L’accoglienza della Parola e la Perseveranza

La semina del mattino
80. «Beati coloro che producono frutto con perseveranza» (Lc 8,15). Il racconto della parabola del seminatore nella versione di S. Luca, collega al terreno buono che produce con abbondanza, coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza. L’ascolto è la prima disponibilità per l’azione. Ad esso si associa la custodia, cioè la riflessione e la cura del dono ricevuto. Immersi in un frastuono di voci, indicazioni, chiasso assordante, non sempre è facile ascoltare la Parola di verità che penetra e cambia il cuore. Si rientra così nelle categorie di accoglienza del seme che evidenziano superficialità, preoccupazioni alle prove della vita, cedimenti alla stanchezza ed al demonio, ricchezze, piaceri. Non è facile produrre frutto quando il terreno della propria vita e dell’anima non è innaffiato dalla grazia, concimato dai sacramenti, riscaldato dal sole delle virtù. La perseveranza poi, sembra una chimera, in un clima sociale e religioso nel quale tutto è provvisorio, passeggero, fugace. Eppure essa è una virtù che induce ed impegna a lottare per conseguire il bene superando barriere e difficoltà, stanchezze e sconforto. Non basta fare il bene, occorre farlo bene e sistematicamente, senza stancarsi, senza cedere alle lusinghe dell’effimero. Per far maturare la Parola, la gioia deve attingere alle radici del bene; alle prove si oppone la tenacia della volontà, alle ricchezze l’essenziale, ai piaceri i sacrifici e le rinunzie. Questa logica evangelica che sembra perdente, è assolutamente vincente, quando la perseveranza fa coppia con la maturità. P. Angelo Sardone

Lavoratori a tutte le ore

25ª domenica T.O. Dio perdona largamente. Si fa trovare da chiunque Lo cerca, se abbandona la sua via iniqua ed i suoi pensieri. Vie e pensieri di Dio sovrastano vie e pensieri dell’uomo. Cristo è glorificato nel corpo sia che si viva sia che si muoia e manifesta l’assoluta preminenza su tutto: vivere, morire, rimanere nel corpo, lavorare con frutto. La parabola dei lavoratori ingaggiati dal padrone nelle diverse ore del giorno per lavorare nella sua vigna, evoca la vita della Chiesa nella quale c’è posto per tutti secondo la propria identità e la personale vocazione. Il compenso rimane dono della generosità del padrone che fa distribuire la paga secondo i suoi criteri di bontà e misericordia. Al cristiano spetta il compito di lavorare in maniera degna del Vangelo sia che abbia cominciato all’alba della propria vita che verso il tramonto. P. Angelo Sardone

Il messaggio della Madonna della Salette

La semina del mattino

  1. «Andiamo figli miei, fatelo conoscere a tutto il mio popolo!».

Così la Vergine Maria, il 19 settembre 1846, concluse il suo dialogo e l’apparizione sui monti de La Salette, in Francia, a Melania Calvat e Massimino Giraud. Oggi celebriamo la memoria liturgica facoltativa della Madonna col titolo di “Riconciliatrice dei peccatori”. La celebre apparizione, prima ancora di Lourdes, richiama l’incisivo messaggio di conversione affidato a due pastorelli di 15 e 11 anni. Incuriositi ed attratti da una luce intensa, si erano avvicinati ad un insolito globo sfolgorante ed avevano scorto una donna immersa nella luce, riversa su sé stessa e piangente. Le sue abbondanti lagrime cadevano a terra. Poi si mise in piedi. Era vestita come una contadina, con scialle e grembiule. Una corona di rose le scendeva dal collo, insieme con due catene, una delle quali col crocifisso, ai cui lati c’erano la tenaglia ed il martello. La bella Signora li invitò a non avere paura e ad avvicinarsi, e, prima in francese, poi nel loro dialetto, parlò dei peccati degli uomini, incaricandoli di divulgare il suo messaggio, che richiamava gli uomini alla conversione onde sfuggire ai castighi della giustizia divina. A ciascuno di essi, separatamente, comunicò un segreto. Poi si librò sull’erba e sparì in una scia di luce, seguita dagli sguardi incantati dei due pastorelli. La loro vita cambiò da quel giorno, carica di ingenuità, contraddizioni, esaltazioni, vessazioni e travagli fino alla morte. Il messaggio della Salette ribadisce l’importanza del giorno del riposo settimanale (la domenica) per dedicarsi a Dio e la riprovazione della bestemmia del Nome di Gesù, cose che «appesantiscono tanto il braccio di Gesù». Antidoti efficaci sono la penitenza e la preghiera. P. Angelo Sardone

