Rosa da Lima, bellissima e grande santa

La semina del mattino
52. «Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto!» (Is 22,19).
La Sacra Scrittura presenta a volte espressioni forti di rimprovero e decisi interventi disciplinari da parte del Signore. Così la pedagogia divina interviene nelle vicende umane segnate dal peccato e dall’incapacità di distinguere il bene dal male. Le situazioni, soprattutto quelle evidenziate dai profeti, sono vere e proprie metafore storiche e teologiche. Sebna, secondo dopo il re, viene privato della sua carica perché infedele, arrogante e corrotto, ed è sostituito da uno più degno e capace. Jahwé chiama il prescelto e lo riveste di tunica e cintura, in vista del suo ruolo di padre per Israele. La chiave di Davide evoca il potere del grande Re e la mansione di aprire e chiudere in maniera irrevocabile. Gesù conferisce a Pietro l’esclusivo mandato apostolico, gli preannunzia che edificherà la sua Chiesa «Te su di me, non me sopra di te» (S. Agostino), e gli affiderà le chiavi del Regno col potere di garantire l’unità della fede e la comunione dei fedeli. Ogni responsabilità a qualsiasi livello e condizione sociale è onerosa; più gravosa è quella di amministrare le cose spirituali a favore del popolo di Dio. Chi vi è chiamato, deve essere fedele e responsabile, solerte, umile e generoso. Tale fu Santa Rosa da Lima (1686-1617), terziaria domenicana del Perù. Contemplazione ed unione con Dio, attività lavorativa e caritativa soprattutto verso i poveri, fedeltà e serietà nei suoi impegni sociali e religiosi, furono la sua testimonianza concreta di fede cristiana matura e coerente. La bellezza del suo viso e della sua anima, come quella di una rosa, spandono ancora buon profumo di virtù ed una scia di affascinante santità. P. Angelo Sardone

Maria Regina

La semina del mattino

  1. «Colui che nascerà sarà santo e chiamato Figlio di Dio» (Lc 1,32).

Il silenzio viene infranto e l’umile dimora di Nazaret, abitata da Maria, una bellissima fanciulla, è illuminata dalla presenza di Gabriele, uno degli arcangeli che stanno sempre al cospetto di Dio e che le porta l’annunzio. Il progetto di amore per l’umanità, richiede la sua disponibilità di donna per diventare la madre del santo Figlio di Dio. La vergine è sconvolta dalla grandiosità dell’evento e dalla piccolezza della sua persona, peraltro già promessa sposa a Giuseppe. Dissipate le ombre e diradate le difficoltà, perché tutto sarà opera dello Spirito Santo, Maria dà il suo assenso umile e fiducioso, Confida nella potenza di Dio e si abbandona alla sua imperscrutabile volontà che la vuole madre. Diventa così Madre di Gesù, con una maternità fuori dell’ordinario, “figlia del suo stesso figlio”. Il Concilio di Efeso nel 431 proclamerà il dogma della sua maternità divina, additandola come Regina, in analogia al suo Figlio Gesù, Re dell’universo. La dignità regale le è conferita in vista della Redenzione operata da Cristo e del suo ruolo di corredentrice accanto al figlio Dio, potente e padre per sempre. La festività odierna di Maria Regina, istituita da Pio XII nel 1955, è strettamente legata al mistero dell’Assunzione. L’identità di Maria Regina viene proclamata nelle Litanie Lauretane collegata a diverse categorie di persone che vanno dagli Angeli fino ai Santi, alla famiglia, al grande dono della pace. Insieme con Gesù, Maria sia la Regina dei cuori e li formi ad una autentica devozione. P. Angelo Sardone

La santità degli umili e dei semplici

La semina del mattino

  1. «Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete» (Ez 37,5).

