Credere per vedere, più che vedere per credere

155. «Figlio di Davide, abbi pietà di noi!» (Mt 9,27). La cecità, fisica o spirituale, è un elemento ricorrente nella Sacra Scrittura, sia in forma concreta che figurata. La cataratta, la degenerazione maculare legata all’età e il glaucoma sono le maggiori causa della perdita della vista. La correzione tante volte viene con l’uso degli occhiali o con l’intervento chirurgico. Questa infermità visiva, molto comune nell’antico Medio Oriente, ha diversi riferimenti in personaggi biblici. Il caso più eclatante dell’Antico Testamento è Tobia. Nei Vangeli più volte si parla di ciechi, due in particolare che seguono Gesù gridandogli dietro. Quando il Maestro si ferma in una casa, gli si avvicinano e rispondono affermativamente all’interrogativo che pone loro per saggiare la loro fede: «Sì, Signore, tu puoi guarirci!». Gesù tocca i loro occhi e dà la vista. Ciò che si è realizzato è il premio alla loro fede. I due guariti, non obbedire affatto alla proibizione ingiunta loro da Gesù, ma diffondono dappertutto la notizia del miracolo. Gli occhi dello spirito spesso si appannano per gravi situazioni di ordine morale e comportamentale fino a spegnersi del tutto, generando buio spirituale e facendo brancolare a tentoni senza avere chiara alcuna meta. La fede, fatta di obbedienza e fiducia nel Signore, è un affidamento completo a Lui, è volgere lo sguardo e la vita verso di Lui. Allora cadono le cateratte, è guarita la cecità, si torna a vedere. All’antico adagio «vedere per credere», bisogna ora aggiungere, se non sostituire «credere per vedere». P. Angelo Sardone