Donne per Cristo e per la Chiesa

La semina del mattino
78. «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità» (Lc, 8,2). L’annunzio del vangelo nelle strade della Palestina è caratterizzato dalla costante presenza, accanto a Gesù, dei Dodici e di molte donne. I primi era stati scelti direttamente da Gesù e qualificati come “apostoli” cioè inviati. Le altre, notabili o semplici donne, si erano aggiunte al gruppo itinerante, attratte dalla persuasiva parola del Maestro e, alcune, sanate nello spirito e da infermità fisiche. Erano di età e condizioni diverse e diventarono anch’esse “discepole” perché stavano con Gesù, lo ascoltavano, lo seguivano, lo servivano, mettendo a sua disposizione i loro beni. Si tratta di un elemento di eccezionale rilievo per la mentalità di quell’epoca. Il fascino del Maestro che parla con autorità e sana le ferite del corpo e dell’anima, mediato da un incontro di vita con Lui che, con una attenzione profonda non solo le aveva guarite ma si era preso cura di loro. Ed esse lo avevano seguito, mettendo liberamente a sua disposizione le loro risorse materiali ed umane. È il primo segno di un’attività ministeriale fatta inizialmente di presenza e di servizio a Gesù ed alla comunità degli Apostoli. Alcune di loro non lo abbandoneranno mai, neppure sotto la croce ed insieme con Maria di Nazaret. Costituiranno il nucleo ed il prototipo delle tante donne che ancora oggi servono la Chiesa nei variegati ministeri loro propri, fino all’assunzione di consistenti responsabilità nella catechesi, nella liturgia, nella carità. Una grande risorsa ed un indispensabile ministero della donna nella vita e nell’opera della Chiesa! P. Angelo Sardone

Grande perdono per molto amore

La semina del mattino
77. «Le sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato» (Lc 7,47). È una delle espressioni più toccanti di una delle scene più commoventi del Vangelo: la peccatrice perdonata. La descrizione di S. Luca con pennellate di profonda umanità e realismo, evidenzia il contrasto tra il fariseo benpensante e rigoroso nella formalità legale, che ha invitato Gesù a mangiare da lui, e la donna pubblica peccatrice. Ella, vincendo la naturale ritrosia ed armandosi di tanto coraggio, sapendo che c’era Gesù, si è presentata nella sua casa. Vuole redimersi da una vita sbiadita: con un vaso di profumo cosparge i piedi del Maestro dopo averli lavati con lagrime abbondanti, asciugati coi folti suoi capelli e teneramente baciati. Lo scandalo e l’imbarazzo del fariseo sono grandi. La donna senza nome, ma molto conosciuta dagli astanti, finalmente non ha alcun problema a trattare con un uomo: quello che sta toccando non la userà, non la renderà schiava delle sue passioni perverse, non la rigetterà. La lezione del Maestro parte da un racconto verosimile di perdono e sottolinea i comportamenti diversi dell’ospitante e della intrusa peccatrice. La mancata acqua per i piedi è compensata dalle numerose lacrime. Il mancato bacio di cortesia è subissato da ripetuti e calorosi baci. L’olio non adoperato per ungere il capo è sostituito dal profumo intenso. La conclusione è logica: Gesù accorda il perdono ai molti peccati della donna, in ragione del fatto che ella ha molto amato. Il mistero di un amore grande supera ogni pregiudizio negativo ed il duro atteggiamento giuridico del fariseo di ieri, di oggi e di sempre. P. Angelo Sardone