La natura e l’essenza dello Spirito è soffio (ruah), energia, dinamica. Non si tratta semplicemente di un concetto, ma di una realtà, ancor meglio, di una Persona, la terza della santissima Trinità. Gesù afferma con vigore: «E’ lo Spirito che dà vita, la carne non giova a nulla!». Ezechiele, considerato il profeta dello Spirito Santo per passi significativi del suo libro nei quali presenta l’efficacia della sua azione, è coinvolto dal Signore in una impressionante simbologia, la valle delle ossa aride, degna di un film horror. Col potere che gli viene da Dio, con un primo intervento profetizza su di esse ed avviene un grandioso miracolo: si sentono rumori, cresce un movimento tra le ossa che si ricongiungono perfettamente secondo la loro identità e funzione, si rivestono di nervi, cresce la carne e si ricoprono di pelle. Con un secondo intervento, invoca lo Spirito e quegli esseri umani, prendono vita e si alzano. È un numero sterminato che rappresenta la Casa di Israele. L’azione dello Spirito continua nella Chiesa ed è mediato da chi, stando alla guida della navicella di Pietro, ha ricevuto da Gesù il potere di legare e sciogliere. S. Pio X (1835-1914), di memoria liturgica odierna, è un papa, figlio di contadini, che ha caratterizzato la sua epoca e la Storia della Chiesa con la testimonianza di vita e poderosi interventi magisteriali contro il dilagare del Modernismo, promuovendo la Prima Comunione ai bambini, promulgando il Catechismo della Dottrina Cristiana. La santità della sua vita è il frutto primo e più vero dello Spirito. P. Angelo Sardone

Di Maria non si dice mai abbastanza

La semina del mattino
49. «Santificherò il mio Nome grande» (Ez 36,23).
Il nostro Dio è tre volte santo. Il suo nome è glorioso per sempre! Santità e gloria sono propri dell’essere e dell’agire di Dio. L’uomo è chiamato a percorrere con Lui un itinerario di santità: «siate santi perchè io il vostro Dio sono santo!» nella ordinarietà della sua vita terrena. La santità è dono di Dio: Egli la mostra nell’uomo davanti alle nazioni straniere, quando lo conduce sul suolo santo, lo asperge con l’acqua pura e lo purifica, quando gli mette nel petto un cuore nuovo ed uno spirito nuovo, sostituendo il cuore di pietra con uno di carne. Essere santi significa vivere secondo le leggi e le norme di Dio, abitare nella sua terra, essere suo popolo. Il percorso di santificazione comincia nel Battesimo insieme con l’itinerario spirituale: Dio santifica il suo nome grande in noi, rende cioè staccati da ciò che è disordine, egoismo, corruzione, vanità, per poter tradurre ogni cosa in amore, la forza vera della vita. «Se amiamo con tutto noi stessi non c’è nulla da aggiungere!», diceva S. Bernardo, abate di Chiaravalle (1090-1153), di cui fa memoria la Liturgia odierna, uno degli esponenti più grandi del monachesimo di tutti i tempi, maestro, guida spirituale ed educatore di intere generazioni di cristiani e di Santi. Attivo e dinamico con la parola, gli scritti, i viaggi, ha concentrato nell’amore la sua ragione di vita, esprimendo così il sentimento con cui l’uomo si apre al Creatore ed al prossimo. La Chiesa beneficia della sua grande eredità, compreso lo straordinario amore a Maria della quale «non si dice mai abbastanza». P. Angelo Sardone

Pastori secondo il Cuore di Dio

La semina del mattino
48. «Chiederò conto del mio gregge, non li lascerò più pascolare» (Ez 34,10).
Il compito del pastore, del sacerdote, è carico di responsabilità, sia che si tratti di una sola pecora, come di un intero gregge a lui affidato. Il suo ruolo è la sua vita: interamente dedito alla cura ed alla prosperità del suo gregge, egli vive notte e giorno con le sue pecore in una amorosa simbiosi. Le conosce per nome, è affabile con le timide, forte con le superbe, tenero con le madri, medico per le malate, materno con gli agnelli, deciso con le sbandate. Le pecore come per istinto percepiscono la sua presenza già dalla voce, la sua bontà dalle carezze delle sue mani, dalla delicatezza vellutata nella mungitura. Ma ci sono eccezioni ieri come oggi. Un tratto profetico di Ezechiele è un duro rimbrotto contro quei pastori che non sono secondo il “Cuore di Dio” e non agiscono in conformità al loro compito. È una dura requisitoria all’ignavia di chi pasce se stesso invece di pascere il gregge, di chi non fascia le pecore ferite, non va in cerca delle smarrite, non riporta le disperse sui monti in preda delle bestie selvatiche; di chi non si cura del gregge. Allora il Signore gli si schiera contro: chiede conto del gregge, gli toglie il compito di pascolare, strappa di bocca le pecore perchè non siano più suo cibo. Si sostituisce Egli stesso nella ricerca delle pecore, nel passarle in rassegna per controllare se ci sono tutte, come stanno, come procedono, come producono. Per il pastore allora è la fine. Da 40 anni io sono pastore delle pecore che Dio mi ha affidato col ministero sacerdotale: pur con la mia povertà metto la mia vita ed il mio servizio di amore sempre in linea con le ingiunzioni del Signore ed il sacerdozio di Cristo al quale ogni giorno rendo conto del suo gregge. P. Angelo Sardone

