatitudine del Maestro riservata ai pacificatori. La santificazione deve diventare l’obiettivo della vita cristiana, cercata di continuo per la sua natura di veicolo della visione beatifica di Dio. Questa si realizza con la purezza di vita e di cuore, frutto di un impegno diuturno di purificazione, unito ad una vigilanza personale ed altruista che fa guardare al bene degli altri come al proprio, per la grazia ed il servizio amorevole. Un esempio luminoso viene da S. Biagio, vescovo e martire morto intorno al 316, uno dei quattordici santi ausiliatori, invocati per la guarigione di mali particolari. La notorietà e la devozione verso il santo vescovo di Sebaste in Armenia, è determinato principalmente da un miracolo da lui compiuto mentre era in carcere a causa della fede: la guarigione di un ragazzo da una lisca di pesce che si era conficcata nella trachea. Tuttora è invocato come santo che «libera dal mal di gola e da qualunque altro male». A suo ricordo si compie la benedizione della gola adoperando due candele benedette il giorno della Candelora, che, disposte a forma di croce con un nastrino, toccano il collo. Auguri vivissimi a chi porta il nome di Biagio. P. Angelo Sardone