La maturità nella fede

La semina del mattino
76. «Divenuto uomo ho eliminato ciò che è da bambino» (1Cor 13,11).
Nel linguaggio comune e secondo i criteri della psicologia dell’età evolutiva e della sociologia, nella vita dell’uomo la maturità è l’età intermedia fra la giovinezza e la senilità o vecchiezza. Essa è anche sinonimo di conoscenza piena, profonda e chiara delle problematiche della vita e del sapere, sostenuta da un’adeguata esperienza che valuta situazioni, persone e cose e proietta in avanti. Si esprime nel giudizio, nelle operazioni, nelle scelte, nella fede come nella spiritualità. Subisce le diverse influenze dai luoghi e dai modi della formazione: la famiglia, la scuola, la Chiesa, i rapporti sociali e si orienta al bene o al male secondo l’esperienza che si vive e la volontà che si mette. Bisogna crescere nella fede e quando si diventa adulti, il bagaglio di bambino, secondo l’esperienza e l’espressione di S. Paolo, deve essere eliminato. L’obbedienza della fede, lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la conduce alla piena maturità, facendo crescere la libertà dei figli di Dio. Un’autentica formazione cristiana assicura la maturità, fa sì che il battezzato prenda coscienza del dono ricevuto e viva la propria vita secondo l’uomo nuovo, nella giustizia e santità della verità (Ef 4,22-24), per raggiungere la statura della pienezza di Cristo. La maturità nella vita di fede consiste prima di tutto nel vivere l’esperienza di Dio: «la fede cresce quando è vissuta come esperienza di un amore ricevuto e quando viene comunicata come esperienza di grazia e di gioia» (Benedetto XVI). P. Angelo Sardone

La Madre Addolorata

75. «Stabat Mater dolorosa juxta crucem lagrimosa dum pendebat Filius». La maternità divina di Maria fu fonte di gioia immensa. Il suo acerbo dolore per la morte del Figlio è l’icona più eloquente della partecipazione viva e struggente al mistero della passione di Gesù. La Chiesa l’invoca Addolorata, Madre del dolore, titolo caro alla pietà popolare, e la contempla ai piedi della croce, insieme con Gesù vittima di espiazione dei peccati dell’uomo. Sulla base delle narrazioni evangeliche, la devozione cristiana ha individuato e codificato sette dolori che hanno caratterizzato la vita di Maria, dalla profezia del vecchio Simeone, fino alla sepoltura di Gesù. La simbologia iconografica e statuaria dell’Addolorata, tanto cara alla Tradizione e pietà cristiana, riproduce Maria con sette spade conficcate nel cuore, un fazzoletto bianco in mano, il vestito nero di lutto, il volto pallido rigato di lagrime e rivolto a cielo con espressioni evidenti di dolore, occhi grandi e mani giunte. Jacopone da Todi fissò nel celebre inno dello Stabat Mater, lo stato emotivo, doloroso nel mistero di solitudine e di abbandono della Madre di Gesù mentre contempla, partecipa e condivide lo strazio della morte del Figlio. Le grandi opere d’arte della Pietà, la Vergine con il Figlio esanime sul grembo, documentano in forma straordinaria come in Maria «si concentra il dolore dell’universo per la morte di Cristo e la personificazione di tutte le madri che, lungo la storia, hanno pianto la morte di un figlio» (Direttorio su Pietà popolare e liturgia, 145). L’Addolorata se pure è l’icona più struggente dell’inconsolabile dolore umano, è preludio della gioia immensa della risurrezione. P. Angelo Sardone

Ave Croce, unica speranza!

La semina del mattino
74. «Cristo in croce: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani» (1Cor 1,23).
L’esaltazione della Croce, richiama la costruzione e la dedicazione della basilica del Santo Sepolcro a Gerusalemme ad opera di Costantino, il 13 settembre 335 con l’ostentazione, il giorno dopo, di quel che rimaneva della croce di Cristo. La croce è il simbolo cristiano più diffuso e noto nel mondo: richiama il supplizio inflitto a Gesù con lo strumento più atroce usato dai Romani per l’esecuzione capitale. E’ mistero di salvezza, talamo, trono ed altare. La causa della crocifissione è il peccato dell’uomo. Per liberare il popolo d’Israele dai serpenti velenosi che nel deserto provocavano la morte, Dio fece innalzare un serpente di bronzo, guardando il quale si guariva. L’esodo di Cristo nella vita umana e nel mondo si è compiuta attraverso la kenosi (abbassamento) e l’esaltazione e glorificazione per mezzo della croce. La croce non si configura come interruzione o fallimento della sua missione salvifica, ma come compimento e sintesi della passione, espressione della vera regalità. La croce è il «libro nel quale possono leggere ed imparare i dotti e gl’ignoranti, i grandi e i piccoli, i giusti e i peccatori, nel quale a caratteri di sangue, sta scritto e spiegato il mistero dell’amore eterno di un Dio verso gli uomini, scuola di formazione dei più grandi santi della Chiesa» (S. Annibale M. Di Francia). Con questo legno si attraversa il mare in burrasca della vita; reggendosi ad esso si giunge al porto della salvezza (S. Agostino). «Ave Croce, unica speranza!». P. Angelo Sardone