La trappola delle ricchezze

La semina del mattino
46. «Se vuoi essere perfetto va, vendi quello che possiedi» (Mt 19,21).
L’incontro del giovane ricco con Gesù è la metafora dell’incontro personale e decisivo con Cristo. Evoca il desiderio di sapere “cosa fare di buono per avere la vita” e conoscere “quello che manca ancora” perché la vita sulla terra, pure vissuta nella piena osservanza della legge, sia davvero felice. Gesù inizialmente ribadisce l’osservanza dei comandamenti come mezzo efficace per entrare nella vita senza fine. Il giovane asserisce la loro piena osservanza. A seguito di ciò, Gesù consiglia la scelta più radicale che guarda alla perfezione. Egli stesso aveva richiesto ai suoi seguaci di «essere perfetti come il Padre che è nei cieli». Nei passaggi incalzanti della proposta e dei verbi adoperati da Gesù nell’enunciato, la Chiesa ha visto le tracce dei cosiddetti “consigli evangelici”, riservati ad alcune persone in particolare, chiamate a percorrere il cammino della perfezione nella via della povertà, castità ed obbedienza. Il traguardo in cielo è un tesoro: per raggiungerlo occorre andare, cioè staccarsi da se stessi e dai beni materiali, venderli e donare il ricavato ai poveri. Solamente dopo si potrà essere in grado di seguire il Maestro e vivere per Lui e per il suo corpo, la Chiesa, in una donazione di sé che abbraccia tutta l’esistenza e rende fecondo ogni apostolato. Il giovane non accolse la proposta di Gesù; si tirò indietro e se ne andò via, triste. Il commento dell’evangelista è lapidario: «perché aveva molti beni». Gli mancò il coraggio e la forza per distaccarsi da essi. P. Angelo Sardone

L’insistenza della richiesta e la forza della fede

  1. «Pietà di me, Signore, Figlio di Davide» (Mt 15,22).

Qualunque invocazione si innalza al cielo, Dio l’accoglie. In particolare non restano indifferenti al suo cuore le richieste di chi soffre e per chi soffre. La sua grandezza si manifesta nella generosità verso le creature, che, a qualunque popolo o nazione appartengano, si rivolgono a Lui con fede. Il suo modo di rispondere non sempre corrisponde a come l’uomo vorrebbe che fosse: immediato, sollecito, pieno. La sua risposta è condizionata da un comprovato atteggiamento di fede da parte del richiedente, cui si associa, l’insistenza, l’umiltà ed il riconoscimento della divinità di Cristo. Il grido della donna Cananea pieno di straziante dolore per la situazione particolare della figlia molto tormentata dal demonio, risuona forte, insistente e continuo e si concentra in due mirabili espressioni: «Pietà di me, Signore!» e «Signore, aiutami!», entrambe formidabili manifestazioni di fede. Gesù che prima era rimasto indifferente non degnandola neppure di una parola, apprezza la fede della donna, che, nonostante sia una straniera, riconosce la sua divinità e lo invoca Figlio di Davide. Confermando il suo ruolo di salvatore delle pecore perdute di Israele, la mette alla prova con il segno del pane destinato ai figli (gli Israeliti) che non può essere gettato ai cagnolini (gli stranieri). Il bisogno si fa intelligente virtù: riconoscendo che anche le briciole cadute dalla tavola dei padroni possono sfamare i cagnolini, la Cananea vince la resistenza di Gesù che, riconosciuta la grandezza e la maturità della sua fede, le concede quanto richiesto. P. Angelo Sardone