Mostraci il Padre Misericordioso

La semina del mattino
73. «Mostraci il Padre e ci basta!» (Gv 14,8).
Il desiderio di conoscere Dio come Padre e di gustare la sua dolcezza è insito nella natura umana ed è proprio della vita cristiana. Il bisogno arcaico dell’uomo, la sua innata esigenza di risalire alle origini e di contemplare il volto di Dio viene appagato da Cristo che è la via al Padre. Nelle sue parole e nelle sue opere si manifesta e si rivela pienamente il volto di un Padre benevolo e misericordioso che parla al cuore dei suoi figli e sempre li attende. Allontanarsi da Dio, voltargli le spalle col peccato è sempre un grave rischio: si prende la strada del fallimento, del suicidio psicologico, della cupa tristezza. Dio attende l’uomo dopo l’amara separazione ed il crollo dei suoi sogni puramente terrestri e gli va incontro quando egli decide di tornare indietro, condonandogli tutto il debito della colpa. E’ rimasto sempre sull’uscio aperto della sua casa con lo sguardo proteso all’orizzonte ed il cuore in pena ad attendere il figlio per accoglierlo e stringerlo tra le braccia. Attende perché è ricco di bontà previdente e provvidente, perché è grande nell’amore: risana e fa festa per ogni peccatore che si salva. I suoi atti di amore superano la dimensione umana meramente giuridica legata a situazioni, ad errori imperdonabili ed al loro numero. Apre costantemente gli orizzonti del cuore concedendo il perdono dei peccati dinanzi al pentimento e all’autentica conversione. Nasce allora un’atmosfera di gioia, e nell’anima si genera come una nuova creazione, una riabilitazione soprannaturale, una trasfigurazione che fa recuperare la dignità perduta di figli. P. Angelo Sardone

Il Nome di Maria

La semina del mattino
72. «Anna impose alla bambina il nome Maria» (PdG, 5).
Nel linguaggio biblico il nome indica l’essenza della persona, la sua identità. Nella Tradizione cristiana dopo il Nome di Gesù non c’è nome più dolce e soave di quello di Maria di Nazaret, sua e nostra madre. Il suo significato più comune è «dono avuto da Dio», riferito soprattutto a Gioacchino ed Anna, gli anziani suoi genitori, ma anche «raduno di tutte le grazie» (S. Luigi M. Grignon de Montfort), pioggia di grazia che scende dall’alto. Un’altra terminologia evoca Maria come «mare di misericordia e di grazia» nel quale Dio ha riversato la sua bellezza; «fortezza nelle tribolazioni», «stella» che illumina e guida la vita. «Beato e mille volte beato chi ha la fortuna di portare un sì augusto Nome, perché Maria gli darà grazie speciali; io esorto tutti i padri e le madri di famiglia ad imporre ai loro figliuoli questo Nome, ed io ho la fortuna di avere per primo nome quello di Maria. Il nome della dolcissima Madre nostra Maria, sia incremento nell’amore di Gesù Sommo Bene, del suo SS. mo Nome, di avanzamento in ogni santa virtù, di consumata santificazione, di scudo e di difesa contro tutti gli assalti del demonio e delle umane cattive volontà» diceva S. Annibale M. Di Francia. Al pronunziare il suo Nome gli Angeli si inchinano, i demoni tremano. Alla scuola di Maria si impara a vivere la propria vocazione nel servizio ai fratelli. La sua presenza nella vita dei cristiani e, soprattutto di chi ne porta il nome, è stimolo per realizzare il percorso di santificazione; è sostegno e forza nel cammino. P. Angelo Sardone