Maria Assunta in cielo

La semina del mattino
44. «Tutte le generazioni mi chiameranno beata!» (Lc 1,48).
Pervasa interamente dallo Spirito, autentica profetessa del Nuovo Testamento, quando incontra sua cugina Elisabetta, Maria di Nazaret esplode in un cantico di lode e di gloria al Signore. Il “Magnificat” è la sintesi mirabile di quanto di più bello e grande una creatura possa indirizzare a Dio salvatore. La consapevolezza della sua povertà ed umiltà nella condizione di serva del Signore, già enunziata nell’accoglienza del progetto di Dio su di Lei, la rende simile al Figlio Gesù, il servo di Jahwé. Ella rimane piccola ma è grande, è umile ed alta, eternamente beata, mirabilmente madre. Questa consapevolezza, illuminata dallo Spirito, sulla base del privilegio altissimo della sua Immacolata Concezione, si traduce in termini altamente teologici, che attuano il mistero nascosto nei secoli e rivelato in Cristo. Il richiamo alla sua umiltà fa riconoscere che tutta la gloria, l’onore, la grandezza, e la gratitudine va al Dio Onnipotente e Santo che è misericordioso verso coloro che lo temono. Maria racchiude in sé tutte le beatitudini proclamate da Gesù. L’ulteriore esclusivo privilegio dell’Assunzione in cielo in corpo ed anima, senza conoscere la corruzione del sepolcro, conferma la sua identità di Madre del Signore della vita, la indica segno di speranza, primizia ed immagine della Chiesa che per tutti i secoli la chiama “beata”. Buona solennità dell’Assunzione di Maria. P. Angelo Sardone

Il perdono sempre

La semina del mattino
42. «Quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?» (Mt 18,21).
È sempre duro parlare del perdono: ancora più difficile praticarlo. Tutti vogliono avere ragione, ognuno ha sempre la sua ragione. A sbagliare sono gli altri e se ci si trova in fallo si adoperano tutti i modi per rifarsi: appartiene alla natura umana resa fragile dalla situazione del peccato. L’ammissione delle proprie colpe è ritenuta spesso una debolezza, un oltraggio al proprio onore. L’alterigia a volte fa quadrato col minimo di ragione che si può avere. È stato sempre così e rimane difficile per tutti ed in tutte le condizioni di vita. L’apostolo Pietro, designato da Cristo a capo della Chiesa col potere di legare e sciogliere, chiede a Gesù fino a quante volte bisogna perdonare un fratello che ha commesso una colpa. I numeri indicati dal Maestro sono simbolici e richiamano non solo la pienezza del perdono (sette volte), ma anche la completezza della pienezza (settanta volte sette), cioè sempre. L’esempio raccontato da Gesù mette in luce la portata del debito di un servo nei confronti del padrone (diecimila talenti), e di quello di un compagno nei confronti del servo incriminato, di appena cento denari. Il condono benevolo accordato dal padrone non è seguito da altrettanto atteggiamento del servo nei confronti del suo compagno che finisce in prigione. Tutto ciò provoca il giusto sdegno del padrone che gli infligge una dura punizione. La conclusione è chiara: così agirà il Padre celeste nei confronti di chi non perdona di cuore il proprio fratello. P. Angelo Sardone

La forza della preghiera con Gesù in mezzo

La semina del mattino
41. «Dove due tre sono riuniti nel mio Nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).
Nella simbologia cristiana e nell’espressione dei valori fondamentali della fede, i primi tre numeri richiamano il mistero di Dio che è nel contempo uno e trino, tre persone uguali e distinte nell’unità della sostanza. Più volte nella predicazione Gesù si serve dei numeri, per annunciare le verità e qualificare l’importanza di alcuni insegnamenti. L’efficacia della preghiera cristiana viene garantita dalla presenza di Cristo tra coloro che pregano. La forza della preghiera sta anche nel numero di coloro che pregano: più si è, più essa è forte; quanto maggiore è il numero di chi invoca, più breccia si fa nel cuore di Dio. Senza nulla togliere all’importanza ed alla validità della preghiera singola, che rimane sempre e comunque un modo personale per aprirsi a Dio, Gesù ribadisce la sua esplicita presenza come orante, in mezzo a più persone, anche solo tre, riunite nel suo Nome, e quindi la necessità e l’efficacia della preghiera in comune. Essa rientra nel concetto stesso di Chiesa, casa della preghiera e comunità di persone chiamate da Dio, che esprime il suo ministero nel culto sacramentale. I Salmi sono essenziali per la preghiera della Chiesa perché nutrono ed esprimono la preghiera del Popolo di Dio come Assemblea, in dimensione sia personale che comunitaria (CCC, 2586). La novità consiste non solo nel chiedere nel Nome di Gesù ma anche di averlo presente in mezzo. Ciò avviene nello Spirito Santo, attraverso il quale la preghiera cristiana è comunione di amore con il Padre per mezzo di Cristo. P. Angelo Sardone